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Quando la moglie di Polanski incinta del loro figlio fu uccisa in modo efferato dai seguaci di Manson io avevo 15 anni e non avevo ancora maturato in modo così forte la mia passione per il cinema che poi mi fece conoscere e apprezzare i film di questo regista. Mi ricordo che pensai come avrebbero mai potuto uscire da quel dramma i familiari. E secondo me Polanski non è mai uscito da quel dramma, l'urlo di dolore di allora è rimasto nella ferocia che nei suoi film di volta in volta affiora in forme diverse, a volte in forma drammatica, altre in forma comica, a volte asetticamente silente. In questo film la ferocia è verbale e strabordante, e spariglia continuamente le due coppie protagoniste in un crescendo di verità viscerali che, complice l'alcool, man mano vengono liberate dalle briglie delle convenzioni sociali e dalle convinzioni che ciascuno si è costruito per cementare gli argini a vite "di facciata". Il pretesto che innescherà questo vortice e che disintegrerà questi argini, la lite tra i rispettivi figli, d'altronde è poco importante e bastano quattro mura di un salotto come unica location. Il peso del film è dato dalla bravura del regista nel dirigere splendidamente i bravissimi attori su una sceneggiatura che ci vomita letteralmente addosso quello che realmente siamo contrapposto a ciò che pensiamo di essere. E quando a toccare questo tasto sono registi di questo calibro è improbabile che non ci trasportino verso qualche riflessione. Secondo me, assolutamente da vedere.
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