The Empty Hands

Film 2017 | Drammatico 87 min.

Regia di Chapman To. Un film con Stephy Tang, Chapman To, Yasuaki Kurata, Stephen Au, Dada Chan. Cast completo Titolo originale: Hung sau dou. Genere Drammatico - Hong Kong, 2017, durata 87 minuti. - MYmonetro 2,73 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

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Ultimo aggiornamento martedì 24 aprile 2018

Arti marziali, momenti comici, squarci riflessivi e un omaggio alla sua Hong Kong: Chapman To non smette mai di stupire.

Consigliato sì!
2,73/5
MYMOVIES 2,50
CRITICA
PUBBLICO 2,96
CONSIGLIATO SÌ
Un dialogo con l'altrove che gioca con vari registri non sempre amalgamati con fluidità.
Recensione di Lorenzo Ciofani
mercoledì 18 aprile 2018
Recensione di Lorenzo Ciofani
mercoledì 18 aprile 2018

Figlia di Akira, un giapponese trasferitosi ad Hong Kong negli anni Settanta, Mari è stata allenata dal padre, proprietario di un dojo situato proprio dentro la casa di famiglia, affinché diventasse una campionessa di karate. Giunta alla cintura marrone, la ragazza decise di fermarsi con grande disappunto paterno. Quando Akira muore, Mari non può vendere il dojo poiché una parte è stata lasciata all'allievo Chan Kent, che si dimostra disponibile a cedere la quota se la ragazza vince una competizione di karate.

I titoli di testa di The Empty Hands appaiono dopo un abbondante quarto d'ora e sono ambientati in una natura incontaminata, in bianco e nero, estranei rispetto al contesto urbano esaltato dalle luci di Wai Kai Tam.

In questi minuti, Chapman To, il divo di Infernal Affairs qui alla seconda prova dietro la macchina da presa, si prende il tempo necessario per cesellare il ritratto di una ragazza dominata da un profondo conflitto interiore. La sua voce narrante accompagna il lungo preambolo per indicare la traiettoria di una storia fondata sulla necessità di riconciliarsi anche oltre la vita.

Inevitabile che buona parte del film si regga sulle spalle di Stephy Tang, che sa dare a Mari quell'affetto del quale il suo personaggio ha disperatamente bisogno, mascherando la mancanza con eccessi di durezza e finti cinismi che sono spie di un'anima frangibile e con più d'un conto in sospeso. Un'angoscia rappresa che dimostra, ora nello scontro con i bambini allenati da Chan, ora nella triste parabola del suo amore clandestino con l'amante adultero.

D'altronde siamo nei pressi del coming of age, e il karate si rivela fondamentale sia perché si visualizza come un'esperienza che pone al centro la resilienza e la resistenza fisica e sia perché lega indissolubilmente Mari al padre. La scelta testamentaria di non lasciarle l'intero spazio del dojo vuole essere l'ultimo insegnamento di un padre-maestro convinto che il karate sia una sfida a se stessi, che mette alla prova lo spirito di sopportazione ai dolori della vita. D'altra parte, Akira è persuaso che la figlia sia un talento in letargo, bisognosa di prendere pugni sul ring per trovare un po' di pace, e per questo la riavvicina al figlio putativo. Se lei è destinata a restare allieva, a lui è riservato il testimone dell'educazione.

Complici anche certi passaggi palesemente malinconici (lo splendido momento al parco, dove il padre di Mari osserva perplesso un gruppo di allegre signore che fa ginnastica), si capisce quasi subito che The Empty Hands è più un film intimo sul perdono e sul riscatto che un racconto di arti marziali. Più che uno spettacolo coreografico che ripensa il karate in una prospettiva metropolitana come addestramento alla vita e ai suoi incidenti, è un percorso in cui la disciplina assume una funzione terapeutica.

Servendosi di un repertorio classico che usa Vivaldi, Bach, Schubert e Paganini, To gioca con vari registri che non sempre riesce ad amalgamare con fluidità, dimostrando, per esempio, qualche scompenso nel frammento noir di Chan. Ma trova la quadra del suo discorso spirituale quando mette Mari al cospetto dei cimeli paterni, sottolineando quanto il suo film voglia essere soprattutto un dialogo con l'altrove.

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