Il contesto
Siamo in un college inglese negli scorsi anni ’70, dove predomina una disciplina severa ma apparentemente non violenta. I ragazzi interagiscono, giocano, amoreggiano ma evitano di avvicinarsi al muro di recinzione. Girano strane voci su chi lo ha scavalcato; sono solo voci ma il muro incute un certo timore ed è meglio starne alla larga. Come nebbia impalpabile aleggia una sensazione di libertà vigilata, di un vincolo invisibile che sembra fungere da denominatore comune e sottintende qualcosa. La luce del sole è perennemente sbiadita. La Direzione invita gli studenti a dare libero sfogo alla propria creatività artistica, i cui elaborati saranno esaminati da qualcuno e poi conservati. Tre ragazzi, un maschio e due femmine, fanno gruppo a sé, si stagliano come un altorilievo sulla restante comunità, instaurando una dinamica sentimentale che li accompagnerà, con sviluppi diversi, fino alla fine; ma non esplodono passioni, i sentimenti, le gelosie, il sesso, tutto è contenuto, ovattato, nulla va fuori misura.
La rivelazione
Una nuova insegnante va controcorrente e svela la verità, trasgredendo la regola imposta: i ragazzi sono stati generati come cloni di qualcuno e avviati all’obiettivo di sottoporsi un giorno a “donazioni” (di organi) ai rispettivi originali. Da questo momento si gioca a carte scoperte; i ragazzi apprendono come un dovere la predestinazione, in qualche modo inculcata come forma di progresso scientifico, ne parlano con un misto di malinconia e rassegnazione, tutto continua a fluire come al solito. Il sole è sempre opaco.
La separazione
Dopo la prima formazione i ragazzi vengono smistati in strutture per la preparazione specifica agli appuntamenti fatidici. Tra i tre, rimasti uniti, la dinamica sentimentale è sempre in movimento e sembra cambiare direzione. Finito il periodo di avvicinamento alla fase esecutiva, i ragazzi vengono separati, pronti ad affrontare il loro breve futuro.
Gli eventi
I tre dopo alcuni anni si ritrovano casualmente, consapevoli che le chiamate possono arrivare in qualsiasi momento; il fabbisogno di “pezzi di ricambio” è inesauribile e pertanto il sistema non ammette soste. Nel triangolo cambiano i lati omogenei; uscito di scena il terzo lato, la coppia si aggrappa al proprio amore, cerca inutilmente di procrastinare il proprio turno, aumentano le cicatrici, ma prima o poi verrà quella fatale. La vita (degli altri) va avanti.
Questi in sintesi i tratti salienti dell’impegnativo ed interessante film che il regista Romanek, proveniente dai videoclips musicali, ha tratto da un romanzo del giapponese Kazuo Ishiguro, trapiantato in Gran Bretagna. Un film agghiacciante che affronta in una cornice fantascientifica (anticonvenzionalmente ambientata nel passato) temi come la programmazione dei destini, l’omologazione delle menti, il rapporto tra libertà individuale e potere, i limiti del progresso scientifico, la vitalità dei sentimenti, la libertà dell’arte. La lettura che ci dà il regista è senza speranza: in nome della scienza, il potere dominante pianifica la società creando cloni umani che siano a servizio dei potenti dando loro la vita quando occorra. I cloni non hanno origine, non hanno futuro, hanno solo una missione da compiere, che non prevede la difesa di se stessi e della propria dignità. In questo mondo non c’è possibilità di ribellione, di resistenza, di opposizione al sistema; solo l’amore può generare sussulti, cercare espedienti dilatori, spingere tutt’al più ad emettere un urlo lacerante, sovrumano, disperato, ma è solo un’onda anomala che passa e si stempera di nuovo nella imposta calma piatta. Ed è forse questo il vero limite del film: perché davanti ad una evidente negazione della vita umana non c’è alcuna reazione ad una tale enorme violenza? Forse è sfuggito qualcosa nella trasposizione da romanzo a film che spieghi e renda accettabile questa anomalia (in genere nella fantascienza anche i robot si ribellano) che ci faccia entrare nel racconto e interagire con i personaggi, che ci coinvolga emozionalmente, con il risultato che permane una certa percezione di sgradevole freddezza. A meno di considerare l’idea di una disperata metafora sul mondo odierno: siamo tutti cloni assoggettati ad un potere che, usando gli strumenti di pressione e persuasione disponibili (per esempio la televisione e/o la pubblicità) sterilizza ed orienta in modo uniforme il pensiero comune verso l’interesse di pochi, in un sistema più che schiavistico che non prevede alcuna via d’uscita. Messaggio suggestivo ed in parte registrabile anche nel nostro piccolo contesto, ma i recenti sconvolgimenti rivoluzionari per fortuna sembrano indurre, se non all’ottimismo, almeno alla fondata speranza che la prospettiva adombrata rimanga relegata ad una pura dimensione cinematografica.
[+] lascia un commento a pepito1948 »
[ - ] lascia un commento a pepito1948 »
|