Halle Berry (Halle Maria Berry) è un'attrice statunitense, regista, produttrice, produttrice esecutiva, è nata il 14 agosto 1966 a Cleveland, Ohio (USA). Al cinema il 26 settembre 2024 con il film Never Let Go - A un passo dal male. Halle Berry ha oggi 58 anni ed è del segno zodiacale Leone.
Catwoman, la donna-gatto bella e cattiva, personaggio secondario nei fumetti di Batman di Bob Kane come al cinema, in Batman-Il ritorno di Tim Burton, dove era interpretata da Michelle Pfeiffer, impersonata da Halle Berry diventa una protagonista assoluta. Così, la prima afroamericana vincitrice dell’Oscar per la migliore attrice nel 2001 con Monster’s Ball- L’ombra della vita, diventa pure la prima afroamericana al centro d’un film commerciale americano grosso, costoso, rischioso, Catwoman. È la prima volta. In passato, soltanto Pam Grierci aveva provato negli anni Settanta, ma con piccoli film a basso costo: per Halle Berry è un’autentica sfida.
Certo non è la prima né l’ultima della sua esistenza tempestosa e sinora vincente. Halle Berry ha trentasei anni, è nata a Cleveland, figlia di una bianca, inglese di Liverpool, infermiera di ospedale, e di un portantino d’ospedale nero dell’Alabama, gran bevitore, che abbandonò la famiglia quando la figlia aveva quattro anni. Molto seducente e ben fatta, ha vinto concorsi di bellezza, ha fatto la fotomodella, ha debuttato al cinema nel 1991 in Jungle Fever di Spike Lee, s’è mostrata nuda nel suo Oscar-film e in Codice:Swordfish, ha fatto da testimonial alla Revlon, si è preoccupata: «Dicono che non sono abbastanza nera per interpretare un personaggio afroamericano, e che sono troppo glamorous per i ruoli drammatici e seri. Sono in un limbo grigio».
Più forti le preoccupazioni amorose e coniugali: dal 1992 al 1996 è stata sposata conio sportivo Davide Justice. Il seguente divorzio, ii ricordo di Wesley Snipes, di un amante dentista a Chicago che pretendeva da lei 80 mila dollari, di un amante manesco che le procurò la perdita dell’udito all’80 percento dall’orecchio sinistro, l’hanno portata sull’orlo del suicidio. Poi è andata meglio: il matrimonio con il cantante Eric Bénet le ha regalato non soltanto affetto ma la maternità, l’amore per la figlia del marito vedovo, India, divenuta come una creatura sua. E tuttavia, mentre sul piano professionale non ha troppi dubbi e della sua bellezza sensuale si sente più che sicura, l’elemento masochista molto presente nella sua personalità e l’elemento vendicativo, spesso presente negli uomini legati a una donna di successo, lascia temere che le sia troppo difficile conservare nella vita amorosa almeno una armoniosa serenità.
Da Lo Specchio, 7 agosto 2004
È una gatta che ancheggia sui tetti. Una ragazza timida terrorizzata da un Capufficio violento. Una donna innamorata e sensuale Una guerriera m lotta contro le false lusinghe di una linea cosmetica che promette eterna bellezza e invece provoca malattia e morte. Forse proprio per questo, per la possibilità di incarnare tante diverse figure femminili nell’arco di un’unica storia, Haile Berry ha accettato di diventare Catwoman nel film diretto dal regista francese Pitof.
Prima donna di colore premiata con l’Oscar per l’interpretazione della cameriera Leticia nel drammatico Monster’s Ball l’attrice prosegue il suo cammino convinta che ogni ruolo, anche il più popolare e prevedibile, possa essere utile per mettere in luce i temi che le stanno a cuore. insomma. niente pazza sotto il naso, niente parti rigorosamente da premio». Se succede che, perla prima volta, la celebre donna-gatto dei fumetti abbia la pelle color cappuccino così come la Bond-giri dell’ultimo capitolo della saga di 007 (La morte può attendere), allora il traguardo è raggiunto: «Significa che per la gente di colore, e in particolare per le donne, non esistono più barriere né ruoli inaccessibili», dice l’attrice.
