Titolo internazionale | The Image Book |
Anno | 2018 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Francia |
Durata | 90 minuti |
Regia di | Jean-Luc Godard |
Attori | Jean-Luc Godard, Dimitri Basil, Jean-Pierre Gos, Anne-Marie Mieville, Jacques Perconte . |
MYmonetro | 2,98 su 3 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento venerdì 1 febbraio 2019
Un film sperimentale, un montaggio d'immagini e sequenze d'archivio a cui sono sovrapposte piste fuori sincrono. Il film è stato premiato al Festival di Cannes, Al Box Office Usa Le livre d'image ha incassato 15,2 mila dollari .
CONSIGLIATO SÌ
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Godard si ripete ed è giusto così, perché Godard è Godard, ormai una tautologia, una figura del discorso. E il suo ripetersi è sempre diverso e uguale a se stesso. È ancora e sempre dalla parte del montaggio, protagonista assoluto del suo cinema e inteso naturalmente come stimolatore di questioni morali, che il regista di Rolle spinge in superficie, inanellando le immagini dell'Olocausto con quelle dell'orrore contemporaneo, con la storia (anzi le storie) del cinema e le interferenze degli eventi, e domandandoci (a suo modo, per affermazione) se l'atto della rappresentazione non implichi quasi sempre una violenza verso l'oggetto della rappresentazione stessa. Ma questa è solo una delle tante questioni, gettate come sassi nell'acqua dalla voce profonda e monocorde dell'autore. Abbiamo sbagliato tutto, dice, perché abbiamo santificato i testi - la Bibbia, il Corano, la Torah, i Dieci Comandamenti- mentre ci vorrebbe - e questo lo dice il montaggio - un Livre d'image .
Però quanto testo nei suoi film, quanta parola, pesata, liberata. E così abbiamo santificato anche Godard, e non sapremo mai quanto male gli abbia fatto.
È ancora, lui, dalla parte del contrappunto e della contraddizione. Le sue immagini sono più che mai trattate, svuotate, colorate, perfino negate, eppure sono le parole stesse del libro, la materia di cui è fatto il mondo, e "non siamo mai abbastanza tristi perché il mondo possa migliorare", ma forse Sherazade racconterà un'altra storia su di esso, tra mille un giorno.
È ancora dalla parte del tempo, che è movimento, e va in una direzione e in quella opposta: dalla pittura al cinema e dal cinema alla pittura (un'inquadratura ricrea l'impressione del sole nascente, sull'acqua del lago, un'altra ha i colori di Van Gogh). Dalla parte della libera associazione, del suono ("Al cinema bisogna che tutto parli", "Tell me something. Lie to me") e dell'immagine (quella primigenia, per il cinema, del treno, che qui attraversa la Storia e la settima arte, in un lungo capitolo del film).
E Godard è infine ancora e sempre dalla parte della provocazione ("dalla parte delle bombe") e della rivoluzione. Ma in questo film più dis-organico e meccanico del precedente Adieu au language, più ridotto all'osso (del dito di una mano), la chiusa è meno buia. Godard non è qui soltanto "per dire no e per morire", perché l'idea della rivoluzione, la sua necessità, (anche) se di utopia si tratta, contiene in sé un'accezione di speranza.
Un film-labirinto, stratificato come un antico palinsesto, in cui perdersi per ritrovarsi. Un monologo in cinque capitoli, «come le dita della mano», trapunto da infinite citazioni, cinematografiche e non. Una giungla di immagini e parole, a volte scagliate le une contro le altre, in cui ogni manipolazione è permessa e ogni arbitrio genera nuove suggestioni.
Era il maggio 2018 quando JLG tornava a Cannes con Le livre d'image, un canto di rivolta "che recupera il passato e lo trasforma in testo contemporaneo", come scriveva all'epoca Grazia Paganelli nella sua recensione dal festival che riproponiamo qui. Il film è stato trasmesso su Raitre da Fuoriorario ed è ora disponibile in streaming gratuito in lingua originale con sottotitoli italiani su RaiPlay. Quattro [...] Vai alla recensione »