nino raffa
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mercoledì 15 maggio 2024
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una famiglia felice
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“Tutte le famiglie felici sono uguali”, così il famoso incipit di Anna Karenina. Non sappiamo se Tolstoj confermerebbe dopo aver visto La zona d’interesse.
Auschwitz, 1943. Rudolf Hoss, inventore e comandante del campo di sterminio, abita con la moglie Hedwig e i cinque figli, un villino appena oltre il muro col filo spinato. Oltre il rigoglioso giardino - il gazebo, l’orto, la serra, una piccola piscina - s’intravedono i massicci caseggiati dai tetti rossi, più in lontananza le ciminiere dei crematori. A tratti si sentono ordini brutali, grida e spari, senza che tutto ciò turbi la tranquilla routine della famiglia: governo della casa, ufficio, scuola, visite di amici, picnic sulle rive del fiume, cavalcate nei boschi, qualche festicciola.
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“Tutte le famiglie felici sono uguali”, così il famoso incipit di Anna Karenina. Non sappiamo se Tolstoj confermerebbe dopo aver visto La zona d’interesse.
Auschwitz, 1943. Rudolf Hoss, inventore e comandante del campo di sterminio, abita con la moglie Hedwig e i cinque figli, un villino appena oltre il muro col filo spinato. Oltre il rigoglioso giardino - il gazebo, l’orto, la serra, una piccola piscina - s’intravedono i massicci caseggiati dai tetti rossi, più in lontananza le ciminiere dei crematori. A tratti si sentono ordini brutali, grida e spari, senza che tutto ciò turbi la tranquilla routine della famiglia: governo della casa, ufficio, scuola, visite di amici, picnic sulle rive del fiume, cavalcate nei boschi, qualche festicciola. Una famiglia normale, mediamente felice. Il campo quasi non c’è. Quando la vite sarà cresciuta sul muro, non si vedrà più nulla.
Jonathan Glazer – autore e regista – ci presenta un’Auschwitz domestica. Nello studio di Rudolf i rappresentanti della ditta Topf & Söhne illustrano le meraviglie d’efficienza dei nuovi crematori. L’ufficiale conta sulla scrivania le mazzette di marchi e dollari rubate ai deportati. La pelliccia di visone che Hedwig prova soddisfatta allo specchio ha la stessa provenienza. Il concime che fa crescere così rigogliose azalee e girasoli è la cenere dei forni; la stessa che purtroppo disturba le gite al fiume dei ragazzi. Internata è naturalmente l’amante di Rudolf; e forse anche Hedwig si concede parallele distrazioni.
Tante volte l’olocausto è stato raccontato dal punto di vista dei carnefici: convinto o sofferto atto d’ufficio, oppure privato sadismo. La zona d’interesse ne scopre invece la dimensione di sogno borghese realizzato. Rudolf è un ottimo direttore d’impresa. Organizzatore, maestro della logistica, seleziona e gestisce il personale per le necessità della produzione bellica, occupandosi della peculiari procedure di licenziamento richieste dai suoi capi. Unisce la sensibilità all’efficienza, imponendo alle SS di rispettare i lillà quale elemento di decoro del Campo. Hedwig, chiamata dal marito la regina di Auschwitz,ha talento per l’architettura da giardino.
A dispetto del cosiddetto male assoluto, Auschwitz è contingente ai possibili significati del termine umanità. Hedwig e Rudolf sono umanità-natura allo stato puro che segue gli scopi che si è data, usando i mezzi a disposizione. Selezione naturale prodotta dal nazismo, ma i due si sarebbero comunque distinti nel comunismo di Stalin o nel capitalismo più estremo. In qualunque società individualista o materialista retta dalla mancanza di amore.
Hannah Arendt scrisse che Heichmann “non capì mai cosa stava facendo”; mancava di idee e immaginazione, e ciò lo predispose ai suoi crimini. Concluse che “carenza di idee e lontananza della realtà possono essere molto più pericolosi degl’istinti malvagi innati nell’uomo”. Gli Hoss hanno obiettivi, personalità, capacità e determinazione. Danno l’impressione di capire, coltivano idee e pianificano il futuro. Sono in grado di immaginare un mondo diverso, ma questo semplicemente non li interessa. La mancanza di malvagità non li sottrae dalle azioni più abiette.
