Youth - La giovinezza |
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Un film di Paolo Sorrentino.
Con Michael Caine, Harvey Keitel, Rachel Weisz, Paul Dano.
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Titolo originale Youth.
Drammatico,
Ratings: Kids+13,
durata 118 min.
- Italia, Francia, Svizzera, Gran Bretagna 2015.
- Medusa
uscita mercoledì 20 maggio 2015.
MYMONETRO
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La gioventù, o: la “grande bellezza” che appare
di carlosantoniFeedback: 5973 | altri commenti e recensioni di carlosantoni |
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mercoledì 20 maggio 2015 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Sorrentino si riconosce lontano un miglio, mi vien da dire come Caravaggio o Bernini o Beethoven. La sua estetica può disturbare anche parecchio (spesso mi disturba) o piacere moltissimo, in ogni caso se ne riconosce facilmente la cifra. Così è anche in “Youth – La giovinezza”, anche se francamente non capisco perché non abbia intitolato il suo film “Oldness – La vecchiaia”, visto che è di vecchiaia che parla, e non di gioventù. Il suo film è una ricognizione dolente e compassata sul senso della vecchiaia; al tempo stesso un manifesto di prorompente vitalità. Lo stile di Sorrentino: fotografia splendida, e una mdp che si muove lentissimamente, avvicinandosi al soggetto come un cobra al topo che vuole divorare, avvolgendolo con ipnotizzanti movimenti rotatori, centrando ossessivamente primi piani, primissimi piani, necessari per rivelare impietosamente la natura delle cose, la sofferenza, l’incertezza. E poi effetti che definire pirotecnici è poco: di un barocco stratosferico, colori e movimenti che esplodono davanti allo spettatore in una serie di invenzioni fantasmagoriche, a metà strada fra il pop e il decisamente kitsch, come nella strepitosissima sequenza della giovane cantante “brava a letto”, fidanzata del figlio di Mick: sequenza che parte come uno straordinario videoclip e termina come un sulfureo prodotto onirico. E poi il commento sonoro, così caldo, così coinvolgente! Ma ancora sto parlando di ingredienti, piuttosto che della pietanza. E la pietanza che con somma maestria ci scodella Sorrentino, è ciò che siamo quando si è vecchi, con la percezione progressivamente affievolita non solo del desiderio e delle passioni, ma anche con una considerazione della realtà che è tanto apatica quanto imprecisa. Molto opportunamente, all’interno di un fraseggio quasi sempre privo di senso e di spessore, insomma volutamente inutile, spiccano due considerazioni: la prima, fondamentale, da parte del giovane attore Jimmy Tree, il quale più o meno (ci) dice: “Il desiderio: inquinato, immorale… non importa, è pur sempre ciò che ci muove”. La seconda, da parte di Keitel-Mick, diretta a Caine-Fred: “Non è affatto vero che le passioni (nel cinema: ma vale per la vita) non contano, anzi sono l’unica vera risorsa che abbiamo. Valgono così tanto che quando alla fine Mick si rende conto di non averne più, preferisce “renderla”, come avrebbe detto Alex di “Arancia meccanica”. Questo gesto estremo, peraltro, riesce finalmente a smuovere dalla lunghissima apatia Fred, il quale finalmente accetta di rinunciare alla sua propria inossidabile icona e si concede a dirigere il concerto tanto bramato dalla regina d’Inghilterra. Su questo ordito essenziale si tessono importanti trame, quali il rapporto tra Fred e sua figlia (Rachel Weisz) e… tra Fred e sua moglie, la cui assenza totale finisce per suscitare alla fine una certa sorpresa. Ancora una osservazione: c’è un contrappasso evidente tra la perfezione formale degli esterni (le bellissime visioni dei paesaggi alpini svizzeri, spesso connotati dal disvelarsi progressivo delle figure dei protagonisti emergenti oltre i dossi di pianori in pieno rigoglio primaverile) o delle simmetrie pacatissime e levigate degl’interni, e l’irruzione delle contraddizioni di natura esistenziale dei vari protagonisti: è qualcosa che segna la dinamica del film. Come se Sorrentino volesse metterci in guardia circa l’inattendibilità della… “grande bellezza” dell’apparenza.
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