michele
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mercoledì 14 febbraio 2024
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la familiarità del male
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Nonostante il tema dell'Olocausto sia stato ampiamente affrontato, filmato e dibattuto dal cinema con opere monumentali entrate nella cultura collettiva di tutti, Glazer riesce a trovare un nuovo punto di vista dal quale raccontare questo evento storico. Auschwitz è lo sfondo della scenografia, è presente, sempre, ma non ci entriamo mai. Siamo di fronte a un film di sottrazione visiva e immersione sonora nei rumori onomatopeici del campo di sterminio, anche quelli esterni, ma decisamente invadenti. Intorno al campo c'è una vita bucolica, perfettamente tedesca e così "meravigliosamente" ariana.
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Nonostante il tema dell'Olocausto sia stato ampiamente affrontato, filmato e dibattuto dal cinema con opere monumentali entrate nella cultura collettiva di tutti, Glazer riesce a trovare un nuovo punto di vista dal quale raccontare questo evento storico. Auschwitz è lo sfondo della scenografia, è presente, sempre, ma non ci entriamo mai. Siamo di fronte a un film di sottrazione visiva e immersione sonora nei rumori onomatopeici del campo di sterminio, anche quelli esterni, ma decisamente invadenti. Intorno al campo c'è una vita bucolica, perfettamente tedesca e così "meravigliosamente" ariana. Auschwitz è una fabbrica come tante altre, il suo ritmo "produttivo" lo percepiamo, lo ascoltiamo distanti, ma non troppo, mentre tutto scorre in perfetta armonia. La fredda e rigorosa messa in scena ci lascia impietriti, attoniti di fronte ad una famiglia che vive a fianco ad uno dei più grandi orrori del Novecento senza percepire un sentimento, un brivido.
La mano registica di Glazer è minimale, ma efficace nella rappresentazione, coglie i dettagli sullo sfondo riuscendoli a portare emotivamente in primo piano. Pur muovendosi in uno spazio stretto e con poco respiro è in grado di regalarci addirittura uno dei piani sequenza più glaciali della storia del cinema. Le ceneri, il treno che porta i deportati, i latrati dei cani che abbaiano, gli spari: ritroviamo tutti i punti cardinali e gli elementi caratteristici di questo universo, ma mai mostrati "davanti". Eppure, pur essendo sempre dietro le quinte, l'orrore ci penetra dentro l'anima.
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[+] l''orrore suggerito che penetra l''anima umana
(di antonio montefalcone)
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carlo santoni
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giovedì 29 febbraio 2024
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lo specchio nero dell’eterno presente
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Se non è un capolavoro assoluto, ci va assai vicino, soprattutto per il nitore concettuale che lo permea, e che lo rende estremamente coerente, a cominciare dall’uso della mdp: quasi sempre in posizione fissa e diretta ortogonalmente all’oggetto che riprende; e quando la mdp è in movimento, magari per seguire un personaggio che sta camminando, scorre su binari che eliminano qualsiasi minimo scossone da handycam: e sempre, comunque, riprendono ortogonalmente il soggetto. Questo assillo dell’ottima fotografia è per me un po’ la cifra del film, e non funziona alla maniera di altri autori, come Rohmer: in questo caso, la sua fissità è la metafora della fissità esistenziale dei personaggi del film, la sua ortogonalità è metafora della ortogonale pianificazione dello sterminio: tutto dev’essere calcolato, tutto dev’essere perfetto, appunto come gli angoli a squadra, o come il giardino della villa perfettamente rettangolare, o come le pavimentazioni dei corridoi a disegni geometrici rigorosamente identici e squadrati.
