giovanni
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lunedì 2 ottobre 2023
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castronerie
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Come si fa, recensendo un film straordinario come Barry Lyndon, a incorrere in così tante castronerie? Scrive il recensore: «Stanco della vita militare, [Barry] con un espediente entra nell'esercito prussiano». E c’è da sospettare che non abbia visto il film, o che si sia addormentato durante la proiezione. Trascurando il fatto assai improbabile che, essendo stanco della vita militare, uno entri nell’esercito prussiano, cioè nel più duro e spietato dell’Europa settecentesca, va detto che Barry non vi entra affatto, ma, scoperto come disertore inglese dal capitano Potzdorf, viene costretto a diventare una spia al suo servizio (e non il suo «beniamino»). Continua il recensore: «costretto a fuggire, diventa il compare di un raffinato avventuriero».
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Come si fa, recensendo un film straordinario come Barry Lyndon, a incorrere in così tante castronerie? Scrive il recensore: «Stanco della vita militare, [Barry] con un espediente entra nell'esercito prussiano». E c’è da sospettare che non abbia visto il film, o che si sia addormentato durante la proiezione. Trascurando il fatto assai improbabile che, essendo stanco della vita militare, uno entri nell’esercito prussiano, cioè nel più duro e spietato dell’Europa settecentesca, va detto che Barry non vi entra affatto, ma, scoperto come disertore inglese dal capitano Potzdorf, viene costretto a diventare una spia al suo servizio (e non il suo «beniamino»). Continua il recensore: «costretto a fuggire, diventa il compare di un raffinato avventuriero». No, compare dell’avventuriero – le chevalier de Balibari – lo diventa prima di fuggire con lui. E non è affatto vero che «con la spada e la pistola si fa largo nella bella società»: la spada la usa prima, a Berlino, per fare gli interessi del chevalier. «Tratto dal noto romanzo settecentesco di William Makepeace Thackeray», scrive ancora il recensore. Ma il romanzo, ambientato nel Settecento, non è certo «settecentesco», visto che il suo autore è vissuto tra il 1811 e il 1863. Viene poi menzionato il «trio per piano in mi bemolle di Schubert», che essendo, appunto, un trio, lo è per tre strumenti (e non per uno), cioè, oltre al pianoforte, il violino e il violoncello. La recensione si chiude con questa audace affermazione: «Le leggi cosmiche e l'ineluttabilità del destino avvicinano Barry Lyndon a 2001: Odissea nello spazio. L'astronauta affronta i misteri del cosmo e ne è vittima, così come Lyndon entra in un mondo che non gli appartiene, subendone la consueta glacialità». Per carità di patria, meglio non commentare.
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dario bottos
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mercoledì 26 gennaio 2022
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prima la musica, poi il cinema
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Un film non solo di ambientazione settecentesca ma anche di costruzione narrativo-letteraria di stile settecentesco: ossia uno stile anti-narrativo nel quale piuttosto che privilegiare la storia e quindi i processi immedesimativi del lettore/spettatore (catarsi), si privilegia il gioco intellettuale dello sguardo distaccato e dello scambio di parti tra il lettore/spettatore e il narratore, quella voce fuori campo non sempre – come nel nostro caso - “onnisciente”, ossia in grado di spiegare la trama anticipandola.
La storia è quella della parabola umana di un avventuriero che un po’ per “fortuna”, un po’ per fredda e cinica determinazione, costruisce la sua scalata sociale, per poi cadere rovinosamente, sempre per quel misto di “sfortuna”, insipienza e desiderio finale di dissolvimento.
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Un film non solo di ambientazione settecentesca ma anche di costruzione narrativo-letteraria di stile settecentesco: ossia uno stile anti-narrativo nel quale piuttosto che privilegiare la storia e quindi i processi immedesimativi del lettore/spettatore (catarsi), si privilegia il gioco intellettuale dello sguardo distaccato e dello scambio di parti tra il lettore/spettatore e il narratore, quella voce fuori campo non sempre – come nel nostro caso - “onnisciente”, ossia in grado di spiegare la trama anticipandola.
La storia è quella della parabola umana di un avventuriero che un po’ per “fortuna”, un po’ per fredda e cinica determinazione, costruisce la sua scalata sociale, per poi cadere rovinosamente, sempre per quel misto di “sfortuna”, insipienza e desiderio finale di dissolvimento.
