Midnight in Paris

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Un film di Woody Allen. Con Owen Wilson, Rachel McAdams, Michael Sheen, Nina Arianda, Kurt Fuller.
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Commedia, durata 94 min. - USA, Spagna 2011. - Medusa uscita venerdì 2 dicembre 2011. MYMONETRO Midnight in Paris * * * - - valutazione media: 3,42 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Allen ed i suoi fantasmi Valutazione 4 stelle su cinque

di pepito1948


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giovedì 15 dicembre 2011


L’uomo (sapiens) è un microsegmento instabile per natura, che tende ad evadere dal recinto in cui si trova secondo le direttrici delle due dimensioni spazio-tempo, perché alla perenne ricerca dell’ altro, del diverso, del nuovo, non rassegnandosi a considerare il proprio “stare” del tutto soddisfacente e convinto che in altri luoghi o tempi sia possibile trovare ciò che cerchiamo e ci manca o che è stato ed ora non è più. La differenza è che nello spazio è teoricamente possibile, almeno oggi, realizzare questa aspirazione, nel tempo ciò, almeno finora, non è fattibile se non attraverso un viaggio virtuale nella memoria o nella fantasia. Una delle molle mentali che ci spingono ad intraprendere questo percorso nel passato –non essendo il futuro altrettanto seducente per la sua imponderabilità- è la nostalgia, letteralmente “ritorno-dolore” e, più estesamente, tristezza per il non ritorno di un tempo vissuto o immaginato che si presume migliore dell’attualità. Il presupposto quindi è l’inappagamento del presente, che induce alla fuga all’indietro.
Nell’ultimo film di Allen a Gil, sceneggiatore travolto dall’impulso di scrivere un romanzo, non mancano motivi di insoddisfazione: il suo libro non procede, è a Parigi, città di cui peraltro è innamorato, con una futura sposa prigioniera del suo mondo piccolo-borghese che si accontenta di volare basso, poco incline all’affettività e semi-isterica, insensibile di fronte alle aspirazioni non proprio convenzionali del proprio compagno, come quella di stabilirsi nella capitale francese; è in compagnia di suoceri invadenti ed ultraconservatori, incontra una coppia il cui lui, borioso e narcisista, catalizza le attenzioni della futura moglie, incantata dalla sua verbosa prosopopea e disposta a seguirne la scia ammaliatrice ad occhi chiusi. Gil, negli spazi a sua esclusiva disposizione, si rifugia nella notte, regno dei sogni, della magia, dei fantasmi, che si materializzano quando a mezzanotte, qualcuno da una vecchia automobile degli anni ’20 lo invita a salire introducendolo in quel mondo da lui da sempre vagheggiato e facendogli incontrare i suoi miti dell’epoca: scrittori, pittori, musicisti famosi che lo avvolgono in un’aura da fiaba in cui sembra ritrovare per incanto tutto ciò che nella vita di ogni giorno non faceva che sognare: stimoli culturali, grandi personaggi, atmosfere elettrizzanti: la Parigi crocevia dei Picasso, dei Cole Porter, dei Fitzgerald, degli Hemingway, dei Dalì fonti di ispirazione, espressioni di versatile vitalità, campioni di talento che nella New York degli anni 2000 sono solo eterei testimoni di un pezzo di storia forse irripetibile. I viaggi notturni si ripetono, e Gil conosce una donna, già amante di un giovane Picasso, con la quale scatta un’intesa profonda e sconvolgente, ma insieme scoprono che il passato, una volta fattosi presente, riattiva la stessa dinamica di ricerca di un passato migliore in un retropercorso senza fine, e l’inganno si svela in tutta la sua illusorietà. Forse la realtà che viviamo non è poi così priva di attrattive come il passato non è solo luci e folgori; questa deduzione spingerà il nostro Gil a compiere il passo decisivo da un sofferto annullamento ad un liberatorio rifiuto.
“Quando penso a quel periodo, oppure alla Bella Epoque, certamente mi sembra un’epoca splendida in cui vorrei perdermi per sempre. Poi, però, pensando alla novocaina del dentista o all’aria condizionata, mi rendo conto quanto il presente sia decisamente più tollerabile..”. La citazione di Allen esprime bene il senso del film. Il cui tema, la fuga in un tempo altro, non è nuova nel cinema: dal lontano “L’uomo che visse nel futuro” alla saga del Ritorno al futuro, alla più vicina Rosa purpurea del Cairo, al nostro Non ci resta che piangere (per citare solo alcuni esempi), la suggestione della trasmigrazione temporale dell’uomo è stata affrontata da diversi registi, con alterni risultati ma generalmente recependo una diffusa propensione da parte dell’immaginario collettivo. Qui il tema si fa più “filosofico”; la nostalgia è sentimento frutto dei tempi, rifugiarsi nel passato può sembrare giustificato dal degrado socio-culturale e dalle crescenti problematiche che imbruttiscono la nostra vita odierna; ma attenzione, perché la nostra miopia spesso non ci fa vedere i lati edificanti che compensano i motivi di rifiuto, mentre i libri di storia non evidenziano con il dovuto risalto gli aspetti che oggi –soprattutto noi occidentali- non saremmo disposti a rivivere, come certe malattie, la mancanza di elettricità, dei treni, del progresso scientifico costruttivo. Magari anche della psicoanalisi.
Accantonato il personaggio dell’eterno sfigato succube dell’analista, scomparsi (per il momento) la rassicurante ed amata Manhattan e lo stesso Allen come attore, a settant’anni inoltrati il grande regista –soggettista di tutti i suoi film- compensa una certa flessione inventiva degli ultimi anni affinando l’approccio ai temi trattati ( la casualità, l’andamento ondivago ed imprevedibile dell’amore, le difficoltà delle relazioni interumane, la fuga dalla realtà nei sogni o nella magia) e ricorrendo al consueto umorismo intelligente, morbido e coinvolgente, non più basato su sequenze mozzafiato di memorabili battute ma su una più matura sobrietà che predilige la cura dei personaggi e di situazioni spiazzanti ed innovative rispetto allo scoppiettio dei dialoghi. Restano fermi ovviamente alcuni capisaldi della sua arte, come la presenza di riferimenti autobiografici, una più o meno marcata vena di pessimismo sulla natura umana –legata ad una certa umoralità dell’autore-, l’amato jazz, questa volta coevo al contesto della storia surreale vissuta dal protagonista.
Belle le immagini iniziali che introducono Parigi e rivelano l’amore contagioso per la capitale che trasuda da ogni immagine: “Ho girato a Parigi nella stessa maniera in cui ho realizzato Manhattan, ovvero mostrando la città dal punto di vista emotivo”. Scelta perfettamente riuscita, grazie anche ad un cast di tutto rispetto, soprattutto Owen Wilson, impeccabile alter ego del suo regista, oggi più posato e meno nevrotico di altri momenti.

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