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Se non è un capolavoro assoluto, ci va assai vicino, soprattutto per il nitore concettuale che lo permea, e che lo rende estremamente coerente, a cominciare dall’uso della mdp: quasi sempre in posizione fissa e diretta ortogonalmente all’oggetto che riprende; e quando la mdp è in movimento, magari per seguire un personaggio che sta camminando, scorre su binari che eliminano qualsiasi minimo scossone da handycam: e sempre, comunque, riprendono ortogonalmente il soggetto. Questo assillo dell’ottima fotografia è per me un po’ la cifra del film, e non funziona alla maniera di altri autori, come Rohmer: in questo caso, la sua fissità è la metafora della fissità esistenziale dei personaggi del film, la sua ortogonalità è metafora della ortogonale pianificazione dello sterminio: tutto dev’essere calcolato, tutto dev’essere perfetto, appunto come gli angoli a squadra, o come il giardino della villa perfettamente rettangolare, o come le pavimentazioni dei corridoi a disegni geometrici rigorosamente identici e squadrati. Anche il cromatismo adottato va nella stessa direzione: così sfumato, tenue, adatto a descrivere la vita di una comune, agiata famiglia borghese: che di questo il film tratta, della famiglia di Rudolf Höß. Ah, beh, certo, dietro il muro di cinta del giardino della villa c’è il campo di sterminio di Auschwitz, che Rudi stesso ha messo su, e del quale è direttore; se ne scorgono i tetti degli alloggi, le alte ciminiere sempre in funzione, il fumo che esce, rossastro di notte, tutte le notti, ogni tanto grida, qualche sparo: ma il campo di sterminio nella storia raccontata non entra mai direttamente, se ne sta al di là del muro e nessuno lo vede. O meglio: vederlo lo vede, ma è come se non ci fosse.
Nessuno vede l’orrore, poiché nessuno lo vuol vedere: ecco perché intendo questo film come “lo specchio nero dell’eterno presente”, e non del passato: troppo comodo. Invece il film, mostrandoci la mostruosità di quella società nazista, genocida, completamente indifferente alle atrocità immani che stava commettendo, delle quali si può dire si stesse cibando, esso ci mostra la nostra esatta indifferenza di fronte ad altri sterminii, ad altri genocidi, che accadono esattamente sotto i nostri occhi, mentre noi ci occupiamo allegramente del Festival di Sanremo o del campionato di calcio. O non è forse quello perpetrato attualmente a Gaza dai sionisti un vero e proprio efferato sterminio di massa, al quale restiamo sostanzialmente indifferenti? Il film si chiude con due scene sovrapposte: da una parte Höß che scende una scalinata interna, sotto una luce livida, finché dopo aver vomitato, scompare nell’oscurità del suo stesso inferno; dall’altra, alcune addette che, al giorno d’oggi, ci mostrano senza tanti svolazzi e senza alcuna retorica cos’è Auschwitz oggi. E quelle scarpe, quelle centinaia di migliaia di scarpe ammassate dietro i vetri e che silenziose ci raccontano il numero incommensurabile dello sterminio perpetrato nell’indifferenza, o peggio, di un’intera società.
Estremamente funzionali i titoli di testa e di coda, quel nero che è come il nero interiore che ci rende ciechi. Estremamente perturbante, ed anche molto poetico, l’uso dell’infrarosso, adatto a raccontare una storia altra, di una ragazzina che lascia segni dietro di sé, e che io interpreto come la protagonista femminile della fiaba di Hans e Gretel. Un film assolutamente da non perdere!
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[+] un esempio discutibile
(di alberto staderini)
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gabriella
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sabato 23 marzo 2024
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senza parole
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L'immagine di apertura è uno schiaffo drirtto in faccia, uno sfondo nero dal quale provengono suoni distorti, laceranti, stridenti, i nostri occhi non vedono ,.ma le orecchie sentono quei suoni deformati, li ascoltano , non ci abbandonano più, nemmeno quando entriamo nella bella casa della famiglia Hoss, nel loro giardino curato con tanto di piscina, la servitù che corre avanti e indietro e i cani che scodinzolano.
