La «comica» cinematografica nasce dal clown che, grazie al cinema, può moltiplicare i luoghi delle sue disavventure: pile di piatti che si infrangono, le torte di crema che riceve in viso, le legnate che dà e incassa, con variazioni e sviluppi di fughe accelerate, tuffi inevitabili, docce improvvise. La prima «comica» molto risente della pula del circo, e più evidentemente ne risentono abiti, fogge e truccature. Ebbene, fra quei calzoncioni a sbrendoli,;fra quelle casacche a mantello, e nasi a palla, e parrucche a cespuglio, e orecchie a ventola, appare il compito, elegantissimo Max Linder. Nel suo irreprensibile tight, sotto gli otto riflessi del suo cilindro, e con le scarpine di vernice dalla ghetta bianca, lo si direbbe il manichino e l'insegna di una sartoria usa a promulgare fogge che, per volere essere molto eleganti, lo sono fin troppo. Comunque, con quella che presto diventa la sua uniforme, Max rinuncia alla violenza, al capitombolo, al lazzo, alla farsaccia, e propone senz'altro un attore.
Che deve farsi una sua fisionomia in un suo repertorio e vi riesce costringendo e spremendo la sua recitazione in pause e sottintesi, allusioni e ammicchi. Così, nella «co mica» grossolana, si affaccia e vorrebbe imporsi un po' di finezza, che certo non dimentica le risorse dei teatri dei boulevards, a ritroso fino a Labiche, e al punto di tentare alcuni suoi scorci di ironico vaudeville in pillole. È un parigino; e lo sarà tanto lavorando in Francia quanto lavorando in America. Da Les débuts d'un patineur (1907) a Max et la quinquina (1911), da Toreador (1909) a Max en Amerique (1917) e a Sept ans de malheurs (1922), la sua «silhouette» non si smentisce mai, è sempre alla ricerca di una trovata o di una trovatina non marchiana, e sempre sfruttando le più evidenti risorse dello schermo. Se avesse saputo avere un altro distacco dalla sua macchietta, avrebbe potuto indurla a diverse ambizioni, facendone-forse una maschera di quei tempi. Max sarebbe potuto essere lo snob della «belle époque» con riuscite impagabili, il significato delle quali potrebbe essere ancora oggi rivelatore. Invece il suo fu un abile e un po' arido calcolo che si esaurì nel suo tempo, e che ancora può destare risate e consensi soltanto per a sua meccanica, spesso infallibile. Nessuno poteva supporre che l'onnisorridente Max si sarebbe ucciso a quarantadue anni, nel 1925; e doveva toccare al suo collega Charlot di darci una maschera vera, che in Charlot farà sempre riconoscere e applaudire Chaplin.
(1931.)
Da Film visti. Dai Lumière al Cinerama, Edizioni di Bianco e Nero, Roma, 1957