I film per il grande pubblico servono a realizzare i progetti più complessi, quelli a cui si tiene veramente. E infatti, dopo Catwoman, Berry si è dedicata anima e corpo aTheir eyes were watching God, il film tratto dal romanzo omonimo della scrittrice afro-americana Zora Neale Hurston, nata alla fine dell’Ottocento. Fino a qualche decennio fa risultati di questo tipo apparivano lontani e irraggiungibili: «Per una donna che non ha la pelle bianca decidere di fare questo mestiere è molto più rischioso che per le altre», continua la protagonista di Catwoman. «Mi sono sentita dire per anni che non ero abbastanza nera per interpretare ruoli da afro-americana e che non avevo abbastanza glamour per poter affrontare parti drammatiche. So bene che, per chi mi ha preceduto, la ricerca dell’affèrmazione è stata molto più difficile, ma anche io ho dovuto darmi da fare per uscire da quella specie di limbo che mi imprigionava». L’Oscar ha spazzato via molti ostacoli, ma il cammino da compiere è ancora lungo: «Per sopravvivere a Hollywood bisogna essere dotati di una tenacia sterminata». E di una forza interiore che viene dall’anima e che, nel caso di Berry, mescola dolori del passato con necessità del presente.
Bambina senza padre nell’Ohio degli anni Settanta l’infanzia segnata dal ricordo della discriminazione razziale («A dieci anni, quando con mia madre ci siamo trasferite in un quartiere di bianchi, mi chiamavano “zebra” perché nessuno riusciva a credere che io, con la mia pelle, potessi essere figlia di una bianca»), Halle non ha avuto gran fortuna con gli uomini: uno dei primi fidanzati la picchiò fino a farle perdere l’ottanta per cento dell’udito dell’orecchio sinistro. Da non molto ha concluso con il divorzio la storia del suo secondo matrimonio. E così le gesta di Catwoman sono diventate una valvola di sfogo: «Avevo proprio bisogno di diventare questo personaggio, di essere una donna che, a un certo punto, prende in mano il controllo della propria vita. Di Catwoman mi resteranno molte cose, soprattutto il senso di potere, il suo saper dire al mondo “e ora lasciatemi fare”».
Se qualcuno insinua che dentro quella seconda pelle, tra intarsi leopardati e corsetti sexy, con la frusta schioccante e la mascherina che mette in risalto il lampo vivido degli occhi scuri, è abbastanza facile sentirsi onnipotente. Halle si risente e risponde perle rime: «Non c’è niente di male nel sottolineare quella sensualità femminile che da sempre viene repressa oppure utilizzata unicamente in rapporto all’universo maschile. Mi sembra un’ottima cosa se invece accade, come nella storia di Catwoman, che una donna usi la sua carica di fascino sensuale per prendere coscienza della sua forza e diventare più sicura di se stessa».
Per quello che la riguarda, nella vita fuori dal set, l’attrice confessa con un sorriso di sentirsi in modo sempre diverso, «a seconda dei giorni del mese». Una volta come la timida Patience Philips, impiegata nella casa di cosmetici Hedare Beauty, alle dipendenze della tirannica coppia di proprietari, George (Lambert Wilson) e Laurel (Sharon Stone), un’altra come Catwoman, re-incarnazione felina di Patience tornata in vita dopo che i due l’hanno fatta fuori. Motivo? La piccola grafica dai lunghi capelli ha scoperto che sotto quel marchio si nasconde la morte, che le creme miracolose generano mostri: «È questo il messaggio: la bellezza non si raggiunge sperimentando ritrovati che illudono promettendo eterna giovinezza. Alla bellezza si arriva solo quando si riesce a trovare se stessi, a scoprire le proprie doti interiori, e a sentirsi meglio per questo. Resto orripilata quando vedo donne anche giovani, magari solo trentenni, che ricorrono alla chirurgia plastica sottoponendosi a interventi di cui potrebbero benissimo fare a meno».
Prima di indossare la tenuta da donna-gatto, Berry racconta di aver seguito un lungo percorso di allenamenti: «Ho fatto diete specifiche e mi sono esercitata a lungo. Dovevo preparare il mio corpo ad affrontare le sfide imposte dal personaggio e a modellarsi sulle movenze di Catwoman». Le lezioni più difficili sono state quelle di capoeira, l’arte marziale brasiliana che mescola danza e ginnastica: «È stato complicato anche perché quei movimenti li ho dovuti imparare portando i tacchi a spillo». E dire che tutta questa fatica veniva spesa proprio negli stessi giorni in cui Halle Berry portava a termine la vicenda coniugale con il marito cantante Eric Benét: «Certe volte è veramente doloroso dover sopportare la curiosità dei media. Le intrusioni nella vita privata fanno parte del nostro mestiere, ma sono sempre pesanti da sopportare. Con il tempo ho imparato ad andare avanti, apensaread altro, main alcuni momenti è molto duro riuscirci».