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L'immagine di apertura è uno schiaffo drirtto in faccia, uno sfondo nero dal quale provengono suoni distorti, laceranti, stridenti, i nostri occhi non vedono ,.ma le orecchie sentono quei suoni deformati, li ascoltano , non ci abbandonano più, nemmeno quando entriamo nella bella casa della famiglia Hoss, nel loro giardino curato con tanto di piscina, la servitù che corre avanti e indietro e i cani che scodinzolano. Il muro che divide la villetta separa un campo di concentramento ad Auschwitz, dove si consumano gli orrori che conosciamo, dove si sentono grida, i latrati dei cani, si vede il fumo delle ciminiere, ma tutto viene celato allo sguardo, niente scene dilanianti, niente atrocità, nessuna immagine esplicita, il linguaggio cinematografico di Jonathan Glazer parla per evocazione, privando lo spettatore del mostrato , negandogli la commozione facile, ma costringendolo ad ascoltare, inseguendolo con una colonna sonora dissonante , una voce senza scampo, l’unica alla quale è permesso di oltrepassare la recinzione. Il bravissimo regista britannico sa bene che il male si adatta , non possiamo non paragonare il nostro atteggiamento di fronte agli attuali conflitti mondiali, la guerra in Ucraina, il genocidio palestinese e tante altre guerre dimenticate perché appunto ci adattiamo agli orrori, all’ indifferenza, la fretta di tornare al nostro quotidiano , a salvaguardare la nostra zona d’ interesse, e non è poi così diversa dal comandante nazista, marito e padre affettuoso che svolge il suo lavoro in maniera sterile, distaccata, senza coinvolgimenti, che interiorizza e inghiotte qualsiasi suono, non lo sente più. E’ proprio questo che invece che il film vuole dimostrare, aprirci gli occhi attraverso l’ascolto, fino a stordirci.
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eraldo
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lunedì 18 marzo 2024
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i suoni del male
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E' difficile e forse non ha nemmeno senso dare un voto ad un film come questo: ma non perché non lo meriti, ma piuttosto perché si pone talmente al di là, che persino un giudizio diventa inadeguato. E' certamente ben rappresentato il contrasto lacerante tra il Campo di sterminio di Auschwitz e la casa al di qua del muro dove vive il direttore con la sua giovane famiglia, la bellezza e l'ampiezza del giardino con serra e piscina, i cavalli e il cane onnipresente, la tanta servitù, persino i fiori in un primo piano sembrano trasfigurare la loro bellezza nel vuoto del senso di esistere. Siamo oltre" la banalità del male", ma nella sua perniciosa routine in cui ha senso soltanto il benessere della propria condizione familiare e il fare carriera, anche se attraverso lo sterminio di un popolo, considerato come un'eccedenza di numeri da cancellare.
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E' difficile e forse non ha nemmeno senso dare un voto ad un film come questo: ma non perché non lo meriti, ma piuttosto perché si pone talmente al di là, che persino un giudizio diventa inadeguato. E' certamente ben rappresentato il contrasto lacerante tra il Campo di sterminio di Auschwitz e la casa al di qua del muro dove vive il direttore con la sua giovane famiglia, la bellezza e l'ampiezza del giardino con serra e piscina, i cavalli e il cane onnipresente, la tanta servitù, persino i fiori in un primo piano sembrano trasfigurare la loro bellezza nel vuoto del senso di esistere. Siamo oltre" la banalità del male", ma nella sua perniciosa routine in cui ha senso soltanto il benessere della propria condizione familiare e il fare carriera, anche se attraverso lo sterminio di un popolo, considerato come un'eccedenza di numeri da cancellare. L'eco del dolore appena al di là del muro giunge a tratti e come un sottofondo di spari, di ordini secchi, di grida, di pianti, dell'abbaiare di cani inferociti; ma resta appunto lontano dall'idilliaco occuparsi di noi, come lo scuro fumo che esce dai camini dei forni.Si entra gradatamente nella regia del Male che pervade tutto anche un festa occasionale, come unico filtro da cui vedere la realtà. I suoni giocano un ruolo di primaria importanza, uno in particolare, come un gutturale violento e distorto pare rappresentare la voce di questo Male infernale, una voce senza parole, un simbolismo estremo della sua intraducibile volontà violenta e crudele, in cui le parole non possono entrare a portare la minima apertura di luce di uno spiraglio di senso.