Sul finire del ‘43 Rudolf, viene trasferito ad altro incarico, ma insieme alla moglie fa di tutto per restare. Il villino al di là del muro è il loro ideale. Non abitano l’inferno per caso o ubbidienza. Credono sia il paradiso. L’hanno costruito e combattono per mantenerlo. Ci sono molti che voglionoAuschwitz al posto loro.
Glazer ci invita a leggere la trama dal rovescio. Il grazioso villino è lo specchio delle baracche, delle camere a gas e dei crematori, da cui differisce per estetica, per sostituzione del grigio con i colori: non per sostanza. Gli Hoss non solo fanno parte di Auschwitz, ma in un certo senso ne sono il centro. Sono il motore dell’orrore, per il comando di lui, naturalmente, ma di più per la mentalità che incarnano, senza la quale il Campo sarebbe inconcepibile.
E anche se si tentasse di non capirlo c’è uno strano suono che li accompagna. Una nota angosciante fa da sfondo a molte scene, lacerando il velo delle apparenze. Un suono indefinibile, ora percepibile come lo strazio delle vittime, ora stridente, ora monotono e crescente avanzare della macchina dello sterminio. Anche un verso demoniaco di Erinni che invocano vendetta. Forse è proprio la voce del Campo, che grida più di ogni immagine alla quale – anche se non dovremmo – ormai siamo abituati.
Arriva in visita la madre di lei, antisemita convinta, ma dopo una notte nella stanza delle ragazze con vista sul rosseggiare inestinguibile dei camini, scappa all'alba. Lascia una lettera - un avviso, un allarme dall'esterno - ma Hedwig la getta nel fuoco indispettita.
La distanza storica comporta sempre dei rischi valutativi. Chi sarebbero Rudolf e Hedwig oggi? Magari dei rispettati imprenditori, residenti in una splendida masseria, che impiegano braccianti extracomunitari pagati 20 euro al giorno per sedici ore di lavoro.
E insieme alla responsabilità personale, e penale, probabilmente ne esiste una collettiva, o politica. A cosa servono film come La zona d’interesse? In generale, che senso ha coltivare la Memoria? Di solito rispondiamo: perché non si ripeta. Ma sappiamo di mentire. Quando la Memoria non è un mestiere, al meglio è una confortante illusione. E intanto Auschwitz continua funzionare indisturbato in molti luoghi del mondo. Affittiamo un villino sul litorale del canale di Sicilia, facciamo una vacanza in resort su quelle spiagge, nascosti dietro il muro del mare. Ma il vento ci porta il sinistro lamento dei barconi, oppure l’eco dei campi di concentramento libici che noi – repubblicani e democratici – abbiamo contribuito a costruire attraverso i nostri rappresentati.
Arendt diffidava da quelli che cercano un Eichmann in ciascuno di noi, temendo che ciò potesse giustificare i veri Eichmann. Ma forse dopo tre generazioni l’esercizio potrebbe tornare utile. Non sappiamo cosa sia il male, né dove risiedano le sue radici. Le troppe sfaccettature – dal sadismo alla distrazione – ci confondono. Del bene però sappiamo che è molto esigente. Non c'è alcun bene in una casa tranquilla, in una famiglia serena, in un buon giro di amicizie, se non si cerca e riconosce l’inferno che c’è fuori, adoperandosi - avrebbe detto Italo Calvino - a dare spazio a ciò che inferno non è.
Sono così comuni gli abitanti dell’inferno? Coloro che lo accettano fino a diventarne parte e finiscono per non vederlo? Nel finale, Rudolf va a una festa da ballo con altri ufficiali nazisti, sale nel loggiato del grande salone e pensa a come si potrebbero gasare tutti i partecipanti. Ancora l’assenza di giudizio morale: la ragione come mero ordinamento dei mezzi ai fini. Gasare ebrei o commilitoni, non differisce. Il lavoro ben riuscito - l’ordine - è l’unica morale. Che tipo di ordine o lavoro, non ha importanza.
