Suspiria

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"L'altro Suspiria" Valutazione 4 stelle su cinque

di andrewlecce


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domenica 6 gennaio 2019

Era chiaro che non potesse essere un remake, ma anche la storia dell’ “omaggio alla potente emozione che ho provato quando ho visto per la prima volta il film originale” sapeva più di vaga paraculata. In teoria, Guadagnino sembrerebbe aver “brandizzato” un cult che, in tutta la sua semplicità e semplicioneria, ero tra i tanti ad aver amato incondizionatamente sin dalla prima visione (anzi dalla seconda, alla prima andavo ancora alle elementari e restai un filino sconvolto). Per quanto mi riguarda, i presupposti per un massacro all’altezza del quarto d’ora iniziale del primo “Suspiria” c’erano tutti, se non fosse che il risultato rasenta il capolavoro.
Dario Argento – con la sua stessa voce narrante da nonno sadico accanto al letto dei nipotini – raccontava una fiaba nera senza tempo, manichea nella contrapposizione tra male e bene (e rassicurante almeno nella vittoria finale di quest’ultimo), vivificata da colori espressionistici (su tutti il rosso delle sale prove, del sangue e degli organi estratti ancora palpitanti), percorsa e a volte soverchiata dall’incursione ossessiva del progressive rock dei Goblin. Il “Suspiria” di Guadagnino è quanto di più lontano dalla fiaba possa esistere, perché raramente la Storia è stata così presente in un horror; il bene è un elemento non pervenuto, mentre il male non lo è mai in maniera assoluta e univoca; i colori cupi accentuano la primarietà degli sguardi, dei suoni, dei sospiri (che non sono più quelli surreali e rantolosi di una creatura maligna pronta a risvegliarsi, ma quasi una “carta di identità” dei protagonisti; sono anche quelli densi di fatica delle allieve della Markos Tanz Company mentre, sotto la guida di Madame Blanc e Miss Tanner, preparano il “main event” della scuola); e poi, c’è la musica di Thom Yorke, magica, effimera, una poesia in note che – in un felice contrasto con i suoni disturbanti di ossa che si spezzano e di carni che si sfaldano – culla lo spettatore disserrandogli la sensualità e il magnetismo patemico della storia. Soprattutto, però, c’è un "altro horror", totalmente diverso nell’idea di base e nell’estetica: si tratta, tanto per capirci, di quella sua forma archetipica sdoganata da Kubrick con “Shining” (al quale Guadagnino sembra ispirarsi anche in diverse scelte registiche). È un orrore lontano dallo “slasher”, dal “gore” (che comunque il film non lesinerà agli appassionati, specie nel finale), e che piuttosto scava la mente e scortica l’anima, disgregando a poco a poco ogni convinzione – e convenzione – sul genere stesso sedimentata nella nostra coscienza di spettatori; è un orrore che non si dimentica all’uscita della sala, ma lascia una traccia perenne, proprio perché emerge da situazioni e contesti associati, di norma, a sentimenti diamentralmente opposti, come la sicurezza di una quotidianità condivisa all’interno di una “seconda famiglia”, o quella di vincoli indiscutibili e indiscussi (la maternità in primis).
C’è tanto, in questo “Suspiria”, dietro la vicenda di Susie che, arrivando dall’Ohio alla Markos Company di Berlino con poca tecnica e tanta passione, trova in Sara la migliore amica all’interno del gruppo e in Madame Blanc molto più che una maestra, mentre alcune tra le allieve migliori spariscono per incontrare una fine atroce. C'è la Storia, quella della Berlino divisa, della RAF, delle ferite del Reich ancora sanguinanti; c’è la sfida al rimosso dell’immaginario collettivo, che resetta il concetto stesso di “colpa” anche di fronte agli orrori più imperdonabili; ci sono delle streghe contemporanee (diversissime da quelle del primo film), organizzate in un gruppo politico femminista alla disperata ricerca di una leadership, che combattono il sistema da quando ha iniziato a imporre alla donna “bocche chiuse e vagine aperte”; c’è la psichiatria, che ne esce malconcia ma non del tutto sconfitta (e la figura del dottor Klemperer - la cui indagine sulla sparizione di una sua paziente ex-allieva della scuola andrà a collidere pericolosamente con sensi di colpa mai sopiti - è una di quelle a cui è impossibile non affezionarsi); c’è la predestinazione , che a volte – lo si voglia ammettere o meno – lega le nostre vite ad altre e, ancora più spesso, a determinati luoghi; e, last but not least, c’è sullo sfondo l’idea ben nitida di come ogni rivoluzione esiga un tributo di sangue, necessario a riequilibrare le forze in gioco e a garantire un nuovo inizio.
La regia è superlativa, la macchina da presa si muove come un pugno di ferro in un guanto di velluto, pronta ora a sedurre l’occhio dello spettatore accompagnandolo in movimenti avvolgenti e ovattati, ora a colpirlo catapultandolo violentemente sugli orrori in scena, sul disfacimento dei corpi e sulle visioni oniriche della protagonista; la sequenza-chiave del lungo supplizio fisico di un'allieva che, al primo giorno di lezione di Susie, abbandona il gruppo dopo uno screzio con le maestre è da manuale dell'horror. Influenze di Kubrick (la sequenza del sabbah finale, tra l'altro, rievoca in parte quella dell'orgia di "Eyes Wide Shut"),  di  Fassbinder (di cui curiosamente nel cast troviamo la ex-moglie nel ruolo dell'adorabilissima Miss Vendegast), un po' anche di Lars Von Trier.
Tilda Swinton, nella sua interpretazione di ben tre ruoli diversi (“chapeau” a chi riesce a individuarli tutti sin dall’inizio) si conferma una presenza aliena, sovrumana, pazzesca. Anche il resto del cast è azzeccato (bravissima Chloe Grace Moretz, peccato che il suo personaggio si perda dopo i primi 10 minuti),  Dakota Johnson una vera rivelazione; riuscitissima la congrega di streghe (personalmente, ho amato Angela Winkler e la sua Miss Tanner).
Per chi ha visto il primo “Suspiria”: occhi aperti, pronti a graditi ritorni a sorpresa.

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