Ma il motivo conduttore del film non è la vicenda in sé: da indizi extra-diegetici (i commenti del narratore e le ‘stele’ - cioè i cippi stradali didascalici - che marcano alcune svolte nella vita di Barry) , ma soprattutto al termine della vicenda, ci si rende conto che il vero protagonista della storia non è Barry Lyndon, è il Tempo: il tempo che tutto consuma (Cronos), ma anche il tempo fugace dell’occasione (Kairos), da cogliere quando si presenta senza possibilità di recupero, e infine – terza modalità che la sensibilità del settecento comincia a mettere in luce – il tempo dell’attesa, fatale o quieta che sia. E l’indicatore più forte di questa chiave di lettura è l’accompagnamento musicale del film. Ma “accompagnamento” non è forse il termine più preciso: piuttosto che “accompagnato”, questo film è “portato”, veicolato dalle musiche, che vengono ad assumere una funzione assolutamente determinante per la sua ricezione. A tal punto che si potrebbe parlare di un’ossatura musicale determinata dai lunghi, chiamiamoli così per analogia , “piani-sequenza sonori”, in cui sono state incastonate le sequenze visuali che compongono la storia.
Kubrick non ha voluto musiche “incidentali” ma brani di musica classica coevi alla narrazione: ricordiamo che la musica nel ‘700 comincia ad emanciparsi da funzioni sociali od occasionali e diventa musica “pura”, “assoluta”, l’arte del “tempo” governata solo da leggi interne ed autonome. In particolare Kubrick privilegia il Trio D929 in Mi bemolle maggiore di Schubert, in una citazione quasi integrale meravigliosamente manipolata da un arrangiamento che non si percepisce e che per questo ha ricevuto un Oscar. Un’opera in tempo lento, molto visuale, dall’effetto ciclico-sequenziale quasi ipnotico, in cui il tema del violoncello in mi minore che richiama una marcia funebre è seguito da una sequenza in tonalità maggiore dall’effetto apparentemente ilare. Questo pezzo segna i momenti salienti della vita di Barry, trascinandoci verso una interpretazione esterna e distaccata degli stessi, partecipandoci quasi del punto di vista del destino, o del fato, o della Storia con la S maiuscola che tutto macina e consuma, e dove il punto di equilibrio emozionale è dato dal momento conclusivo.
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great steven
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martedì 26 novembre 2019
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le traversie di un ragazzo di modeste origini.
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BARRY LYNDON (UK, 1975) diretto da STANLEY KUBRICK. Con RYAN O'NEAL, MARISA BERENSON, STEVEN BERKOFF, GAY HAMILTON, MARIE KEAN, HARDY KRUGER, PATRICK MAGEE
L’irlandese Redmond Barry, giovane dall’aspetto affascinante ma penalizzato dalle umili origini, affronta in duello un capitano dell’esercito inglese per contendersi con lui le grazie della cugina. Uscitone vincitore (si scoprirà poi che il proiettile che ha trafitto l’avversario era un tampone di stoppa), è però costretto ad allontanarsi dal paese natio in quanto la sua famiglia rimpiange l’ufficiale, in grado di offrire alla futura sposa, in caso di matrimonio, ben millecinquecento sterline annue.