Più tardi, uscendo dall’ufficio, ha dei conati di vomito; come se di fronte all’assenza di spirito, e a un’intelligenza cieca, il corpo rimanesse l’unica/ultima sentinella a difesa del bene. Il corpo come autonoma fonte etica. E si aprirebbe, in parallelo, una lettura freudiana del vomito: una scissione dentro il protagonista, con l’inconscio che emerge e si ribella. Dura un minuto. Rudolf si riprende e va verso l’uscita. Verso il destino suo e delle sue vittime.
Nelle ultime sequenze vediamo Auschwitz adesso, mentre il personale fa le pulizie. Il perpetrarsi dell'ordine maniacale e l’allusione al lavoro che rende liberi: Arbeit macht frei letto a rovescio, come rovesciata era la B della famosa scritta sul cancello. Il lavoro come sfiancamento e annientamento spirituale, la libertà come morte. Le addette alle pulizie, nel tirare a lucido pavimenti e vetri, replicano i gesti dell'orrore, ma allo stesso tempo si comportano in maniera normale. Si lavora e si fa pulizia a Auschwitz come in ogni altro posto. E del resto, come si dovrebbe? Pregando, piangendo, stando in ginocchio? Il lavoro è lavoro, e va fatto comunque. E poi ci sono tutte le altre cose della nostra vita. Solo perché siamo ad Auschwitz dovremmo dimenticare la spesa, il mutuo, le prossime vacanze? La Memoria è occasionale, frequentata per brevi momenti, in assenza di pensieri più urgenti. Sotto questa luce, Auschwitz è un posto quasi qualunque.
Cos'è il Campo dopo ottant’anni? Un museo che stacca biglietti come il Louvre o gli Uffizi? Una struttura produttiva, come l'aveva pensata il suo inventore? Un'attrazione turistica attraversata da scolaresche distratte dagli smartphone? La montagna delle scarpe dietro le vetrate è un’installazione post moderna?
Glazer rileggendo liberamente l’omonimo romanzo, dirige una pellicola significativa, il cui soggetto eccede necessariamente l’opera in sé. Ottima Sandra Huller (Hedwig) nei panni della donna di umili origini ascesa ai fasti della borghesia. Della colonna sonora di Mica Levi, asse portante del film, si è già detto.
Rudolf Hoss fu tra i più capaci artefici della soluzione finale. Nonostante i meriti, non andò oltre il grado di tenente colonnello delle SS; come il suo superiore Eichmann che lamentò continuamente quest’ingiustizia durante il processo. Nella primavera del ’44, a guerra di fatto persa, Hoss venne incaricato dello sterminio di circa 800.000 ebrei ungheresi. L’operazione, battezzata in suo onore Hoss Action, venne eseguita con la consueta efficienza, nonostante i russi alle porte. Fuggito e poi catturato dagli inglesi, testimoniò a Norimberga, fu processato nel ‘47 dalla Corte Suprema di Varsavia e impiccato nel piazzale di Auschwitz. Hedwig Hoss morirà nel 1989 negli Stati Uniti dove si era trasferita con la figlia.
Uno degli psichiatri che visitò Adolf Eichmann nel ‘61, prima del famoso processo a Gerusalemme, dichiarò che l’ufficiale nazista era perfettamente normale, “più normale di quello che sono io dopo averlo visitato”.
Dovremmo provare qualcosa di simile mentre scorrono i titoli di coda.
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loris tosadori
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giovedì 9 maggio 2024
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un pugno nello stomaco!
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Il film racconta la serena vita quotidiana del comandante di Auschwitz, un normale alto dirigente nazista di un'azienda che pianifica e produce morte, di sua moglie (eccezionale la Huller) e dei loro cinque figli, contrapposte all'orrore che lo spettatore percepisce in maniera martellante nei continui terribili rumori che provengono dal campo di concentramento confinante con la loro bella casa. Come se non bastasse la colonna sonora è di una linearità agghiacciante. Non si vede nulla di quello che accade al di la del muro, ma chiudendo gli occhi, si può immaginare tutto. Dialoghi e inquadrature che ti spiazzano.