Da Lo Specchio, 21 agosto 2004
Premio Oscar per Monster’s Ball, è un manifesto vivente per l’apertura. La sciocca convenzione la definisce un’attrice “etnica”, un’afroamericana capace di vincere la statuetta come Hattie McDaniel (la Mamie di Via col vento) e Whoopi Goldberg, che però si imposero nella categoria delle non protagoniste (Halle, vincendo da protagonista, ha battuto un paio di record: la prima afroamericana e la prima Bond-Girl ad aggiudicarsi il premio). In realtà Halle è una specie di Onu ambulante: suo padre Jerome è nero, ma sua madre Judith è bianca, o “caucasian” come dicono in America e per di più di origine inglese.
Tra l’altro, Jerome e Judith lavoravano entrambi come infermieri, e la mamma in un ospedale psichiatrico! Avrà potuto dare a 1-lalle dei buoni consigli per il ruolo in Gothika. A scavare nella sua biografia, e Halle è anche una specie di catastrofe ambulante, poveretta ha vinto una caterva di premi di bellezza, è superpagata come attrice e come modella, ma state a sentire: sul set di Gothika si è rotta un braccio perché Robert Downey jr. l’ha malmenata, in una scena, in modo troppo realistico (se guardate con attenzione, in alcune sequenze si intravvede il gesso). Ma questo è uno scherzo rispetto al suo curriculum medico: soffre di una forma piuttosto seria di diabete, è mezza sorda da un orecchio perché un vecchio fidanzato la picchiò durante una lite, si è ferita sul set di La morte può attendere; e non mancano le ferite morali, perché i suoi genitori divorziarono quando aveva 4 anni, non frequenta più la sorella Heidi e, insomma, la sua vita non è stata tutta rose e fiori. Halle non è una ragazza del ghetto: ma quando ne ha interpretata una, come in Buiworth, sapeva ciò che stava facendo. Ce l’ha fatta con il carattere e con la determinazione: pare che sia una seguace dei Metodo in modo addirittura masochista e le leggende da set dicono che per interpretare una tossica in Jungle Fever di Spike Lee non si lavò per settimane, Non affidatele r ruoli troppo pericolosi: ne ha già viste abbastanza, povera Halle, e noi spettatori ci teniamo, a lei.
Da Film Tv, n. 12, 2004
Halle si presenta come una persona che non ha nulla da nascondere, nonostante le violente inversioni di rotta che hanno fatto di lei una presenza incantevole proprio perché conturbante. È stato così fin dal suo primo film,Jungle Fever di Spike Lee. Si era presentata per la parte della moglie borghese di Wesley Snipes, ma il ruolo per cui si è battuta (e che si è conquistata) è stato quello della tossicodipendente. «Mi è sembrata più interessante. Non ho mai provato il crack e non ho mai avuto problemi del genere, ma riuscivo a sentirmi in sintonia con lei».
Dice Marc Forster, il regista di Monster’s Ball: «Ho visto un’incredibile tristezza nei suoi occhi, e ho pensato che lì c’era molto materiale a cui attingere». A sentire Billy Bob Thornton, «per girare quel film non abbiamo dovuto discutere molto. Quando nel tuo passato c’è molta malinconia, se incontri qualcun altro che sembra averne altrettanta, scatta subito il processo di identificazione».
C’è qualcosa in lei che ti attira subito, e non è cosa da poco, vista la sua ambizione. Le sue scelte di carriera sono calcolatissime: per esempio, ha deciso di mostrare il seno in Codice:Swordfish con tutta la spontaneità di una mossa sulla scacchiera. Si potrebbe dubitare che Halle sia pericolosamente vicina al territorio di J. Lo. Ma i suoi disastrosi rapporti interpersonali non sono montature pubblicitarie, e non la vedremo mai sfoggiare gioielli vistosi e pellicce al volante di una Bentley.