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BARRY LYNDON (UK, 1975) diretto da STANLEY KUBRICK. Con RYAN O'NEAL, MARISA BERENSON, STEVEN BERKOFF, GAY HAMILTON, MARIE KEAN, HARDY KRUGER, PATRICK MAGEE
L’irlandese Redmond Barry, giovane dall’aspetto affascinante ma penalizzato dalle umili origini, affronta in duello un capitano dell’esercito inglese per contendersi con lui le grazie della cugina. Uscitone vincitore (si scoprirà poi che il proiettile che ha trafitto l’avversario era un tampone di stoppa), è però costretto ad allontanarsi dal paese natio in quanto la sua famiglia rimpiange l’ufficiale, in grado di offrire alla futura sposa, in caso di matrimonio, ben millecinquecento sterline annue. Redmond intraprende la carriera militare allo scoppio della Guerra dei sette anni nell’armata di Her Majesty, ma presto si stanca della vita del soldato e, con un espediente, entra nell’esercito prussiano, senza però evitare di venire smascherato dopo che ha finto di essere un tenente britannico recante un dispaccio a un certo generale. Diventa dunque il beniamino del capitano Potzdorf e presta servizio come spia alle sue dipendenze. Perseguitato nuovamente da circostanze avverse che lo obbligano a fuggire, si unisce a un raffinato avventuriero e, con la spada e la pistola, si apre una strada di tutto rispetto nella bella società. Ormai è un uomo appagato: gli manca soltanto il blasone. Sposando la contessa di Lyndon e assumendone il cognome, colma questa lacuna. Tuttavia il matrimonio si rivela infelice, poiché il figlio della moglie, nato da un precedente matrimonio, lo odia e per molti anni progetta una segreta vendetta. Patrigno e figliastro si affrontano in duello: Barry perde una gamba e tutti i suoi averi. Un malinconico esilio segna il suo definitivo destino. Tratto dal celebre romanzo settecentesco omonimo di William Makepeace Thackeray, Barry Lyndon appare immediatamente come un film anomalo nella produzione di Kubrick. Di difficile collocazione, spaventò alquanto la critica quando uscì nelle sale a causa della mancanza d’una chiave di lettura che consentisse di risalire alle origini del progetto. Dal canto suo, Kubrick non chiarì le sue intenzioni, avvolgendo in un fitto mistero la faccenda. Ad ogni modo, quest’opera elegante e potente, nelle vesti di un’anomalia, è certamente splendida: facendo esclusivo ricorso alla luce naturale e aiutandosi con le candele per gli spazi bui (merito del direttore della fotografia John Alcott, che compì un lavoro egregio), la storia è immersa in un’atmosfera che rende appieno il clima del tempo. Per le riprese, il regista si avvalse di speciali lenti all’avanguardia, fornite dalla Carl Zeiss e adattate da Ed Di Giulio. Nel complesso, il film è freddo e crudele, un’apologia solenne e nostalgica in cui, fra un miscuglio di ironia e pathos mastodontico, si ragiona sui motivi del Male che portano gli esseri umani a instaurare tra di loro rapporti resi sempre più aspri dal concatenarsi delle circostanze in un crescendo di rivalse sanguinarie. La pietà è del tutto assente: ogni atto e ogni pensiero è figlio di decisioni impulsive, mosse da intenti passionali, e in tale ruolo assume una posizione drammaticamente dominante nei confronti del singolo che subisce terrificanti conseguenze a partire dal momento in cui si perde nel dedalo dei rimorsi, delle occasioni mancate e degli imperdonabili errori. Barry Lyndon è un agnello che vuole atteggiarsi a leone, ma si ritrova le sue ambizioni contro di sé quando i veri leoni lo azzannano con la loro maggiore conoscenza dell’universo di cui sono esperti abitanti e verso il quale provano una stima tale da impedir loro di risparmiare uno sprovveduto infiltrato. La faccia scolpita nel dolore e la recitazione sotto le righe di R. O'Neal trasformano quest’interessantissimo personaggio, antieroe e perdente per eccellenza, in un mancato arrampicatore sociale fra i migliori che la settima arte abbia mai concepito. La voce narrante di Romolo Valli accompagna la sua ascesa e caduta con accento persuasivo e beffardo. Altro importante contributo al film sono le musiche assemblate da Leonard Rosenman: fra tutte, spicca il trio per piano in Mi Bemolle di Franz Schubert. Gli altri interpreti sono usati da Kubrick come pedine di un’immaginaria scacchiera che egli percorre assecondando un imperscrutabile disegno metafisico. Le leggi cosmiche e l’inevitabilità del destino accostano questo film a 2001: Odissea nello spazio (ma si ravvisano a tratti richiami lampanti anche a Orizzonti di gloria e Arancia meccanica): l’astronauta affronta l’ignoto del cosmo e ne cade vittima, come Redmond Barry si introduce in un mondo che non gli appartiene e ne paga la consueta glacialità. Suggestive le riprese all’aperto più di quelle in interni, specie quando la telecamera si sofferma sulle battaglie. Quattro Oscar: costumi, fotografia, scenografia, colonna sonora.
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francesco
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martedì 3 settembre 2019
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impossibile trovare difetti
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Capolavoro di regia, fantastiche scenografie, costumi meravigliosi, attori molto molto bravi.