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eugenio
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venerdì 26 aprile 2024
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l''orrore nero
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L’orrore, delle volte, ha il volto dell’assoluta tranquillità. O meglio, l’orrore è asettico, gelido. Non ti concede nulla, solo spazio per il dolore. La zona di interesse è un film dell’orrore. Un orrore che permea i cento e passa minuti della pellicola con un inizio e fine a cerchio raggelati in una musica catatonica che ricorda grida umane. Di corpi bruciati senza remore nel camino, di cenere che bagna il fiume, di un muro oltre il quale quell’orrore si definisce nel volto di Rudold Hoss, il più famigerato primo comandante del campo di concentramento di Auschwitz. Lui ne è ricoperto, tanto da esserne assuefatto. Nell’ordinata casa con giardino meticolosamente coltivato dalla sua “regina” (una Huller in stato di grazia) e piscina per i bambini, trascorre la sua quotidiana esistenza intervallata da qualche “carico” di ebrei e di prigionieri che di tanto in tanto appaiono portando alimenti per la dispensa, ma anche sacchi di abiti, che poi le donne selezionano e si spartiscono.
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L’orrore, delle volte, ha il volto dell’assoluta tranquillità. O meglio, l’orrore è asettico, gelido. Non ti concede nulla, solo spazio per il dolore. La zona di interesse è un film dell’orrore. Un orrore che permea i cento e passa minuti della pellicola con un inizio e fine a cerchio raggelati in una musica catatonica che ricorda grida umane. Di corpi bruciati senza remore nel camino, di cenere che bagna il fiume, di un muro oltre il quale quell’orrore si definisce nel volto di Rudold Hoss, il più famigerato primo comandante del campo di concentramento di Auschwitz. Lui ne è ricoperto, tanto da esserne assuefatto. Nell’ordinata casa con giardino meticolosamente coltivato dalla sua “regina” (una Huller in stato di grazia) e piscina per i bambini, trascorre la sua quotidiana esistenza intervallata da qualche “carico” di ebrei e di prigionieri che di tanto in tanto appaiono portando alimenti per la dispensa, ma anche sacchi di abiti, che poi le donne selezionano e si spartiscono.
In questa quotidianità sta l’orrore. Jonathan Glazer abilmente lo scruta, disossando l’omonimo testo di Amis, sottolineando la totale indifferenza di ciò che rimane in sottofondo, il dolore e le grida, appunto. Nella sua pellicola minimalista, parlano le immagini, i controcampi, i fiori, il fumo nero e acre. Parlano i pochi dialoghi raggelanti, il rigetto senza liquidi, il corpo che si rifiuta di vivere. Parlano i suoni litanie di morte, parla la logica perversa, allucinata e delirante nazista priva di qualunque empatia. Ma parla anche, di notte, la speranza di una figura che si muove con la bicicletta tra terra e campi a sotterrare delle mele per far rivivere quei corpi umani attecchiti dalla morte e dar loro una minima speranza di rinascita. In una notte nera rischiarata da una termocamera, il giorno cieco e inspiegabile si fa più crudo, senza volto, nell’abisso oscuro di una storia dolorosamente vera e infernale.
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no_data
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sabato 20 aprile 2024
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film inutile
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A mio parere, è un film di gran lunga sopravalutato che non racconta niente di nuovo e neanche in modo nuovo. I personaggi sono (volutamente) inespressivi e non trasmettono alcun tipo di emozione, al di fuori della scena nella quale la moglie del comandante del campo reagisce all'idea di un trasferimento della famiglia. Non è una novità la messa in scena dell'indifferenza del mondo alle vicende dei deportati nei campi di concentramento e non può essere certo questa "genialata" della casa del comandante attaccata al muro del campo di Auschiwitz a dare spessore all'indifferenza; del resto aspettarsi commozione verso l'orrore che li si compie da parte di chi lo compie...mi pare un assurdo. Certo, diverse immagini ad effetto (le scene in negativo) con le musiche o i suoni improvvisi, la scelta (banalissima) di far sentire spari in sottofondo ed un rumore continuo come di "un braciere" in costante attività, danno al film questa aura di pellicola particolare per il "detto-non detto" ma.