Sua madre è bianca e suo padre, un alcolizzato che entrava e usciva dalla loro vita, era nero. Si conobbero in un ghetto di Cleveland. Poi si trasferirono in un quartiere abitato da bianchi, e la situazione peggiorò. «Non mi sentivo né accettata, né abbastanza in gamba. Semplicemente, mi sentivo stupida. Ero strana perché ero nera, e una parte di me avrebbe voluto gridare: ma io sono anche bianca, guardate mia madre! Perché non riuscite ad amarmi?». I bambini, per prenderla in giro, le riempivano la cassetta della posta di biscotti Ringo: metà bianchi e metà neri. Accetta qualsiasi carica scolastica, agita i pompon e sorride. Sempre all’ombra di un padre che non vive stabilmente in casa da quando lei ha dieci anni, che è sempre pieno di rabbia. Che beve e che picchia lei, sua madre e la sua sorella maggiore. Un’insegnante di colore di cui è rimasta grande amica l’ha poi aiutata a recuperare, in parte, la certezza che «black» sia «beautiful». Ma ormai il danno era fatto: «La voglia di farmi accettare a qualunque costo mi è rimasta dentro».
Lo si è visto alla notte degli Oscar, con quel discorso che a molti è sembrato un po’ forzato. Ricordate? «Stasera si è aperta una porta...». Va bene, Halle è stata la prima nera a vincere un Oscar come migliore attrice protagonista, ma da qui a farsi passare per icona dei diritti civili... «Mi sentivo al settimo cielo, e camminavo con i piedi a qualche centimetro da terra», ricorda lei. «Avevo raggiunto il successo, il mio matrimonio andava benissimo, avevo una figlia meravigliosa. «Qualche giorno dopo, stavo tornando in aereo a Londra per finire le riprese del film di J ames Bond e pensavo, ecco che cosa si prova ad avere tutto, ma proprio tutto. Tempo dieci giorni ed è arrivata la mazzata: Eric era malato, sesso dipendente, non poteva fare a meno di fare sesso, ovunque, con chiunque».
Fino a quel momento, nessun sospetto l’aveva sfiorata. Per fortuna questa volta non ha preso in considerazione l’idea del suicidio, come aveva invece fatto dopo il divorzio dal suo primo marito, David Justice. Quando si era seduta in macchina per avvelenarsi con il monossido di carbonio, e solo il pensiero di sua madre l’aveva trattenuta. «Non mi azzarderò mai più a fare niente del genere. Mai e poi mai», dice adesso. E quando tocca questo argomento così serio e doloroso la sua voce diventa quasi trasparente.
Le faccio notare che, almeno all’inizio, lei e Benét si erano forse sentiti uniti dalle rispettive dipendenze: lui per il sesso, lei per il lavoro. «Era proprio quello a tenerci legati», ammette. «Anche se il mio vizio è più accettabile a livello sociale. Oltre che più remunerativo».
Ma come si fa a tradire Halle Berry? Sarebbe più facile rispondere a questa domanda se Halle sembrasse un’amazzone invincibile e non la damigella in pericolo di cui ha tutta l’aria. Certo non deve essere facile entrare in sintonia con la sua essenza più profonda.
Come tutte le donne sole al mondo e private della protezione di un buon padre, non è predisposta ai legami sani. Fino a oggi, Halle ha messo in fila alcune scelte sentimentali terribilmente sbagliate. C’è stato l’attore di Hollywood che l’ha picchiata con tanta forza da danneggiarle un timpano e farle perdere l’udito da un orecchio; Justice, il giocatore di baseball con cui è stata sposata per anni, che a quanto si dice la malmenava regolarmente; e poi Benét, il cantante di R&B che con le sue tuniche da sacerdote, i dreadlock e i gioielli fatti con le conchiglie sembrava rappresentare una scelta più gentile, lo sforzo consapevole di spezzare un pericoloso modello di comportamento. In realtà Benét aveva un tratto in comune con i suoi predecessori: anche lui l’avrebbe inesorabilmente delusa e abbandonata.
E poi è arrivato Catwoman, il ruolo perfetto per far emergere la dura che c’è in lei. Entro certi limiti, ha funzionato. «Proprio mentre stavo girando il film, mi sono trovata a prendere alcune importanti decisioni sul mio futuro: dovevo imparare ad affermare che non merito di essere maltrattata; e dovevo imparare a reagire, a combattere.