Sicuramente la durata potrebbe fungere da scoglio ma la sceneggiatura ti trasporta
e la storia è bellissima, un meraviglioso ritratto del 700
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steffa
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venerdì 31 maggio 2019
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una stella
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si stenta a credere che il film venga dopo 2001: Odissea nello spazio, ma soprattutto dopo Arancia meccanica, Kubrick con questa pellicola fa decenni di passi indietro come un gambero producendo un film estremente banale, noioso e conformista.... forse avrei dato due o tre stelle se fosse stato di un regista qualsiasi, e forse non avrei neppure continuato a vederlo fino alla fine, una storia dal momento che è inventata dovrebbe dare molto ma molto di più
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xxx
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lunedì 20 novembre 2017
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lento con finale drammatico, stupendo.
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Regia perfetta, attori straordinari, fotografia impeccabile, ci manca un Lucano.
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angelino67
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martedì 17 maggio 2016
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kubrick e la pittura
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Barry Lyndon è costruito secondo l'immaginario dell'epoca, ispirato ai quadri dei grandi pittori. La cugina di Barry, nella scena dopo il duello all'inizio del film, è praticamente identica al ritratto della figlia di Gainsborough, Margareth, custodito a Londra nel Victoria and Albert Museum1, mentre Marisa Berenson è identica alla moglie di Gainsborough in un quadro esposto alla Tate Gallery. Nell'opera di condensazione del suo adattamento Kubrick ridusse il ruolo di Lady Lyndon (tagliando al montaggio molte scene di dialogo) a un’icona quasi muta. Ne viene fuori più un ritratto che un personaggio. Nella scena finale essa non pronuncia una parola. Lo spettatore che non ha letto il libro ignora persino il suo nome, di cui compare unicamente l’iniziale “H” (Honoria) con la quale Lady Lyndon firma i documenti.
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Barry Lyndon è costruito secondo l'immaginario dell'epoca, ispirato ai quadri dei grandi pittori. La cugina di Barry, nella scena dopo il duello all'inizio del film, è praticamente identica al ritratto della figlia di Gainsborough, Margareth, custodito a Londra nel Victoria and Albert Museum1, mentre Marisa Berenson è identica alla moglie di Gainsborough in un quadro esposto alla Tate Gallery. Nell'opera di condensazione del suo adattamento Kubrick ridusse il ruolo di Lady Lyndon (tagliando al montaggio molte scene di dialogo) a un’icona quasi muta. Ne viene fuori più un ritratto che un personaggio. Nella scena finale essa non pronuncia una parola. Lo spettatore che non ha letto il libro ignora persino il suo nome, di cui compare unicamente l’iniziale “H” (Honoria) con la quale Lady Lyndon firma i documenti. Il severo critico d'arte Federico Zeri, che ha definito Kubrick «un artista straordinario» e Barry Lyndon «uno dei capolavori assoluti dell’arte», ha affermato che il regista è «l'unica persona che ha capito fino in fondo, in maniera da far pensare a una forza magica, pittori come Gainsborough (celebre per la fedeltà al modello) e Reynolds (che ha nobilitato il genere del ritratto in una sublimazione ideale e spirituale)». Come ha confermato Ken Adam Kubrick si è ispirato anche a Hogarth, insieme tradizionale e sperimentatore, Stubbs per i costumi da caccia, Hayez col quale il regista condivideva una visione severa della vita e dell'arte, Watteau, un artista di rara sensibilità ed eleganza e perfezione mozartiane, Chardin, famoso per la fedeltà della rappresentazione, l'esattezza del disegno, la verità del colore, Zoffany, apprezzato pittore di corte a Londra e Vienna e Chodowiecki, dallo stile semplice ed essenziale e un grande senso della composizione. I quadri sono la porta attraverso cui Kubrick ha inteso accedere al '700. Nel film ha particolare importanza la voce del narratore: piuttosto strano e ambiguo, ora moralista, ora cinico, ora reticente, ora esaustivo, ora comprensivo, ora impietoso. Una voce che tace nel finale, prima della didascalia conclusiva: «Adesso sono tutti uguali». Il film rappresenta la fine di un mondo. La rivoluzione borghese, dopo l'America, sarebbe scoppiata anche in Europa. Barry Lyndon è il film di Kubrick insieme a 2001 e ad Arancia Meccanica dove la musica ha un’importanza fondamentale. La sarabanda di Handel all'inizio annuncia la lentezza del film e contiene, nella sua gravità e solennità, il destino di Barry (volontà di ascesa ma pesante ritorno a terra). Fellini aveva colto la tristezza di fondo del protagonista, come una specie di segno del suo destino. Barry, come si vede subito nella partita a carte con la cugina, il suo primo amore che preferisce a lui un militare (simbolo della forza, situazione che sarà in qualche modo rievocata dalla confessione di Alice in Eyes Wide Shut), è un essere vulnerabile, passivo, in balia degli eventi, come lo è Bill Hartford, che ama farsi trascinare. Il senso della storia, che sembrava esserci nel secolo dei lumi, oggi sembra smarrito. Kubrick si serve della musica anche per rivelare le bugie, l'ipocrisia, le mistificazioni. Barry ha qualcosa in comune con Alex di Arancia Meccanica, ma pur possedendo del fascino e del coraggio è ingenuo, vulnerabile, passivo e non possiede la lucidità anche se perversa del protagonista del film di quattro anni prima. Sono personaggi e storie che rivelano molto della realtà dell'uomo.
