Titolo originale | Dangkou |
Anno | 2008 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Cina, Hong Kong, Brasile, Giappone |
Durata | 118 minuti |
Regia di | Nelson Yu Lik-wai |
Attori | Joe Odagiri, Anthony Brandon Wong, Yi Huang, Jeff Chen, Tainá Müller . |
MYmonetro | 2,50 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Kirin è un giovane gangster, che con il padre adottivo Yuda gestisce un vero e proprio impero del mercato nero di un quartiere di San Paolo abitato da emigrati cinesi e giapponesi. A pochi metri di distanza Tetsuo governa la mafia giapponese.
CONSIGLIATO NÌ
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San Paolo, quartiere multietnico di Liberdade. Il boss cinese Yuda festeggia gli affari crescenti del suo traffico di merci contraffatte, mentre il figlio adottivo, il giapponese Kirin, cerca la propria strada, diviso tra la possibilità di ereditare l'impero del padre e quella di seguire la ragazza di cui si è innamorato, una prostituta che sta per uscire dal giro. Quando i politici corrotti cominciano a negare i loro favori a Yuda per favorire un nuovo mafioso orientale, Kirin, incapace di veder il padre perdere colpo su colpo, si pone alla guida di una vendetta feroce e sanguinosa. La storia di padre e figlio si concluderà là dove aveva avuto inizio, nella giungla amazzonica dei cercatori d'oro e degli indigeni che curano lo spirito.
Plastic City, la saga cino-giappo-brasiliana di Yu Lik Wai, come un novello "Padrino" al neon, è prima di tutto un "affare di famiglia". Nella metropoli degli intrecci razziali, "città di dio" delle merci false e dei soldi veri, il regista di Hong Kong racconta di un padre e un figlio che non hanno né lo stesso sangue né lo stesso stile, ma possiedono un legame autentico in un mondo di relazioni di convenienza, e lo fa sperimentando ed esagerando, fino a minare, di stravaganze visive e insensatezze narrative, una saga che parte, invece, nel migliore dei modi.
La bellezza di Kirin, alias Joe Odagiri, si ammanta prima di un alone cristologico, quindi di una strana vocazione eroistica, a metà tra il guerrigliero latinoamericano per la libertà e il samurai del sacrificio, per finire letteralmente nel "trash" del barbone ricoperto di spazzatura. Intanto, il visionario Yu Lik Wai (ottimo direttore della fotografia, anche per Wong Kar Wai) compie una medesima parabola stilistica, attraverso il realismo della presentazione iniziale del mondo del contrabbando e della comunità asiatica di San Paolo, l'iperrealismo dell'inserto della battaglia in stile manga, il surrealismo (e non è un complimento) del tocco finale.
Si parla di borse ed abiti contraffatti, di un universo di plastica (il materiale artificiale per antonomasia), ma anche il film, in fin dei conti, sa un po' di truffa. Un falso d'autore.