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A mio parere, è un film di gran lunga sopravalutato che non racconta niente di nuovo e neanche in modo nuovo. I personaggi sono (volutamente) inespressivi e non trasmettono alcun tipo di emozione, al di fuori della scena nella quale la moglie del comandante del campo reagisce all'idea di un trasferimento della famiglia. Non è una novità la messa in scena dell'indifferenza del mondo alle vicende dei deportati nei campi di concentramento e non può essere certo questa "genialata" della casa del comandante attaccata al muro del campo di Auschiwitz a dare spessore all'indifferenza; del resto aspettarsi commozione verso l'orrore che li si compie da parte di chi lo compie...mi pare un assurdo. Certo, diverse immagini ad effetto (le scene in negativo) con le musiche o i suoni improvvisi, la scelta (banalissima) di far sentire spari in sottofondo ed un rumore continuo come di "un braciere" in costante attività, danno al film questa aura di pellicola particolare per il "detto-non detto" ma...finisce tutto qui. Anche la scena della descrizione delle caratteristiche tecniche del "forno circolare" è abbastanza banale e la riunione nella quale vengono premiati i comandnati dei vari campi per "il raggiungimento degli obiettivi di produzione" mi sembra una farsa infantile messa li apposta per rimarcare, se mai ce ne fosse bisogno, l'orrore dell'obiettivo nazista della eliminazione della razza ebrea. Insomma, in definitiva, un film molto "furbo", che con delle trovate di regia e scenografia particolari, mira a stupire lo spettatore. Concludo osservando che, se già non conoscessimo la storia della shoah, non capiremmo il senso di molte trovate di questo film; un giovane di oggi che nulla conosce della storia moderna, potrebbe pensare che aldila del muro potrebbe esserci una fabbrica inquinante (vedi la scena del bagno con i bambini) e non capirebbe quale sia il senso degli "obiettivi di produzione". Per dire, appunto, dell'inutilità di questo film.
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[+] imbarazzante
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cencetto
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giovedì 18 aprile 2024
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eccellente - dalle nuvole vedo il male
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E' un opera bellissima. La vita giornaliera di questa famiglia con la loro quotidianità accanto ad uno degli orrori più spaventosi. Hanno problemi (?) di scuola, feste, figli e amici accanto ai forni crematori. Sembra la vita normale di un funzionario di partito ma poi si vede il fumo uscire dai camini. Le lamentele della moglie che non accetta il trasferimento del marito sapendo che perde il paradiso dove vive. Alla fine ci si chiede... ma come facevano?
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lunedì 8 aprile 2024
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il più brutto film che abbia visto
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Brutto ,inutile e noioso forse il film che mi a segnato in negativo.Non lo consiglio tempo e denaro buttati
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asia
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giovedì 4 aprile 2024
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bruttissimo.
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Lo aspettavo con entusiasmo e non mi ha colpito. Un'idea finita lì. Scene povere. Dialoghi poveri. Avvenimenti poveri. Storia per niente emozionante. Una delusione.
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(di paolorol)
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luciano sibio
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mercoledì 3 aprile 2024
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un film poetico
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Film molto intenso, bellissimo che descrive il male nella sua massima espressione: chi lo compie non se ne avvede essendo ormai parte organica della sua normalità e quotidianità tant'è che non è mai rappresentato ma solo fatto intuire allo spettatore.Ma centrale, seppur poco commentato qui e finemente poetico nel film, è il richiamo alla favola di Greta e Hansel, che il Comandante di Auschwitz narrava ai suoi figli prima di addormentarli (2 bambini tedeschi uccidono la strega cattiva simbolo della minaccia che incombeva sulla razza ariana). E bene, nel film mentre avveniva ciò, un'altra bambina esce di casa e, incurante dei pericoli, raccoglie mele e le nasconde per farle trovare ai deportati al lavoro di modo che ritrovino la strada di casa come nella fiaba.