Diventare Catwoman mi ha insegnato a recuperare il mio potere. Indossare ogni giorno quella tuta aderente, non avere alcuna regola da rispettare, riprendere contatto con la mia sessualità, con la mia forza, e persino dire e fare tutto quello che volevo mi è servito a rimettere in sesto certe parti della mia vita quotidiana. Ho cambiato alcuni dei miei collaboratori, e ci sono state novità anche nell’ambito del mio matrimonio e delle mie amicizie... Diciamo che con Catwoman ho fatto le pulizie di primavera».
La storia pare piuttosto complessa. La protagonista del film non è la Donna gatto originale, cioè la nemica-amica di Batman, ma una sua discendente che deve imparare a dominare il lato più debole della propria personalità per sconfiggere il male: nell’occasione, annidato in un’azienda produttrice di cosmetici. E poi, naturalmente, c’è il lato felino di Halle: alcune esasperazioni di questo suo aspetto hanno irritato i puristi amanti del fumetto originale, che si sono scatenati in critiche e osservazioni ironiche sui forum di Internet. Non mancano altri segnali positivi: nonostante la rottura con Benét, Halle ha mantenuto uno stretto legame con la figlia di lui, che ha perso la madre biologica poco dopo la nascita. E poi si sta costruendo una casa nuova, per chiudersi metaforicamente alle spalle la porta di quella vecchia, il luogo dove si erano consumati i suoi due matrimoni imperfetti: così moderna e così severa, non le sembrava più adatta a lei. E adesso andrà a vivere in campagna.
Suo padre è morto l’anno scorso, minato dal morbo di Parkinson. Il nodo dei loro rapporti non si è mai potuto sciogliere. Alcuni anni fa, lui aveva venduto allo Star, un tabloid scandalistico, la storia della sua figlia famosa per sei birre e una manciata di sigarette, accusandola di non essere andata a trovano nemmeno sapendo che stava per morire.
Da Vanity Fair,n. 35, agosto 2004
Per prepararsi al ruolo di Catwoman si è comprata un gatto.
Dice che assomiglia a quello di Alice nel paese delle meraviglie, il micio del Cheshire che scompariva e lasciava dietro di sé soltanto il sorriso. Anche la donna gatto adesso sorride. Pronta a graffiare di nuovo i botteghini dell’estate americana. E a sfoderare, sotto il completino cucito a pelle, quel suo appeal felino che ha sempre sedotto gli spettatori: dal primo topless di Codice: Swordfish al bikini supersexy (citazione di Ursula Andress) indossato per uscire dalle acque di 007 La morte può attendere, passando persino per la parrucca bianca da regina delle tempeste di X-Men. Halle Berry torna agli effetti speciali su cui ha costruito la sua carriera: bellezza e rischio. E accantona, per il momento, quella vocazione a martoriarsi sullo schermo che può premiare la prima volta, come testimonia anche l’imbruttita Charlize Theron di Monster, ma alla seconda è già indigesta. Se il ruolo della sfortunata cameriera di Monster’s Ball due anni fa aveva procurato ad Halle, prima e finora unica attrice nera, l’Oscar da protagonista, il tentativo di replicare una parte di dolore-sofferenza-morte non ha proprio convinto critica ed estimatori. Perché Berry èuna che quando il regista dà il via alle riprese e dice: «Azione!», lo prende sempre alla lettera. Fin troppo. Non c’è set su cui Halle non finisca, prima o poi, al pronto soccorso. Con 007 si è fatta male a un occhio, con Catwoman ha battuto la testa ed è stata tenuta in osservazione in ospedale. Strapazzatissima anche la sua psicanalista di Gothika, accusata di un uxoricidio che non sa se ha commesso («Anima torturata, vittima: il tipo di personaggio che amo interpretare, perché deve combattere contro i pregiudizi e ingoiare un sacco di merda»), ha dovuto mettersi il gesso sul braccio spezzato dopo uno scontro troppo realistico con Robert Downey jr. A causare gli incidenti contribuisce la scelta dell’attrice di evitare le controfigure: sul set della donna gatto la sua disponibilità a mettersi in gioco ha entusiasmato la troupe, tanto più nel paragone con la coprotagonista Sharon Stone che sfoggiava pose da diva e guardie del corpo (doveva far pagare alla Berry il fatto che questa le aveva soffiato, nell’età della pietra cinematografica, il ruolo di segretaria sexy dei Flinstones). Ma forse c’è anche un motivo meno evidente. Una sottile vena masochistica che si intreccia con la sua vicenda personale. E che ha anche segnato la sua vita sentimentale. Uno dei primi fidanzati la picchiò al punto da farle perdere quasi completamente l’udito da un orecchio.
