La sua gavetta di divoratore di fumetti e di cartoni animati, di appassionato di horror e di fantastico, è stata una fanzine che si chiamava “The Castle of Frankenstein”. Il suo primo film, realizzato con l’amico Joe Davison, si intitolava The Movie Orgy, sette ore in 16 mm. E la sua vera università è stata la bottega del leggendario Roger Corman dove, accanto ad altri “allievi” destinati a brillanti destini cinematografici (dopo la generazione dei Bogdanovich, Monte Hellman, Coppola, quella dei Paul Bartel, Demme, Tobe Hooper), il giovane Joe Dante tagliava e montava i trailer dei film (e ha raccontato che quando una presentazione gli veniva troppo noiosa, montava regolarmente la ripresa di un elicottero che esplode rubata a un film filippino...).
Uscito dal Philadelphia College of Art, giornalista, Joe Dante, dopo l’apprendistato cormaniano, debutta nel 1976 firmando in collaborazione con Allan Arkush un film di montaggio, Hollywood Boulevard (la storia di una casa di produzione alla Corman che produce film a basso costo), poi, l’anno successivo, la regia di Piraña (scritto da John Sayles), che rifaceva - in piccolo - Lo squalo, speziandolo con un messaggio politico: i pesci carnivori sono frutto di una sperimentazione Cia.
Intanto continua il suo lavoro di montatore(Attenti a quella pazza Rolls Royce, 1977, primo film di Ron Howard), e mentre scrive con Arkush Rock‘n Roll High School (1979) conosce il suo futuro socio, Mike Finneli, con cui realizzerà L’ululato (1981) e Ai confini della realtà (1983). Entrato nell’orbita di Spielberg, con lui produttore firma nel 1984 la regia di Gremlins (che ha incassato oltre duecento milioni di dollari), continuando poi con Explorers (1985), Donne amazzoni sulla luna (1987), L’erba del vicino (1989).
Dante, abilissimo nel cucire film a basso costo, è tra i “cormaniani” il più umano e spiritoso, nelle fantasie come nella morale, capace insieme di ferocia, di tenerezza e di satira mordace. Un artigiano coi fiocchi che maschera abilmente una cultura alta sotto i modelli dei generi popolari e gli effetti da film di serie B in un intelligente omaggio alle meraviglie di un cinema perduto.
Da Irene Bignardi, Il declino dell’impero americano, Feltrinelli, Milano, 1996