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Mezzanotte nel giardino della nostalgia

Midnight in Paris, struggente miniatura di un professionista.
di Roy Menarini

In foto Owen Wilson e Rachel McAdams in una scena del film Midnight in Paris di Woody Allen.
Owen Wilson (Owen Cunningham Wilson) (55 anni) 18 novembre 1968, Dallas (Texas - USA) - Scorpione. Interpreta Gil nel film di Woody Allen Midnight in Paris.

lunedì 5 dicembre 2011 - Approfondimenti

Baciato da un ottimo successo nel primo weekend italiano, Midnight in Paris conferma quanto di buono raccolto negli Stati Uniti, dove Woody Allen non guadagnava così bene da tempi immemorabili. Le trasferte del regista newyorkese appaiono non solo redditizie, ma anche molto intelligenti. Un esito del tutto meritato.

Sgombriamo infatti il campo dalla noiosa questione del pro o contro Allen, e dagli schieramenti che militano rispettivamente nella squadra del “Woody è da tempo un pensionato” e “Woody è di nuovo lui”. Negare una capacità di metamorfosi al regista che più di molti altri ha sperimentato generi, formati, epoche, contesti produttivi, formule narrative, appare semplicemente sciocco e presuntuoso. Non si capisce bene il motivo per il quale Allen venga criticato a causa della frequente presenza di intellettuali e scrittori nel suo cinema. Se ciò fosse credibile o anche solo legittimo, dovremmo immediatamente lamentarci di tutte le filmografie di registi affezionati ai propri personaggi fissi, dai cowboy “sempre uguali” di Budd Boetticher agli operai di Robert Guédiguian. Non nominiamo a caso registi tra loro molto diversi, e ancor meno un cineasta della tarda classicità hollywoodiana come Boetticher. Il modo giusto di guardare al cinema recente di Allen, infatti, è proprio quello dell’artigianato, del regista che sforna un film dietro l’altro, ovunque si trovi, con una professionalità e una limpidezza di esecuzione straordinarie. Proprio quel che si amava nei registi, anche minori, di Hollywood, e che conferma in Woody una passione smodata per il sistema classico (nascosta sotto i costumi dell’amore per il cinema europeo).

Midnight in Paris è dunque un capolavoro alla Minnelli, un sogno in una notte di mezzo autunno parigino, un film che si esalta ed esplode proprio se lo amiamo non Opera del grande Autore Venerato, bensì come ennesima, struggente miniatura di un professional che mantiene una sorta di genialità diffusa su tutto il suo cinema. Dentro quest’ultimo film, poi, si snoda la consueta capacità alleniana di far credere una cosa e raccontarne un’altra. Barcellona e Parigi non sono guardate con occhio stereotipato da Allen, bensì dai suoi personaggi, non a caso turisti anche in Vicky Cristina Barcelona; il suo protagonista non è l’alter ego di Woody, è la vittima di un fraintendimento intellettuale; i Picasso, Hemingway, Stein, Fitzgerald, Dalì, Bunuel che incontra nella Parigi fatata degli anni Venti non sono i maestri dell’influenza, ma le icone di cui liberarsi per potere vivere (e fare cinema) nel presente.

Si tratta di botole narrative, di false piste, di geniali inganni per far credere di raccontare la solita storia di indecisione tra arte/vita, raccontare e invece una volta di più che l'angoscia dell’influenza va estesa a tutte le epoche e a tutti i miti artistici. Anche a Woody Allen, che sa di essere ormai un classico, sebbene la sua comicità ebraica si basi proprio sulla inadeguatezza nei confronti della tradizione. Chapeau.

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