Anno | 2013 |
Genere | Horror |
Produzione | Hong Kong |
Durata | 114 minuti |
Regia di | Simon Yam, Fruit Chan, Chi Ngai Lee, Gordon Chan, Lawrence Ah Mon, Teddy Robin Kwan |
Attori | Jeannie Chan, Kelly Chen, Tony Leung Ka Fai, Cherry Ngan, Simon Yam, Shaw Yin Yin . |
MYmonetro | 3,00 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento venerdì 8 novembre 2013
Dai racconti di Lilian Lee, sei storie sui fantasmi dirette da altrettanti maestri del cinema di Hong Kong.
CONSIGLIATO SÌ
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Sei registi per altrettanti episodi di un Masters of Horror alla maniera di Hong Kong: storie di fantasmi in cui, tra un grido di terrore e una risata, riflettere sulle debolezze umane e sulle difficoltà del quotidiano.
Come per il Rigor Mortis uscito nello stesso periodo, anche Tales from the Dark è un'operazione che ha un intento chiaro sin dal principio: rinverdire i fasti del cinema di Hong Kong guardando al modello degli anni '80. Epoca di New Wave e di horror che, nonostante il budget bassissimo, erano in grado di terrorizzare generazioni differenti di spettatori. Un momento per molti versi irripetibile, ma il cinema di Hong Kong del terzo millennio è sostanzialmente nostalgia e ricerca di un'identità smarrita, e questo spiega molte delle scelte di Tales from the Dark. In primis il fatto di strizzare l'occhio a classici del passato servendosi di volti iconici: il Simon Yam del primo episodio, attore e regista, che sembra rievocare la performance del terribile Dr Lamb, truculenta maschera di immoralità; oppure il rocker istrione Teddy Kwan dell'ultimo Black Umbrella, anche lui nel doppio ruolo di attore e regista, giudice alieno e misterioso dell'umanità come lo Spaceman di un suo concept album anni '80. Riferimenti probabilmente esoterici che punteggiano un ambizioso omnibus horror che riprende il progetto che già fu di Three e Three... Extremes, concentrandosi però sulla sola Hong Kong.
Originariamente suddiviso in due capitoli da tre episodi l'uno, il film nella versione unitaria da 200 minuti proiettata ai festival riesce maggiormente a evidenziare ciò che accomuna storie apparentemente slegate per registro (quasi comico in A Word in the Palm) e stile (confezione patinata e movimenti di macchina ambiziosi in Pillow di Gordon Chan, realismo e sensazione di angoscia opprimente in Jing Zhe di Fruit Chan), ma unite dalla valenza metaforica del fantasma e della sua intrusione nelle vite dei mortali. Se per Chan e Lawrence Lau il movente è la vendetta e l'incapacità di accettare una morte prematura, per Yam e Kwan il contrasto tra mondo dei vivi e mondo dei morti è soprattutto un'occasione per approfondire le storture sociali di un'era in cui la dignità dell'individuo e la sua sussistenza sono costantemente messe a dura prova. Non mancano difetti di sceneggiatura, di approfondimento psicologico tendente alla banalizzazione o di tecniche di suspense innocue e obsolete, ma Tales from the Dark svolge il suo compito in linea con le aspettative. Dovendo scegliere il momento più alto dell'intera operazione, la preferenza non può che andare a Fruit Chan e al suo angolo di superstizione smarrito tra i grattacieli, come se la sopravvivenza di una cultura e di un popolo dipendesse da ciò che è atavico per definizione e meno incline a modernismi e crisi di identità: la paura.