Ci sono cose che appaiono, scompaiono, tornano, serpeggiano: una vecchia canzone di Caterina Caselli, Arrvederci amore, ciao rimane indimenticata per la sensibilità o la memoria dello scrittore Massimo Carlotto, che intitola Arrivederci amore, ciao uno dei suoi romanzi più neri: il libro colpisce al cuore il regista Michele Soavi, che ne fa un film (sempre intitolato Arrivederci amore, ciao) con Carlo Cecchi, Michele Placido, Alessio Boni, Isabella Ferrari.
È una storia terribile che comincia nel dicembre 1989 del crollo del Muro: ci sono guerriglieri italiani nella selva latinoamericana, amici che ammazzano amici, poliziotti criminali, un’anarchica spagnola, due feroci fratelli croati, un locale di lap dance, un protagonista ex terrorista, ruffiano, traditore, trafficante di droga, killer. Il film è diretto da uno dei registi italiani più interessanti e sicuri: Michele Soavi, milanese, 49 anni, specialista dell’horror, guidato verso il cinema da Aristide Massaccesi detto Joe D’Amato. Grande bravura, gran carattere. Essendo suo padre, Giorgio Soavi, scrittore, critico d’arte, critico letterario, un esteta, un cultore della bellezza, lui scelse l’orrore e una via aspra: senza sperare nella facilità, preferì imparare lavorando come aiutoregista di Lamberto Bava, di Dario Argento per Phenomena, Opera, Tenebre. A trent’anni dirige il suo primo film, Deliria. Un successo, ma senza credere nella rapidità Michele Soavi torna a lavorare come regista di seconda unità per Terry Gilliam ne Il barone di Munchausen e, più recentemente, nei fratelli Grimm. Altri due film affidatigli da Dario Argento, La Chiesa, La setta, ne fanno la personalità decisiva del new horror anni 90; Dellamorte Dellamore (dal romanzo di Tiziano «Dylan Dog» Sclavi) lo rivela come studioso o amante della pittura (Boechlin, Friedrich).
Senza sperare nella fortuna né snervarsi nell’ozio, lavora sempre, anche per la tv. Si sa che l’horror è il genere preferito dai ragazzi che vi colgono l’eco delle fiabe crudeli, degli orchi e dell’onnipotenza esagerata della violenza. A Soavi Arrivederci amore, ciao è piaciuto farlo, ha visto nel romanzo una «metafora sul mondo che cambia e non sa doveva, sulla realtà contemporanea...Niente più ricerca dei colpevoli: tutti sono colpevoli. Niente più ricerca della verità: l’unica verità è la morte, nel nostro mondo nero».
Da Lo Specchio, 25 febbraio 2006