Figlio di Quinto Albicocco iniziò a lavorare nel cinema come operatore. Poi divenne aiuto-regista (di Jules Dassin in Celui qui doit mourir, (Colui che deve morire, 1957). Quindi realizzò alcuni cortometraggi, prima di dirigere La file aux yeux d'or (La ragazza dagli occhi d'oro, 1961), il suo primo lungometraggio. Ispirato a un racconto lungo di Balzac, il film (che aveva come protagonista Marie Laforét moglie del regista) metteva in luce il manierismo formale che inficierà anche le sue opere future. La preziosità della fotografia (curata dal padre) risulta fine a se stessa e va a scapito della storia e del rilievo dei personaggi. Il film godette di un certo successo di pubblico, dovuto anche al sapore di scandalo della vicenda. Segui nel 1962 Le zat d'Amérique (Il sentiero dei disperati), poi quello che viene considerato come la sua opera migliore: Le grand Meaulnes (I verdi anni della nostra vita, 1967), tratto dal romanzo di Henri Alain-Fournier e caratterizzato da un uso nevrotico dei movimenti della macchina da presa. Altri titoli della sua filmografia: Le coeur fou (Follia dei sensi, 1970) e Le petit matin (Quel violento mattino d'autunno, 1971). Sono film infarciti di acrobazie tecniche (grandangoli esasperati, sovraesposizioni, sfocature, alterazioni cromatiche) che appesantiscono la narrazione e franano nella paralisi espressiva. L'insuccesso induce A. a cedere le armi e a partire per il Brasile dove dirigerà la succursale della Gaumont.
Da Nuovo dizionario universale del cinema - Gli autori, Editori Riuniti 1996