Anno | 2025 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Giappone |
Durata | 60 minuti |
Regia di | Kore'eda Hirokazu |
Attori | Rie Miyazawa, Machiko Ono, Yu Aoi, Suzu Hirose, Masahiro Motoki Ryuhei Matsuda, Kisetsu Fujiwara, Seiyo Uchino, Jun Kunimura, Yuuki Luna, Jolene Kim, Atsuko Takahata, Keiko Matsuzaka. |
Tag | Da vedere 2025 |
MYmonetro | Valutazione: 4,50 Stelle, sulla base di 1 recensione. |
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Ultimo aggiornamento martedì 21 gennaio 2025
Le vicende di una famiglia in cui le quattro figlie scoprono i tradimenti del padre.
ASSOLUTAMENTE SÌ
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Takiko (Yu Aoi) e le sue tre sorelle Tsunako (Rie Miyazawa), Makiko (Machiko Ono) e Sakiko (Suzu Hirose) scoprono che il loro padre settantenne ha una relazione da anni con una donna più giovane. Questo evento scatena una serie di riflessioni e rivelazioni che trasformano profondamente le loro vite. La scoperta di un figlio segreto, rivelata a Takiko attraverso un investigatore privato, complica ulteriormente la situazione. Ogni sorella, con la propria personalità e il proprio bagaglio emotivo, reagisce in modi diversi, offrendo uno spaccato intimo e autentico delle relazioni familiari e della condizione femminile.
Asura, un riadattamento contemporaneo della serie televisiva del 1979 di NHK Like Asura, è un piccolo capolavoro in sette episodi. La serie originale fu fondamentale per l'evoluzione della televisione giapponese, diventando un modello per il genere drama nazionale.
Questa nuova versione, diretta dal maestro Hirokazu Kore'eda, porta con sé il
tratto distintivo del regista: un'esplorazione empatica e osservativa delle dinamiche
familiari, già evidente in opere come Father and Son (2013) e Un Affare di Famiglia
(2018), rispettivamente Premio della Giuria e Palma d'Oro a Cannes.
Un racconto estremamente delicato e riflessivo, ma con taglienti momenti di introspezione
che sono capaci di andare oltre la superficie di un tradimento familiare; Kore'eda scava nei
meandri delle relazioni tra le protagoniste e, soprattutto, della loro identità, non solo come
figlie, ma come donne adulte in un Giappone, quello degli anni Settanta, in bilico tra
tradizione e modernità occidentalizzante.
Kore'eda applica lo stesso approccio empatico e osservativo che ha definito la sua
carriera, con una regia dal ritmo lento e contemplativo, che consente ai personaggi di
evolvere gradualmente, ma mai in maniera melodrammatica, puntando piuttosto sulla
verità dei sentimenti. Fulcro della narrazione è forse la conclusione del terzo episodio,
dove vengono citati alcuni passaggi del romanzo Gubijinso (Il papavero) di Natsume
Soseki del 1907 - dei quali Netflix, speriamo, corregga l'errata traduzione della parola
giapponese usata per indicare la commedia (che ha una sfumatura e un significato
estetico ben diverso rispetto al termine scelto per i sottotitoli, comicità).
«La tragedia è meglio della commedia. "Miglio o riso?" Quella è commedia. "Quella donna
o questa?" Quella è commedia. "Inglese o tedesco?" Quella è commedia. Tutto è
commedia.
Alla fine, rimane una domanda. "Vita o morte?" Questa è tragedia.»
In Asura, Kore'eda sceglie di concentrarsi su come le relazioni si intrecciano e si evolvono
nel tempo, esplorando la tensione tra ciò che viene detto e ciò che viene taciuto, tra ciò
che è mostrato e ciò che è suggerito. E lo fa ad ogni possibile livello di interpretazione del
testo, fintantoché, d'un tratto, il registro s'interrompe e cambia. Un cambiamento che, in
una riflessione che fa eco a Pasolini, può avvenire solo con la morte.
Il discorso, se vogliamo, è lo stesso che viene fatto per la protagonista di The Substance
(Coralie Fargeat, 2024) interpretata da Demi Moore, in questo caso tragicamente, perché
catapultata proprio verso la morte: la totale inaccettabilità di sé stessa diventa
drammaticamente condizione di morte, e da lì di horror, in quanto associata e fortemente
interconnessa alla fisicità del personaggio. Solo la morte, infatti, trasforma
incontrovertibilmente la commedia in tragedia, e rende perciò ogni legittimo dramma
espresso dalle protagoniste di Asura, per quanto profondo o doloroso sia, un elemento
della commedia, d'altronde risolvibile se accettato, ovvero se accettata in cuore la propria
natura.
Uno degli elementi più affascinanti di Asura è la sua accurata ricostruzione storica del
Giappone degli anni Settanta, un periodo di forte transizione sociale e culturale, in cui le
sollecitazioni occidentali - più volte citate nella serie direttamente (tra tutte troviamo Rocky
II, che uscì anche nelle sale giapponesi proprio nell'anno in cui è ambientata la serie, il
1979) o indirettamente. Un Giappone ancora strettamente legato a valori tradizionali, ma
che stava contemporaneamente vivendo l'influsso di un mondo, quello occidentale, che
spingeva verso una poderosa autoaffermazione, a un'esplorazione più intima, a tratti
egocentrica, del proprio status. Tutto, dalla fotografia che enfatizza le emozioni sottese
nelle scene più intime, o che celebra il periodo, alla scenografia, concorre a definire un
fondamentale cambiamento sociale in cui la ricerca di autodeterminazione si scontra con
un sistema maschile del tutto impreparato, come in Occidente, ma in qualche modo più
disponibile, malgrado le sue recrudescenze, a quello stesso cambiamento.
Il cast è straordinario: le quattro attrici portano in vita i complessi personaggi delle sorelle
Takezawa, mentre il padre è affidato a Jun Kunimura, che forse ricorderete nei panni del
subito decapitato Boss Tanaka in Kill Bill da O-Ren Ishii. Tutte le performance sono
impeccabili, ma è la chimica tra le attrici che rende la serie davvero efficace.
Incomprensioni, rivalità e affetto si alternano in tutti gli episodi, rendendo le relazioni
tutt'altro che di facile lettura e soprattutto trovando una risoluzione in un principio di
sorellanza che deve andare ben oltre il legame di sangue, in un crescendo emotivo che,
appunto, mai lascia al melodramma la libertà di semplificare tali relazioni.
Asura è una riflessione delicata sulla famiglia, capace di raccontare un momento cruciale
del percorso sociale nipponico nella seconda metà del Novecento. E soprattutto è una
serie femminista che, seppur si focalizzi molto sui rapporti delle protagoniste con gli
uomini, questi presto vengono posizionati in secondo piano, cioè in quello di una
tradizione che, sì, permane, ma che appare anche vecchia, posizionata in un passato
storico, capace solo di individuare la domanda "uomo o donna?" che dovrebbe sempre
rimanere sul piano della commedia, mai sfociare - come accade, purtroppo, spesso, da
sempre, e anche qui - in tragedia.