La sua, d’altra parte, è stata fin dall’inizio una vita da vittima designata. A partire dal nomignolo che i coetanei avevano coniato per lei, da bambina. Prima di diventare una gatta, era infatti la “Zebra”. Mezza bianca, per i geni trasmessi da mamma Judith, e mezza nera, con un padre afroamericano alcolizzato che abbandonò la famiglia quando lei aveva quattro anni, dopo aver malmenato e violentato sia la moglie sia l’altra figlia, Heidi. Piccola, nel quartiere nero di Cleveland in cui cresceva, la sfumatura mulatta del viso la faceva prendere di mira dai ragazzini di colore.
Poi, quando con madre e sorella si trasferì in un quartiere bianco, le cose non andarono meglio. A disagio in un corpo perfetto, esuberante ma sofferente (nella sitcom Living Dolls dovette rinunciare al suo primo ruolo per un collasso da diabete), Halle ha sempre camminato sul crinale sottile che separa seduzione e dolore. Rischiando spesso le scivolate. La più drammatica fu quando, il giorno della separazione dal primo marito, il giocatore di baseball David Justice, decise di suicidarsi. Ma, chiusa la porta del garage e acceso il motore, prima che i fumi di scarico facessero effetto dice — si rese conto che non poteva farlo: per sua madre, che da sola l’aveva allevata e che non meritava un simile dolore. Così, ha scelto di andare avanti da sola. Con la stessa grinta che aveva sfoggiato agli esordi della carriera, quando aveva litigato con Spike Lee: lui la considerava troppo bella per affidarle una parte seria in Jungle Fever lei tenne duro e alla fine ottenne il ruolo che voleva, quello della fidanzata tossica di Samuel L. Jackson. Anche nella vita privata Halle ha, di recente, tentato di imporre le proprie scelte. Sposatasi con il musicista Eric Benét, ha resistito alle numerose défaillance di lui e l’anno scorso lo ha persino convinto a farsi ricoverare in una clinica per sessuomani. Ma all’ultimo tradimento, la scorsa estate, ha preferito lasciarlo. E ha consegnato tutta la vita al cinema. A tal punto che, sul set di Catwoman, è scoppiata la love story con il regista Pitof. Tempo fa, alle prese con Bond, Halle diceva: Sono una donna che deve riuscire a esprimere la sua sessualità da qualche parte. Sento che imparerò, perché so che questa è la mia arma segreta. Ora ha imparato.
Da Vanity Fair, 8 Aprile 2004
Premio Oscar 2002, è un’attrice di enorme successo. Recentemente ha interpretato il thriller Perfect Stranger assieme a Bruce Willis. Lo scorso anno ha recitato nel ruolo di Storm in X-Men 3,ultimo episodio della saga, diretto da Brett Ratner. In precedenza è stata una delle protagoniste del thriller psicologico Gothika. Nel 2003 è stata interprete di X2, film che ha incassato più di 200 milioni di dollari. Nel 2002 è Jinx, nell’episodio di James Bond Die Another Day, La morte può attendere, insieme a Pierce Brosnan. Il film è stato uno dei più grandi successi nella serie degli 007. Nel 2002 ha ottenuto il riconoscimento come miglior attrice protagonista agli Academy Movie Awards, il premio SAG e l’Orso d’Argento a Berlino. E’ stata nominata miglior Attrice dalla National Board of Review, premiata con l’Emmy per il film prodotto da Oprah Winfrey per Their Eyes Were Watching God. Ha vinto anche un Emmy, un Golden Globe, un SAG Award, e un NAACP Image Award per l’interpretazione nel telefilm Introducing Dorothy Dandrige, di cui è anche produttrice. Ha esordito nel film di Spike Lee Jungle Fever. In Bulworth era uno dei protagonisti assieme a Warren Beatty. in Boomerang ha recitato insieme a Eddie Murphy e Swordfish la vedeva con John Travolta e Hugh Jackman. Recentemente è la testimonial per la casa di bellezza Revlon.