Titolo originale | Partisan |
Anno | 2015 |
Genere | Drammatico, Thriller, |
Produzione | USA |
Durata | 98 minuti |
Regia di | Ariel Kleiman |
Attori | Vincent Cassel, Nigel Barber, Timothy Styles, Anastasia Prystay, Katalin Hegedus, Natalia Gorbacheva, Sosina Wogayehu, Zsofia Stavropoulos, Alexander Kuzmenko, Daniel Vernikovski, Jeremy Chabriel, Florence Mezzara, Sapidah Kian, Samuel Eydlish, Wietse Cocu . |
Uscita | giovedì 27 agosto 2015 |
Tag | Da vedere 2015 |
Distribuzione | I Wonder Pictures |
Rating | Consigli per la visione di bambini e ragazzi: |
MYmonetro | 2,90 su 4 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento venerdì 10 aprile 2020
Vincent Cassel nei panni di un padre che educa i figli in modo molto controcorrente.
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L’undicenne Alexander vive in una sorta di comune alla periferia degradata di una città senza nome. Capo della piccola comunità composta da donne e bambini è un solo uomo adulto, Gregori, figura carismatica che governa incontrastata elargendo affetto e regole ferree, insegnando ai bambini a coltivare la terra ma anche a uccidere, sia per procurarsi il sostentamento vitale che per difendersi da un mondo esterno che Gregori descrive loro come ostile, ingiusto e crudele. Alexander però è sveglio e curioso, durante le sue missioni omicide al di fuori dalla comune raccoglie piccoli oggetti e viene in contatto con gli abitanti di quel mondo esterno, cominciando a porsi qualche domanda sulle regole imposte da Gregori e su quel padre padrone di cui ha sempre accettato la weltanschauung.
Partisan è una parabola su un microcosmo distopico (e dispotico) in cui pensare con la propria testa vuol dire rischiare l’isolamento, e forse anche la vita. Il regista australiano Ariel Kleiman debutta al lungometraggio dopo una manciata di corti pluripremiati inserendosi in quel circuito festivaliero del quale condivide pregi e difetti: dalla parte dei difetti la lentezza dilatata, l’autocompiacimento e anche una certa furbizia nell’usare i codici espressivi cari ai critici internazionali. Dalla parte dei pregi, e sono molti, la padronanza del mezzo cinematografico, la capacità di creare un universo che obbedisce solo alle proprie regole narrative e filmiche (in perfetta aderenza fra forma e contenuto, trattandosi di una storia su una comunità autoctona), la volontà di raccontare principalmente per immagini senza scendere in spiegazioni didascaliche, la qualità iponotica ed enigmatica della narrazione.
Partisan deve sicuramente molto al cinema che lo ha preceduto, da Il signore delle mosche a Dogtooth passando per Mosquito Coast ma anche, per restare in ambiente australiano, per quell’Animal Kingdom che dà anche il nome a uno dei produttori del film di Kleiman. È supremamente aussie l’abilità nel correlare la ferocia di Gregori e dei suoi piccoli killer alla bestialità intrinseca nella natura umana, la cui componente ferina è sempre latente sotto la superficie civilizzata: un contrasto particolarmente visibile in paesi come l’Australia, dove flora e fauna selvagge sono ancora dominanti sull’urbanizzazione, e in cinematografie come quelle di Peter Weir e Bruce Beresford, ma anche del neozelandese Peter Jackson.
Ad ancorare Partisan in termini di gravitas e credibilità sono le eccellenti performance di Vincent Cassell nei panni di Gregori, potente più nel mostrare vulnerabilità ed empatia che nel lasciar trapelare la violenza repressa e la minaccia sotto l'apparenza paterna, e del neofita Jeremy Chabriel, di impressionante intensità espressiva e di evidente (nel senso di ben visibile) fibra morale.
Attraverso questa favola nera, in cui tutta la conoscenza passa attraverso un unico orco che fornisce il training e gli strumenti per uccidere ma non quelli per sviluppare un pensiero autonomo, Kleiman racconta in forma metaforica la tragedia dei bambini soldato cui è proibita la disobbedienza alla regola omicida, e più in generale la necessità di mettere in discussione l’autorità e autodeterminarsi, scegliendo autonomamente l'universo cui vogliamo appartenere.
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Il debutto di questo regista australiano è la metafora di un’emancipazione, della crescita di Alexander che a undici anni inizia a prendere coscienza e arriverà a preferire strade diverse rispetto a quelle prospettategli nella comunità/casa-famiglia nella quale il suo patrigno Gregori lo fa crescere. Ariel Kleiman ha trovato spunto per il soggetto per il film in una vicenda [...] Vai alla recensione »
Di fronte a Vincent Kassel viene in mente la versatilità di ogni attore e sua in particolare a calarsi in molti panni: da maestro feroce di danza ne Il cigno nero, a psicanalista libertario e contro le regole in A dangerous method e poi a questo Partisan dove egli è Grigori, un padre-padrone, un dolce despota, il capo a volte suadente ed altre violento di una piccola comune indipendente [...] Vai alla recensione »
Senza alcun dubbio siamo ormai abituati a vedere l'attore Vincent Cassel a rivestire i più svariati ruoli e, principalmente, quelli di cattivo, ma quello che interpreta in "Partisan" risulta alquanto singolare come, del resto, tutta la vicenda narrata. Un uomo, appunto Vincent Cassel, ha costruito in una squallida periferia una sorta di nascondiglio ben nascosto e ben protetto dal resto della società [...] Vai alla recensione »
Il misterioso Gregori (Cassel) ha un sacco di figli ma non è il padre di nessuno di loro. Chi sia, da dove venga e dove viva, con quell'esercito di madri e ragazzini, non è dato sapere. Sappiamo che è forte e sa fare e insegnare mille mestieri. Che sa parlare al cuore delle donne, tutte sole e vittime di violenze, tanto da farsi seguire nella sua cittadella segreta ai margini di un'imprecisata metropoli [...] Vai alla recensione »
Ispirata a un reportage su dei bambini colombiani trasformati in killer, l'opera prima di Ariel Kleiman è un film molto disciplinato. L'ambiguo Grigori (Vincent Cassel) è il patriarca di una comunità costituita principalmente da bambini che vengono preparati a diventare assassini e dalle loro sottomesse madri. L'idea di quello che aspetta i bambini quando metteranno in pratica quello che hanno imparato [...] Vai alla recensione »
Che voglia essere un apologo non c'è dubbio, così come non c'è dubbio che il debuttante trentenne australiano Ariel Kleiman abbia qui scelto un tono surreale. Quello che non è chiaro è di che il film sia un apologo. Vincent Cassel è una specie di guru paternalista e autoritario il quale, sulla base di vite trascorse di cui niente sappiamo ma cui egli allude come fonte di dolore e rabbia, ha riunito [...] Vai alla recensione »