Si tratta di un pugno nello stomaco, tirato a freddo, a tradimento;: è giusto e doloroso vederlo, almeno quanto attuale: e forse anche per questo lo sgomento è grande, perché il mondo non sembra mai prendere consapevolezza dalle terribili lezioni della sua stessa storia
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eugenio
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venerdì 26 aprile 2024
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l''orrore nero
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L’orrore, delle volte, ha il volto dell’assoluta tranquillità. O meglio, l’orrore è asettico, gelido. Non ti concede nulla, solo spazio per il dolore. La zona di interesse è un film dell’orrore. Un orrore che permea i cento e passa minuti della pellicola con un inizio e fine a cerchio raggelati in una musica catatonica che ricorda grida umane. Di corpi bruciati senza remore nel camino, di cenere che bagna il fiume, di un muro oltre il quale quell’orrore si definisce nel volto di Rudold Hoss, il più famigerato primo comandante del campo di concentramento di Auschwitz. Lui ne è ricoperto, tanto da esserne assuefatto. Nell’ordinata casa con giardino meticolosamente coltivato dalla sua “regina” (una Huller in stato di grazia) e piscina per i bambini, trascorre la sua quotidiana esistenza intervallata da qualche “carico” di ebrei e di prigionieri che di tanto in tanto appaiono portando alimenti per la dispensa, ma anche sacchi di abiti, che poi le donne selezionano e si spartiscono.
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L’orrore, delle volte, ha il volto dell’assoluta tranquillità. O meglio, l’orrore è asettico, gelido. Non ti concede nulla, solo spazio per il dolore. La zona di interesse è un film dell’orrore. Un orrore che permea i cento e passa minuti della pellicola con un inizio e fine a cerchio raggelati in una musica catatonica che ricorda grida umane. Di corpi bruciati senza remore nel camino, di cenere che bagna il fiume, di un muro oltre il quale quell’orrore si definisce nel volto di Rudold Hoss, il più famigerato primo comandante del campo di concentramento di Auschwitz. Lui ne è ricoperto, tanto da esserne assuefatto. Nell’ordinata casa con giardino meticolosamente coltivato dalla sua “regina” (una Huller in stato di grazia) e piscina per i bambini, trascorre la sua quotidiana esistenza intervallata da qualche “carico” di ebrei e di prigionieri che di tanto in tanto appaiono portando alimenti per la dispensa, ma anche sacchi di abiti, che poi le donne selezionano e si spartiscono.
In questa quotidianità sta l’orrore. Jonathan Glazer abilmente lo scruta, disossando l’omonimo testo di Amis, sottolineando la totale indifferenza di ciò che rimane in sottofondo, il dolore e le grida, appunto. Nella sua pellicola minimalista, parlano le immagini, i controcampi, i fiori, il fumo nero e acre. Parlano i pochi dialoghi raggelanti, il rigetto senza liquidi, il corpo che si rifiuta di vivere. Parlano i suoni litanie di morte, parla la logica perversa, allucinata e delirante nazista priva di qualunque empatia. Ma parla anche, di notte, la speranza di una figura che si muove con la bicicletta tra terra e campi a sotterrare delle mele per far rivivere quei corpi umani attecchiti dalla morte e dar loro una minima speranza di rinascita. In una notte nera rischiarata da una termocamera, il giorno cieco e inspiegabile si fa più crudo, senza volto, nell’abisso oscuro di una storia dolorosamente vera e infernale.
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antonello villani
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domenica 19 maggio 2024
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un''opera gelida e bellissima
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Gelido come l’inverno di cui parla la protagonista nel film. Alla banalità dovremmo aggiungere la freddezza, il male non smette mai di stupirci. Jonathan Glazer prova (e ci riesce) a dare una lettura nuova del periodo più buio che la storia ricordi. Nessuno aveva osato tanto, raccontare la Shoah in assenza della Shoah. Se “Il bambino con il pigiama a righe” aveva già portato sullo schermo la vita di una famiglia trasferita a pochi passi da un campo di sterminio, “La zona di interesse” si spinge oltre grazie all’assenza degli elementi filmici sull’Olocausto. La telecamera del regista inglese non varca il cancello con l’insegna in ferro battuto e non è testimone di alcuna violenza, preferisce mantenersi in uno spazio altro, indefinibile e perennemente sospeso tra l’inferno del lager e il paradiso di una villetta con piscina.
