eugenio
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venerdì 26 aprile 2024
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l''orrore nero
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L’orrore, delle volte, ha il volto dell’assoluta tranquillità. O meglio, l’orrore è asettico, gelido. Non ti concede nulla, solo spazio per il dolore. La zona di interesse è un film dell’orrore. Un orrore che permea i cento e passa minuti della pellicola con un inizio e fine a cerchio raggelati in una musica catatonica che ricorda grida umane. Di corpi bruciati senza remore nel camino, di cenere che bagna il fiume, di un muro oltre il quale quell’orrore si definisce nel volto di Rudold Hoss, il più famigerato primo comandante del campo di concentramento di Auschwitz. Lui ne è ricoperto, tanto da esserne assuefatto. Nell’ordinata casa con giardino meticolosamente coltivato dalla sua “regina” (una Huller in stato di grazia) e piscina per i bambini, trascorre la sua quotidiana esistenza intervallata da qualche “carico” di ebrei e di prigionieri che di tanto in tanto appaiono portando alimenti per la dispensa, ma anche sacchi di abiti, che poi le donne selezionano e si spartiscono.
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L’orrore, delle volte, ha il volto dell’assoluta tranquillità. O meglio, l’orrore è asettico, gelido. Non ti concede nulla, solo spazio per il dolore. La zona di interesse è un film dell’orrore. Un orrore che permea i cento e passa minuti della pellicola con un inizio e fine a cerchio raggelati in una musica catatonica che ricorda grida umane. Di corpi bruciati senza remore nel camino, di cenere che bagna il fiume, di un muro oltre il quale quell’orrore si definisce nel volto di Rudold Hoss, il più famigerato primo comandante del campo di concentramento di Auschwitz. Lui ne è ricoperto, tanto da esserne assuefatto. Nell’ordinata casa con giardino meticolosamente coltivato dalla sua “regina” (una Huller in stato di grazia) e piscina per i bambini, trascorre la sua quotidiana esistenza intervallata da qualche “carico” di ebrei e di prigionieri che di tanto in tanto appaiono portando alimenti per la dispensa, ma anche sacchi di abiti, che poi le donne selezionano e si spartiscono.
In questa quotidianità sta l’orrore. Jonathan Glazer abilmente lo scruta, disossando l’omonimo testo di Amis, sottolineando la totale indifferenza di ciò che rimane in sottofondo, il dolore e le grida, appunto. Nella sua pellicola minimalista, parlano le immagini, i controcampi, i fiori, il fumo nero e acre. Parlano i pochi dialoghi raggelanti, il rigetto senza liquidi, il corpo che si rifiuta di vivere. Parlano i suoni litanie di morte, parla la logica perversa, allucinata e delirante nazista priva di qualunque empatia. Ma parla anche, di notte, la speranza di una figura che si muove con la bicicletta tra terra e campi a sotterrare delle mele per far rivivere quei corpi umani attecchiti dalla morte e dar loro una minima speranza di rinascita. In una notte nera rischiarata da una termocamera, il giorno cieco e inspiegabile si fa più crudo, senza volto, nell’abisso oscuro di una storia dolorosamente vera e infernale.
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no_data
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sabato 20 aprile 2024
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film inutile
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A mio parere, è un film di gran lunga sopravalutato che non racconta niente di nuovo e neanche in modo nuovo. I personaggi sono (volutamente) inespressivi e non trasmettono alcun tipo di emozione, al di fuori della scena nella quale la moglie del comandante del campo reagisce all'idea di un trasferimento della famiglia. Non è una novità la messa in scena dell'indifferenza del mondo alle vicende dei deportati nei campi di concentramento e non può essere certo questa "genialata" della casa del comandante attaccata al muro del campo di Auschiwitz a dare spessore all'indifferenza; del resto aspettarsi commozione verso l'orrore che li si compie da parte di chi lo compie...mi pare un assurdo. Certo, diverse immagini ad effetto (le scene in negativo) con le musiche o i suoni improvvisi, la scelta (banalissima) di far sentire spari in sottofondo ed un rumore continuo come di "un braciere" in costante attività, danno al film questa aura di pellicola particolare per il "detto-non detto" ma.