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kubrick73
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martedì 26 gennaio 2016
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una gioia per gli occhi
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CAPOLAVORO ASSOLUTO UNA GIOIA PER GLI OCCHI
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fabio57
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mercoledì 23 dicembre 2015
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insolito kubrick
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Ottimo film ,come rilevato dal critico,insolito e inclassificabile,ma decisamente ben recitato e intrigante.Kubrick sonda l'animo umano in tanti modi e questa parabola disgraziata di un uomo tanto ambizioso quanto sfortunato forse è una delle sue tante chiavi di lettura.
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bomber89
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mercoledì 23 dicembre 2015
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un grande affresco settecentesco
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Inizia il film e sembra quasi di essere seduti nella poltrona di un bel salone a pochi passi da un enorme "affresco animato" di epoca neoclassica. Un dipinto tutt'altro che statico, le vicende narrate sono quelle di Redmond Barry Lyndon, un giovane irlandese molto focoso e istintivo. Una vita piena di peripezie e colpi di scena quella di Barry, che si trova a giovane età a dover scappare dal suo paese di origine per una contesa amorosa finita male per lui; inizierà da lì un lungo viaggio per un Europa tumultuosa, animata dalla Guerra dei Sette anni alla quale Redmond prenderà parte.
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Inizia il film e sembra quasi di essere seduti nella poltrona di un bel salone a pochi passi da un enorme "affresco animato" di epoca neoclassica. Un dipinto tutt'altro che statico, le vicende narrate sono quelle di Redmond Barry Lyndon, un giovane irlandese molto focoso e istintivo. Una vita piena di peripezie e colpi di scena quella di Barry, che si trova a giovane età a dover scappare dal suo paese di origine per una contesa amorosa finita male per lui; inizierà da lì un lungo viaggio per un Europa tumultuosa, animata dalla Guerra dei Sette anni alla quale Redmond prenderà parte. Barry si troverà presto a scalare posizioni sociali, nelle più lussuose regge e sale da gioco del vecchio continente, tra donne di alto rango e personaggi molto influenti. Ma le sue vicende non sono mai scontate, mosso da lussuria, brama di potere e un prorompente carattere istintivo Barry andrà incontro ad una parabola discendente condita da momenti dapprima esaltanti ma ben presto molto drammatici. Un film che ha un certo peso specifico, una caratura importante; si rimane spesso abbagliati dalla sua bellezza estetica e qua una nota particolare di merito va alla straordinaria costumista italiana Milena Canonero, la quale affermò che molti costumi furono realizzati prendendo spunto da numerosi affreschi dell'epoca. Per creare il contesto storico, culturale e artistico Stanley Kubrick usò il materiale inutilizzato per il mai realizzato film su Napoleone e bisogna ammettere che il risultato delle lunghe ricerche fù ripagato da una meticolosità per il dettaglio che appare palese fin dalle prime scene. E poi c'è la voce narrante, forse dello stesso Kubrick, che ci accompagna per tutto il film e con la quale il regista sembra rivolgersi direttamente agli spettatori dicendo: "Mettetevi comodi, vi racconto una storia."
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