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Gelido come l’inverno di cui parla la protagonista nel film. Alla banalità dovremmo aggiungere la freddezza, il male non smette mai di stupirci. Jonathan Glazer prova (e ci riesce) a dare una lettura nuova del periodo più buio che la storia ricordi. Nessuno aveva osato tanto, raccontare la Shoah in assenza della Shoah. Se “Il bambino con il pigiama a righe” aveva già portato sullo schermo la vita di una famiglia trasferita a pochi passi da un campo di sterminio, “La zona di interesse” si spinge oltre grazie all’assenza degli elementi filmici sull’Olocausto. La telecamera del regista inglese non varca il cancello con l’insegna in ferro battuto e non è testimone di alcuna violenza, preferisce mantenersi in uno spazio altro, indefinibile e perennemente sospeso tra l’inferno del lager e il paradiso di una villetta con piscina. L’esistenza della famiglia Hoss scorre tranquilla, nuotate nel fiume e tavole imbandite en plein air sono lo specchio di un quotidiano idilliaco, solo il roseto risulta di accecante contrasto con il muro spinato del campo. Camini accesi tutto il giorno -emblematica la scena con i burocrati che illustrano i progetti di forni crematori e camere di raffreddamento-, vasche da bagno da pulire con olio di gomito perché la cenere è insopportabile, persino agli aguzzini in divisa. Le riprese con la pellicola negativa sono un virtuosismo registico di tutto rispetto, come i colpi di pistola che a intervalli regolari interrompono la quiete domestica. Glazer si serve di quei rumori sordi per dare ritmo ad una colonna sonora soffocante, opprimente come i claustrofobici corridoi della residenza immersa nei colori primaverili. Spiazzante il finale con il comandante del lager che confessa alla moglie di voler gassare gli ospiti di una festa. I conati di vomito sono un rigurgito di coscienza? Chiusura perfetta con il museo degli orrori ai giorni nostri: gli addetti alla pulizia spazzano i pavimenti delle camere a gas e lucidano le vetrate delle sale con gli oggetti sottratti ai deportati. Un’immagine che, nemmeno tanto velatamente, vorrebbe essere un tentativo di lavare la coscienza per un crimine che a quasi un secolo di distanza l’umanità tutta non è riuscito ancora ad elaborare.
Carmine Antonello Villani
(Salerno)
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antonello villani
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lunedì 20 maggio 2024
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un''opera gelida e bellissima
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Gelido come l’inverno di cui parla la protagonista nel film. Alla banalità si accompagna la freddezza, il male non smette mai di stupirci. Jonathan Glazer prova (e ci riesce) a dare una lettura nuova del periodo più buio che la storia ricordi. Nessuno aveva osato tanto, raccontare la Shoah in assenza della Shoah. Se “Il bambino con il pigiama a righe” aveva già portato sullo schermo la vita di una famiglia trasferita a pochi passi da un campo di sterminio, “La zona di interesse” si spinge oltre per la mancanza degli elementi filmici sull’Olocausto. La telecamera del regista inglese non varca il cancello con l’insegna in ferro battuto e non è testimone di alcuna violenza, preferisce mantenersi in uno spazio altro, perennemente sospeso tra l’inferno del lager e il paradiso di una villetta con piscina.
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Gelido come l’inverno di cui parla la protagonista nel film. Alla banalità si accompagna la freddezza, il male non smette mai di stupirci. Jonathan Glazer prova (e ci riesce) a dare una lettura nuova del periodo più buio che la storia ricordi. Nessuno aveva osato tanto, raccontare la Shoah in assenza della Shoah. Se “Il bambino con il pigiama a righe” aveva già portato sullo schermo la vita di una famiglia trasferita a pochi passi da un campo di sterminio, “La zona di interesse” si spinge oltre per la mancanza degli elementi filmici sull’Olocausto. La telecamera del regista inglese non varca il cancello con l’insegna in ferro battuto e non è testimone di alcuna violenza, preferisce mantenersi in uno spazio altro, perennemente sospeso tra l’inferno del lager e il paradiso di una villetta con piscina. L’esistenza della famiglia Hoss scorre tranquilla, nuotate nel fiume e tavole imbandite en plein air sono lo specchio di un quotidiano idilliaco, solo il roseto adiacente la casa risulta di accecante contrasto con il muro spinato del campo. Camini accesi tutto il giorno -emblematica la scena con i burocrati che illustrano i progetti di forni crematori e camere di raffreddamento-, vasche da bagno da pulire con olio di gomito perché la cenere è insopportabile, persino agli aguzzini in divisa. Le riprese con la pellicola negativa sono un virtuosismo registico di tutto rispetto, come i colpi di pistola che a intervalli regolari interrompono la quiete domestica. Glazer si serve di quei rumori sinistri per dare ritmo ad una colonna sonora soffocante, opprimente come i claustrofobici corridoi della residenza immersa nei colori primaverili. Spiazzante il finale con il comandante del lager che confessa alla moglie di voler gassare gli ospiti di una festa. I conati di vomito sono un rigurgito di coscienza? Chiusura perfetta con il museo degli orrori ai giorni nostri: gli addetti alla pulizia spazzano i pavimenti delle camere a gas e lucidano le vetrate delle sale con gli oggetti sottratti ai deportati. Un’immagine che, nemmeno tanto velatamente, vorrebbe essere un tentativo di lavare la coscienza per un crimine che a quasi un secolo di distanza l’umanità tutta non è riuscito ancora ad elaborare.
