La scuola cattolica

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Un film di Stefano Mordini. Con Valeria Golino, Riccardo Scamarcio, Jasmine Trinca, Benedetta Porcaroli.
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Drammatico, Ratings: Kids+13, durata 106 min. - Italia 2021. - Warner Bros Italia uscita giovedì 7 ottobre 2021. - VM 18 - MYMONETRO La scuola cattolica * * 1/2 - - valutazione media: 2,49 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

El sueño de la razón produce monstruos Valutazione 3 stelle su cinque

di frenky 90


Feedback: 1021 | altri commenti e recensioni di frenky 90
martedì 27 giugno 2023

Ne “La scuola cattolica” la violenza è suggerita. La camera non indugia sul corpo inferto ma sulle

conseguenze che ha sulla vittima. Vittima che, come ci dice il cammeo del sempre memorabile
Fabrizio Gifuni, stavolta nei panni del professor Golgota, non sempre è il percosso ma spesso lo
stesso carnefice, per usare le sue parole, lo stesso aguzzino. Lungi da noi, dall’opera di Mordini e da
quella da cui deriva di Albinati giustificarne gli indifendibili esecutori per carità mancherebbe altro.
Ma il film ci dice che spesso chi compie il male, nel malsano ambiente in cui nasce, lo fa per
“diventare uomo”, perché crede di doverci passare per poi un domani compiere il proprio destino in
una fantomatica retta via, pallida ostentazione di un falso “bene”. E’ bene infatti il tessuto sociale in
cui i nostri protagonisti crescono. E’ bene la via che credono di seguire i loro genitori quando li
iscrivono alla scuola cattolica di cui sopra e soffocano le marachelle dei figli a suon di donazioni
pasquali alla luce del sole e cinghiate nel buio delle quattro mura domestiche. E’ bene il quartiere
che quelle quattro mura contiene. E’ bene che chi ci vive abbia il portafogli e il boxer gonfio, l’uno
ingrossato da una ricchezza familiare che gli permetterà inopinatamente di maneggiare pistole e
macchine grandi come astronavi, mazzi di chiavi che aprono ville al mare per adescare e fare
impressione, l’altro da una repressione sistematica di ogni istinto animalesco che non può che
sfogarsi in modo malsano. E’ bene che a un uomo “non piaccia il cazzo” e faccia di tutto per
dimostrare al suo branco ululante quanto gli piacciono le donne. Così come nel romanzo il tono
sfugge (non per vigliaccheria) dalla cronaca e dipinge un affresco di una generazione vissuta in
prima persona dall’autore. Tutta la prima parte del film, quindi, è la più interessante, quella in cui “i
nostri eroi” ci vengono dipinti come attori di un sistema che ne stritola le carni, tarpando le ali non
solo a ogni possibile sogno ma soprattutto a una qualsivoglia forma di umanità. I giovani che
animano questa metà anni ‘70 alto-borghese capitolina non sanno letteralmente dove andare,
operano il bullismo per noia convenzionale, l’omofobia per ignoranza, il sesso per immaginazione.
“Sarebbe stato meglio non averla direttamente, una sessualità” afferma a un certo punto uno dei
nostri ragazzi. La religione laddove non si tramuta in ipocrisia, nella figura ad esempio del prete che
va a prostitute, ha la funzione di fungere da ulteriore tappo e di reprimere ancor di più contribuendo
a creare un mostro che la mattina si confessa e la sera si sfoga in una setta satanica, o, ancor peggio,
nei tristi fatti noti del finale. La violenza, si diceva. Il suggerimento della stessa di cui si disquisiva
all’inizio sta in una mano che trattiene una ragazzina da impressionare davanti al timido fratello per
poi lasciarla andare, in una leggera spinta che precede il peggio sulla spalla del compagno di classe
omosessuale, letteralmente messo in mezzo con la scusa di giocare a rievocare un dipinto, in
un’adolescente oggettificata nel più bieco modo da un diciottenne in motocicletta, in un volto
sprezzante (ottimo il cast di tutti i ragazzi, perfettamente credibili e calati nella parte) davanti a un
professore che contesta un tema su Adolf Hitler. Parlare del massacro del Circeo è dolorosissimo,
ma necessario. Chi vi scrive non ha vissuto in quella generazione e ne viene a conoscenza
solitamente in maniera incidentale. Il merito di film come questo è di far tornare in auge i fatti, sia
per operare un doveroso seppur sempre triste omaggio alle vittime, ma soprattutto come monito
“che questo è stato” a imperitura memoria. I cartelli finali che informano chi ha dai quaranta in giù
che fino a quel dì lo stupro era considerato reato morale e non contro la persona devono stupefare e
indignare, spingere a fare perché mai più si ripeta attraverso un’educazione vera, soprattutto di chi è
negli anni sperduti di chi ha compiuto ciò che, con chiarezza documentaristica stavolta sì, si può
purtroppo ben vedere nella conclusione.

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