Titolo originale | Angely revolucii |
Anno | 2014 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Russia |
Regia di | Aleksey Fedorchenko |
MYmonetro | 3,17 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento giovedì 16 ottobre 2014
CONSIGLIATO SÌ
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Mosca, 1934. Polina, bellissima e agguerrita ex combattente della Rivoluzione di Ottobre, viene convocata da un alto componente del governo sovietico che le affida un incarico delicato: convincere le popolazioni indigene del nord dell'Unione Sovietica ad aderire all'ideologia comunista. Infatti, nonostante il governo abbia "generosamente" edificato scuole e ospedali in quei territori sperduti, i popoli Khanty e Nenet che li abitano da sempre rifiutano di riconoscere l'autorità di Mosca, fedeli ai loro sciamani e alle loro divinità pagane.
Per aiutarla nel difficile incarico, Polina riunisce intorno a sé una posse di ex combattenti il cui primo amore è l'arte: un compositore, un architetto, un regista teatrale, un regista cinematografico e uno scultore. Sono tutti esponenti di quell'avanguardia russa che ebbe parte importante nella Rivoluzione e infiammò gli animi dei combattenti giovani e idealisti. Chi meglio di loro per conquistare i consensi e le simpatie dei popoli del nord?
Dopo Silent Souls, vincitore dell'Osella per la miglior fotografia alla Mostra del cinema di Venezia, e Celestial Wives of the Meadow, presentato in concorso al Festival Internazionale del Film di Roma nel 2012, con
La messinscena conta almeno quanto la storia narrata: una messinscena spesso teatrale, sia perché il teatro dell'avanguardia russa è stato un potente veicolo di comunicazione politica, sia perché i protagonisti sono anche "burattini della storia", ombre cinesi stagliate sullo sfondo dei grandi rivolgimenti politici, immagini proiettate su cortine di fumo destinate a svanire. Fedorchenko inquadra anche il proprio mestiere di regista identificandone la responsabilità storica e morale, e racconta i suoi protagonisti senza giudicarne le azioni, ma illuminandone le irrimediabili conseguenze.
Come sempre, la fotografia, l'uso delle luci e la composizione delle inquadrature sono di una bellezza sublime, e questa volta Fedorchenko non si "limita" a raccontare il popolo dei Mari con accuratezza antropologica, ma punta lo stesso sguardo da entomologo anche sugli intellettuali moscoviti, che coglie nel momento in cui non hanno ancora consapevolezza del destino che li attende (per uno di loro, ad esempio, il regista ebreo, "arriverà il momento", come dice una soldatessa con placido fatalismo). Quei militanti che credono di non aver più bisogno di una pistola e si illudono che sarà l'arte a salvare il mondo per condurlo verso le magnifiche sorti e progressive, finiranno vittime della loro ingenuità.
Forse la scene visivamente più memorabile è quella in cui il gruppetto di "artisti di regime" si infila all'interno dei simboli del governo sovietico, come se entrasse in una serie di simboliche bare. Come molti dopo di loro, stretti fra manifesto e propaganda, tra convinzione ideologica e diktat dogmatico, saranno messi a confronto con la propria umanità, inevitabilmente perdente di fronte al totalitarismo.