Carmine Antonello Villani
(Salerno)
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paolorol
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giovedì 7 marzo 2024
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buon appetito, amore !
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Questo arrosto è delizioso..le patate sono ben cotte..mi passi il sale ?..ti posso riempire il bicchiere ?...il tuo tiramisù è fantastico...
Gioiose scene di vita quotidiana, allietate da suoni, parole ed immagini di un telegiornale. Il televisore è sempre acceso e ci vomita addosso l'orrore quotidiano. Ma continuiamo a mangiare, a gustare e ad apprezzare il cibo. Lo digeriamo benissimo. L'orrore non ci riduce l'appetito, ormai siamo mitridatizzati ed insensibili.
L'allegra famiglia nazista mirabilmente descritta nel film ha innalzato un imponente muro difensivo psicologico, ben più efficace del muro di mattoni che la separa dal campo di sterminio.
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Questo arrosto è delizioso..le patate sono ben cotte..mi passi il sale ?..ti posso riempire il bicchiere ?...il tuo tiramisù è fantastico...
Gioiose scene di vita quotidiana, allietate da suoni, parole ed immagini di un telegiornale. Il televisore è sempre acceso e ci vomita addosso l'orrore quotidiano. Ma continuiamo a mangiare, a gustare e ad apprezzare il cibo. Lo digeriamo benissimo. L'orrore non ci riduce l'appetito, ormai siamo mitridatizzati ed insensibili.
L'allegra famiglia nazista mirabilmente descritta nel film ha innalzato un imponente muro difensivo psicologico, ben più efficace del muro di mattoni che la separa dal campo di sterminio. Essì, ammette la moglie del comandante, quel muro non è esteticamente bello, ma ho piantato delle viti che lo copriranno e non ci darà più fastidio. E così la perfetta padrona di casa sarà ancora più felice e contenta del suo giardino pieno di alberelli e fiori di ogni specie. Le sue orecchie, quelle della sua cara mamma, quelle dei bambini..non sentono più, o forse non hanno mai sentito, gli spari, le urla, gli abbaii dei cani. Niente più di un rumore di sottofondo, il rumore del traffico..
Un film che ci obbliga a riflettere sul nostro atteggiamento nei confronti dell'orrore e che ci fa inorridire ancora di più nell'attimo in cui riusciamo a realizzare che in fin dei conti siamo un po' parenti di quei mostri.
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moviepillows_
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martedì 26 marzo 2024
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la zona d''interesse: il male che si sente
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Adattamento del romanzo di Martin Amis del 2014, vincitore dell'Oscar come Miglior Film Internazionale, la Zona d'Interesse di J. Glazer è il primo film che racconta l'Olocausto da un punto di vista diverso: quello dei nazisti Rudolf e Hedda Hoss.
I due coniugi e i rispettivi figli si sono trasferiti in Polonia in una villa con un giardino pieno di piante in fiore. Nel fine settimana organizzano Pic nic e feste.
Il quadretto familiare sembra così perfetto che subito non si notano le grida di terrore, gli spari continui. Ma quando inizia a vedersi il fumo delle ciminiere alzarsi al di là del giardino, la cenere che imbratta i vestiti, è facile capire dove ci si trova.