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A mio parere, è un film di gran lunga sopravalutato che non racconta niente di nuovo e neanche in modo nuovo. I personaggi sono (volutamente) inespressivi e non trasmettono alcun tipo di emozione, al di fuori della scena nella quale la moglie del comandante del campo reagisce all'idea di un trasferimento della famiglia. Non è una novità la messa in scena dell'indifferenza del mondo alle vicende dei deportati nei campi di concentramento e non può essere certo questa "genialata" della casa del comandante attaccata al muro del campo di Auschiwitz a dare spessore all'indifferenza; del resto aspettarsi commozione verso l'orrore che li si compie da parte di chi lo compie...mi pare un assurdo. Certo, diverse immagini ad effetto (le scene in negativo) con le musiche o i suoni improvvisi, la scelta (banalissima) di far sentire spari in sottofondo ed un rumore continuo come di "un braciere" in costante attività, danno al film questa aura di pellicola particolare per il "detto-non detto" ma...finisce tutto qui. Anche la scena della descrizione delle caratteristiche tecniche del "forno circolare" è abbastanza banale e la riunione nella quale vengono premiati i comandnati dei vari campi per "il raggiungimento degli obiettivi di produzione" mi sembra una farsa infantile messa li apposta per rimarcare, se mai ce ne fosse bisogno, l'orrore dell'obiettivo nazista della eliminazione della razza ebrea. Insomma, in definitiva, un film molto "furbo", che con delle trovate di regia e scenografia particolari, mira a stupire lo spettatore. Concludo osservando che, se già non conoscessimo la storia della shoah, non capiremmo il senso di molte trovate di questo film; un giovane di oggi che nulla conosce della storia moderna, potrebbe pensare che aldila del muro potrebbe esserci una fabbrica inquinante (vedi la scena del bagno con i bambini) e non capirebbe quale sia il senso degli "obiettivi di produzione". Per dire, appunto, dell'inutilità di questo film.
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cencetto
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giovedì 18 aprile 2024
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eccellente - dalle nuvole vedo il male
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E' un opera bellissima. La vita giornaliera di questa famiglia con la loro quotidianità accanto ad uno degli orrori più spaventosi. Hanno problemi (?) di scuola, feste, figli e amici accanto ai forni crematori. Sembra la vita normale di un funzionario di partito ma poi si vede il fumo uscire dai camini. Le lamentele della moglie che non accetta il trasferimento del marito sapendo che perde il paradiso dove vive. Alla fine ci si chiede... ma come facevano?
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lunedì 8 aprile 2024
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il più brutto film che abbia visto
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Brutto ,inutile e noioso forse il film che mi a segnato in negativo.Non lo consiglio tempo e denaro buttati
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asia
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giovedì 4 aprile 2024
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bruttissimo.
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Lo aspettavo con entusiasmo e non mi ha colpito. Un'idea finita lì. Scene povere. Dialoghi poveri. Avvenimenti poveri. Storia per niente emozionante. Una delusione.
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luciano sibio
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mercoledì 3 aprile 2024
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un film poetico
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Film molto intenso, bellissimo che descrive il male nella sua massima espressione: chi lo compie non se ne avvede essendo ormai parte organica della sua normalità e quotidianità tant'è che non è mai rappresentato ma solo fatto intuire allo spettatore.Ma centrale, seppur poco commentato qui e finemente poetico nel film, è il richiamo alla favola di Greta e Hansel, che il Comandante di Auschwitz narrava ai suoi figli prima di addormentarli (2 bambini tedeschi uccidono la strega cattiva simbolo della minaccia che incombeva sulla razza ariana). E bene, nel film mentre avveniva ciò, un'altra bambina esce di casa e, incurante dei pericoli, raccoglie mele e le nasconde per farle trovare ai deportati al lavoro di modo che ritrovino la strada di casa come nella fiaba.
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Film molto intenso, bellissimo che descrive il male nella sua massima espressione: chi lo compie non se ne avvede essendo ormai parte organica della sua normalità e quotidianità tant'è che non è mai rappresentato ma solo fatto intuire allo spettatore.Ma centrale, seppur poco commentato qui e finemente poetico nel film, è il richiamo alla favola di Greta e Hansel, che il Comandante di Auschwitz narrava ai suoi figli prima di addormentarli (2 bambini tedeschi uccidono la strega cattiva simbolo della minaccia che incombeva sulla razza ariana). E bene, nel film mentre avveniva ciò, un'altra bambina esce di casa e, incurante dei pericoli, raccoglie mele e le nasconde per farle trovare ai deportati al lavoro di modo che ritrovino la strada di casa come nella fiaba. Estremamente suggestiva è la rappresentazione di ciò in un bianco e nero o ad infrarosso, non saprei, comunque quasi fosse un negativo. Perchè mai ? perchè l'umanità e la bontà, che in quella circostanza dovrebbero essere predominanti invece lì diventavano il contrario, il negativo. Viene visto colorato e lucente nel film solo l'immagine della immonda famiglia tedesca. Infine quest'altra bambina poi troverà un piccolo scrigno con dentro uno spartito e suonerà quella musica ricca di speranza che è forse l'unica nota di positività del film .