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Film molto intenso, bellissimo che descrive il male nella sua massima espressione: chi lo compie non se ne avvede essendo ormai parte organica della sua normalità e quotidianità tant'è che non è mai rappresentato ma solo fatto intuire allo spettatore.Ma centrale, seppur poco commentato qui e finemente poetico nel film, è il richiamo alla favola di Greta e Hansel, che il Comandante di Auschwitz narrava ai suoi figli prima di addormentarli (2 bambini tedeschi uccidono la strega cattiva simbolo della minaccia che incombeva sulla razza ariana). E bene, nel film mentre avveniva ciò, un'altra bambina esce di casa e, incurante dei pericoli, raccoglie mele e le nasconde per farle trovare ai deportati al lavoro di modo che ritrovino la strada di casa come nella fiaba. Estremamente suggestiva è la rappresentazione di ciò in un bianco e nero o ad infrarosso, non saprei, comunque quasi fosse un negativo. Perchè mai ? perchè l'umanità e la bontà, che in quella circostanza dovrebbero essere predominanti invece lì diventavano il contrario, il negativo. Viene visto colorato e lucente nel film solo l'immagine della immonda famiglia tedesca. Infine quest'altra bambina poi troverà un piccolo scrigno con dentro uno spartito e suonerà quella musica ricca di speranza che è forse l'unica nota di positività del film .
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angelo
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sabato 30 marzo 2024
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bruttissimo con recitazione terribile...
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Uno dei peggiori film mai visti. Recitazione e/o doppiaggio, terribile. Cosa vuole significare, è "opinabile" ma comunque banale.
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moviepillows_
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martedì 26 marzo 2024
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la zona d''interesse: il male che si sente
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Adattamento del romanzo di Martin Amis del 2014, vincitore dell'Oscar come Miglior Film Internazionale, la Zona d'Interesse di J. Glazer è il primo film che racconta l'Olocausto da un punto di vista diverso: quello dei nazisti Rudolf e Hedda Hoss.
I due coniugi e i rispettivi figli si sono trasferiti in Polonia in una villa con un giardino pieno di piante in fiore. Nel fine settimana organizzano Pic nic e feste.
Il quadretto familiare sembra così perfetto che subito non si notano le grida di terrore, gli spari continui. Ma quando inizia a vedersi il fumo delle ciminiere alzarsi al di là del giardino, la cenere che imbratta i vestiti, è facile capire dove ci si trova.
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Adattamento del romanzo di Martin Amis del 2014, vincitore dell'Oscar come Miglior Film Internazionale, la Zona d'Interesse di J. Glazer è il primo film che racconta l'Olocausto da un punto di vista diverso: quello dei nazisti Rudolf e Hedda Hoss.
I due coniugi e i rispettivi figli si sono trasferiti in Polonia in una villa con un giardino pieno di piante in fiore. Nel fine settimana organizzano Pic nic e feste.
Il quadretto familiare sembra così perfetto che subito non si notano le grida di terrore, gli spari continui. Ma quando inizia a vedersi il fumo delle ciminiere alzarsi al di là del giardino, la cenere che imbratta i vestiti, è facile capire dove ci si trova. Rudolf Hoss, SS tra le più spietate, era il comandante del campo di concentramento di Auschwitz.
Nel film tuttavia non si vede - come invece accadeva in Schindler List- l'inferno dei campi, ma si sente, continuamente, di giorno e di notte. Le grida, gli spari, i cani che abbiano, le persone che implorano, i treni che vanno e vengono, fanno da colonna sonora al film. La morte, la disperazione, la malvagità, sono esattamente lì, al di là del muro di quella casa simbolo della banalità del male.
Glazer è riuscito ad utilizzare suoni e inquadrature (in particolare quelle all'interno e all'esterno della casa) in modo magistrale, quasi da visionario. In alcuni momenti, sembra di essere in una sorta di Truman Show. Piazza poi qualche scena nauseante come quella in cui Hoss si accorge che il fiume è inquinato dalle ceneri o quella in cui i ragazzi giocano con i denti d'oro ritrovati.
Il suo intento è pienamente riuscito: avvertirci che il male è frutto delle decisioni di uomini comuni, è un dramma costante, che oltre a farci riflettere sul passato, fa pensare al presente, al futuro. Il suo film non è solo una rievocazione dell'Olocausto ma un' opera che costringe a riflettere sulla crudeltà dell'uomo, sulla sua malvagità, sul suo fallimento.
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