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Adattamento del romanzo di Martin Amis del 2014, vincitore dell'Oscar come Miglior Film Internazionale, la Zona d'Interesse di J. Glazer è il primo film che racconta l'Olocausto da un punto di vista diverso: quello dei nazisti Rudolf e Hedda Hoss.
I due coniugi e i rispettivi figli si sono trasferiti in Polonia in una villa con un giardino pieno di piante in fiore. Nel fine settimana organizzano Pic nic e feste.
Il quadretto familiare sembra così perfetto che subito non si notano le grida di terrore, gli spari continui. Ma quando inizia a vedersi il fumo delle ciminiere alzarsi al di là del giardino, la cenere che imbratta i vestiti, è facile capire dove ci si trova. Rudolf Hoss, SS tra le più spietate, era il comandante del campo di concentramento di Auschwitz.
Nel film tuttavia non si vede - come invece accadeva in Schindler List- l'inferno dei campi, ma si sente, continuamente, di giorno e di notte. Le grida, gli spari, i cani che abbiano, le persone che implorano, i treni che vanno e vengono, fanno da colonna sonora al film. La morte, la disperazione, la malvagità, sono esattamente lì, al di là del muro di quella casa simbolo della banalità del male.
Glazer è riuscito ad utilizzare suoni e inquadrature (in particolare quelle all'interno e all'esterno della casa) in modo magistrale, quasi da visionario. In alcuni momenti, sembra di essere in una sorta di Truman Show. Piazza poi qualche scena nauseante come quella in cui Hoss si accorge che il fiume è inquinato dalle ceneri o quella in cui i ragazzi giocano con i denti d'oro ritrovati.
Il suo intento è pienamente riuscito: avvertirci che il male è frutto delle decisioni di uomini comuni, è un dramma costante, che oltre a farci riflettere sul passato, fa pensare al presente, al futuro. Il suo film non è solo una rievocazione dell'Olocausto ma un' opera che costringe a riflettere sulla crudeltà dell'uomo, sulla sua malvagità, sul suo fallimento.
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luciano sibio
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mercoledì 3 aprile 2024
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un film poetico
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Film molto intenso, bellissimo che descrive il male nella sua massima espressione: chi lo compie non se ne avvede essendo ormai parte organica della sua normalità e quotidianità tant'è che non è mai rappresentato ma solo fatto intuire allo spettatore.Ma centrale, seppur poco commentato qui e finemente poetico nel film, è il richiamo alla favola di Greta e Hansel, che il Comandante di Auschwitz narrava ai suoi figli prima di addormentarli (2 bambini tedeschi uccidono la strega cattiva simbolo della minaccia che incombeva sulla razza ariana). E bene, nel film mentre avveniva ciò, un'altra bambina esce di casa e, incurante dei pericoli, raccoglie mele e le nasconde per farle trovare ai deportati al lavoro di modo che ritrovino la strada di casa come nella fiaba.
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Film molto intenso, bellissimo che descrive il male nella sua massima espressione: chi lo compie non se ne avvede essendo ormai parte organica della sua normalità e quotidianità tant'è che non è mai rappresentato ma solo fatto intuire allo spettatore.Ma centrale, seppur poco commentato qui e finemente poetico nel film, è il richiamo alla favola di Greta e Hansel, che il Comandante di Auschwitz narrava ai suoi figli prima di addormentarli (2 bambini tedeschi uccidono la strega cattiva simbolo della minaccia che incombeva sulla razza ariana). E bene, nel film mentre avveniva ciò, un'altra bambina esce di casa e, incurante dei pericoli, raccoglie mele e le nasconde per farle trovare ai deportati al lavoro di modo che ritrovino la strada di casa come nella fiaba. Estremamente suggestiva è la rappresentazione di ciò in un bianco e nero o ad infrarosso, non saprei, comunque quasi fosse un negativo. Perchè mai ? perchè l'umanità e la bontà, che in quella circostanza dovrebbero essere predominanti invece lì diventavano il contrario, il negativo. Viene visto colorato e lucente nel film solo l'immagine della immonda famiglia tedesca. Infine quest'altra bambina poi troverà un piccolo scrigno con dentro uno spartito e suonerà quella musica ricca di speranza che è forse l'unica nota di positività del film .
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