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angelo
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sabato 30 marzo 2024
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bruttissimo con recitazione terribile...
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Uno dei peggiori film mai visti. Recitazione e/o doppiaggio, terribile. Cosa vuole significare, è "opinabile" ma comunque banale.
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moviepillows_
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martedì 26 marzo 2024
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la zona d''interesse: il male che si sente
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Adattamento del romanzo di Martin Amis del 2014, vincitore dell'Oscar come Miglior Film Internazionale, la Zona d'Interesse di J. Glazer è il primo film che racconta l'Olocausto da un punto di vista diverso: quello dei nazisti Rudolf e Hedda Hoss.
I due coniugi e i rispettivi figli si sono trasferiti in Polonia in una villa con un giardino pieno di piante in fiore. Nel fine settimana organizzano Pic nic e feste.
Il quadretto familiare sembra così perfetto che subito non si notano le grida di terrore, gli spari continui. Ma quando inizia a vedersi il fumo delle ciminiere alzarsi al di là del giardino, la cenere che imbratta i vestiti, è facile capire dove ci si trova.
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Adattamento del romanzo di Martin Amis del 2014, vincitore dell'Oscar come Miglior Film Internazionale, la Zona d'Interesse di J. Glazer è il primo film che racconta l'Olocausto da un punto di vista diverso: quello dei nazisti Rudolf e Hedda Hoss.
I due coniugi e i rispettivi figli si sono trasferiti in Polonia in una villa con un giardino pieno di piante in fiore. Nel fine settimana organizzano Pic nic e feste.
Il quadretto familiare sembra così perfetto che subito non si notano le grida di terrore, gli spari continui. Ma quando inizia a vedersi il fumo delle ciminiere alzarsi al di là del giardino, la cenere che imbratta i vestiti, è facile capire dove ci si trova. Rudolf Hoss, SS tra le più spietate, era il comandante del campo di concentramento di Auschwitz.
Nel film tuttavia non si vede - come invece accadeva in Schindler List- l'inferno dei campi, ma si sente, continuamente, di giorno e di notte. Le grida, gli spari, i cani che abbiano, le persone che implorano, i treni che vanno e vengono, fanno da colonna sonora al film. La morte, la disperazione, la malvagità, sono esattamente lì, al di là del muro di quella casa simbolo della banalità del male.
Glazer è riuscito ad utilizzare suoni e inquadrature (in particolare quelle all'interno e all'esterno della casa) in modo magistrale, quasi da visionario. In alcuni momenti, sembra di essere in una sorta di Truman Show. Piazza poi qualche scena nauseante come quella in cui Hoss si accorge che il fiume è inquinato dalle ceneri o quella in cui i ragazzi giocano con i denti d'oro ritrovati.
Il suo intento è pienamente riuscito: avvertirci che il male è frutto delle decisioni di uomini comuni, è un dramma costante, che oltre a farci riflettere sul passato, fa pensare al presente, al futuro. Il suo film non è solo una rievocazione dell'Olocausto ma un' opera che costringe a riflettere sulla crudeltà dell'uomo, sulla sua malvagità, sul suo fallimento.
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lunedì 25 marzo 2024
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spiazzante indifferenza
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Il cinismo e l'indifferenza dei protagonisti e' spiazzante. Film emotivamente freddo, come la crudelta' dei protagonisti.
