Vengo a prenderti

Wildon Parish è un affermato e talentuoso scrittore americano. Da vent'anni, ovvero da quando è morta sua moglie, ha smesso di scrivere e si è ritirato nella rilassante terra senese della Val d'Orcia. Una casa editrice londinese manda uno dei suoi dipendenti, Geremy, aspirante scrittore oltre che novello editore, a cercarlo per convincerlo a fargli firmare un contratto e così ricominciare a scrivere.
L'incontro tra i due all'inizio non promette niente di buono visto l'acerrimo odio e il feroce accanimento dello scrittore contro gli editori e la sua riluttanza assoluta nel ricominciare a scrivere ma poi, complice l'affinità elettiva che piano piano sboccia tra i due, complici amici e parenti, l'happy end arriva immancabile: non solo lo scrittore si libera del dolore per la morte della moglie iniziando a scrivere, ma anche Geremy scopre sia di avere talento sia l'amore (ovviamente con la figlia dello scrittore) e così decide di abbandonare la grigia Londra i grigi abiti da uomo in carriera per indossare quelli del bohemien contemporaneo e trasferirsi in campagna per scrivere.
Un film in gran parte da dimenticare: una regia quasi inesistente e del tutto priva di personalità e percezione artistica di Brad Mirman, appesantita da una sceneggiatura banale, colma di dialoghi mediocri e spesso ordinari; una fotografia che mira solo a inquadrettare e imbellire il già affascinante panorama toscano; neanche il talento attoriale di un mostro sacro come Harvey Keitel (interprete di innumerevoli cult della storia del cinema), la giovane bravura di Joshua Jackson (conosciuto ai più come uno dei protagonisti della serie tv Dawson's Creek) e la bellezza statuaria di Claire Forlani riescono a fare del film una buona pellicola che anzi eccede talmente tanto in luoghi comuni e clichè cinematografici da risultare davvero solo come l'ennesima commedia pretestuosa ma alla fine senza niente da dire e sostanzialmente insignificante. 