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mauro.t
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lunedì 25 marzo 2024
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la banalità del male e riflessioni sul cinema
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Liberamente tratto dal romanzo di Martin Amis. Rudolph Höss è comandante del campo di concentramento di Auschwitz e vive con la moglie e i cinque figli in una bella villa contigua al campo, con un giardino curato, serre, una piscinetta e servitù polacca. Lì vicino c’è un fiume e un bosco dove fare scampagnate. Quando Höss viene rimosso da Auschwitz e promosso a comandante dell’ufficio di amministrazione centrale, la moglie si impunta e non vuole lasciare quel paradiso, dove lei ha investito emotivamente, ritenendolo il luogo più adatto per crescere i propri figli. Gli averi sottratti agli internati confluiscono regolarmente nella casa di Höss: i denti d’oro, usati come gioco da uno dei figli, gli abiti, le pellicce.
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Liberamente tratto dal romanzo di Martin Amis. Rudolph Höss è comandante del campo di concentramento di Auschwitz e vive con la moglie e i cinque figli in una bella villa contigua al campo, con un giardino curato, serre, una piscinetta e servitù polacca. Lì vicino c’è un fiume e un bosco dove fare scampagnate. Quando Höss viene rimosso da Auschwitz e promosso a comandante dell’ufficio di amministrazione centrale, la moglie si impunta e non vuole lasciare quel paradiso, dove lei ha investito emotivamente, ritenendolo il luogo più adatto per crescere i propri figli. Gli averi sottratti agli internati confluiscono regolarmente nella casa di Höss: i denti d’oro, usati come gioco da uno dei figli, gli abiti, le pellicce. Gli orrori del campo si avvertono solo attraverso le urla, i latrati dei cani, gli spari, il fumo del camino. Eppure alcuni elementi sembrano far emergere un profondo, non esplicitato, malessere: la madre di Hedwig se ne va dopo un soggiorno brevissimo; una figlia ha incubi in cui vaga attorno al campo a “seminare” cibo. Alla fine, in un salto temporale che ci riporta ai giorni nostri, viene rappresentato Auschwitz I in un momento in cui il personale pulisce i locali dopo una giornata di visite, ma subito dopo riappare Rudolph Höss che scende le scale colpito da qualche conato di vomito, a indicare che non ne siamo usciti: quel male oggi è ancora presente.
Glazer usa sistematicamente camere fisse e usa campi medi, lunghi e figure intere. Evita i primi piani, privilegiando il contesto e l’ambientazione, invitando all’osservazione oggettiva piuttosto che all’empatia. Inquietanti le musiche a schermo buio all’inizio e alla fine del film, che richiamano le atrocità. La cosa più pregevole: la tecnica termografica usata per rappresentare i sogni della figlia.
Il regista mette in scena la banalità del male di Hannah Arendt, e apprezziamo se riteniamo che il cinema sia principalmente fatto di immagini e non necessariamente sia narrazione. Ma se pensiamo ai contenuti, al racconto, non troviamo niente di più del concetto già espresso dalla Arendt. E’ ovvio che siamo in presenza di persone per cui gli internati sono solamente Stücke, (pezzi, come è correttamente riportato in una conversazione del film), e niente di più, pezzi da eliminare per creare (secondo loro) un mondo migliore. La famiglia Höss ha già fatto la sua scelta ideologica ed esistenziale da tempo. Probabilmente la moglie di Höss non ha idee proprie, come Adolf Eichmann, ma nella sostanza ha aderito a quelle del Nazionalsocialismo. Quindi non può sorprendere che non vi sia alcuna considerazione delle vite delle vittime. Se proviamo indignazione, siamo in ritardo. Se ci colpisce l’indifferenza della famiglia Höss e dei loro amici, siamo degli ingenui.
Ma la scelta principale è quella di non raccontare cosa succede dentro al campo. Glazer non mostra l’abominio, lo evoca, chiedendo allo spettatore di completarne la narrazione. Invita forse a coltivare la memoria, ma si affida a quello che lo spettatore sa già, a quello che pensa. Più che un film sui campi di sterminio, è un’opera che se ne avvantaggia. Più che una denuncia, risulta uno sfruttamento. Più che dar risalto, succhia.
Cinema che riflette sul modo di rappresentare, allontanandosi dalla realtà che vuole mettere a fuoco, e più medita sul cinema, più si allontana dal soggetto. Cinema come esperienza estetica e non cognitiva. Qualcuno l’ha definito il film definitivo sull’Olocausto. Forse sarà così, anche perché probabilmente il cinema sul tema ha già veramente detto tutto, e oltre c’è solo un’ulteriore riflessione, un ulteriore avvitamento acrobatico e narcisistico sull’arte cinematografica.
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