paolorol
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giovedì 7 marzo 2024
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buon appetito, amore !
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Questo arrosto è delizioso..le patate sono ben cotte..mi passi il sale ?..ti posso riempire il bicchiere ?...il tuo tiramisù è fantastico...
Gioiose scene di vita quotidiana, allietate da suoni, parole ed immagini di un telegiornale. Il televisore è sempre acceso e ci vomita addosso l'orrore quotidiano. Ma continuiamo a mangiare, a gustare e ad apprezzare il cibo. Lo digeriamo benissimo. L'orrore non ci riduce l'appetito, ormai siamo mitridatizzati ed insensibili.
L'allegra famiglia nazista mirabilmente descritta nel film ha innalzato un imponente muro difensivo psicologico, ben più efficace del muro di mattoni che la separa dal campo di sterminio.
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Questo arrosto è delizioso..le patate sono ben cotte..mi passi il sale ?..ti posso riempire il bicchiere ?...il tuo tiramisù è fantastico...
Gioiose scene di vita quotidiana, allietate da suoni, parole ed immagini di un telegiornale. Il televisore è sempre acceso e ci vomita addosso l'orrore quotidiano. Ma continuiamo a mangiare, a gustare e ad apprezzare il cibo. Lo digeriamo benissimo. L'orrore non ci riduce l'appetito, ormai siamo mitridatizzati ed insensibili.
L'allegra famiglia nazista mirabilmente descritta nel film ha innalzato un imponente muro difensivo psicologico, ben più efficace del muro di mattoni che la separa dal campo di sterminio. Essì, ammette la moglie del comandante, quel muro non è esteticamente bello, ma ho piantato delle viti che lo copriranno e non ci darà più fastidio. E così la perfetta padrona di casa sarà ancora più felice e contenta del suo giardino pieno di alberelli e fiori di ogni specie. Le sue orecchie, quelle della sua cara mamma, quelle dei bambini..non sentono più, o forse non hanno mai sentito, gli spari, le urla, gli abbaii dei cani. Niente più di un rumore di sottofondo, il rumore del traffico..
Un film che ci obbliga a riflettere sul nostro atteggiamento nei confronti dell'orrore e che ci fa inorridire ancora di più nell'attimo in cui riusciamo a realizzare che in fin dei conti siamo un po' parenti di quei mostri.
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enzo70
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mercoledì 6 marzo 2024
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quanta arendt in questo film
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Questo film di Jonathan Glaze lascerà una traccia nell’ampissima schiera di film che hanno avuto ad oggetto i campi di sterminio della follia nazista. Il dolore di Auschwitz arriva sempre sullo sfondo, qualche latrato di un cane, qualche urlo di dolore in sottofondo, pochi spari di proiettile. La vita della famiglia di Rudolf Hoss è semplice, quasi banale, la solita, terribile banalità del male, quella di Hanna Arendt. Rudolf è il direttore di Auschwitz e vive con la sua famiglia in una bella villetta con un giardino che la moglie cura con grande amore. Tra la vita degli uni e l’immenso dolore degli altri, un muro, inferno e paradiso, che rappresenta la differenza tra l’uomo e la bestia.
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Questo film di Jonathan Glaze lascerà una traccia nell’ampissima schiera di film che hanno avuto ad oggetto i campi di sterminio della follia nazista. Il dolore di Auschwitz arriva sempre sullo sfondo, qualche latrato di un cane, qualche urlo di dolore in sottofondo, pochi spari di proiettile. La vita della famiglia di Rudolf Hoss è semplice, quasi banale, la solita, terribile banalità del male, quella di Hanna Arendt. Rudolf è il direttore di Auschwitz e vive con la sua famiglia in una bella villetta con un giardino che la moglie cura con grande amore. Tra la vita degli uni e l’immenso dolore degli altri, un muro, inferno e paradiso, che rappresenta la differenza tra l’uomo e la bestia. Ma Rudolf non sembra una bestia, è un padre affettuoso, attento, gentile e premuroso con la moglie, attento al lavoro, anche se il suo lavoro è rendere più veloce lo sterminio di centinaia di migliaia di persone che vivono al di là del recinto della sua casa. Film duro, anzi durissimo, la normalità della famiglia Hoss è un pugno nello stomaco per lo spettatore che rimane sgomento tra la noia di una famiglia banale e quell’immensa follia che governa quello che sta oltre al muro. Ottima l’interpretazione dei protagonisti, Cristian Friedel e Sandra Huller. E La colonna sonora riesce perfettamente a rendere il senso di questo film. Da vedere.
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[+] risparmiamo le bestie
(di antonella)
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rumon
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mercoledì 6 marzo 2024
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una prospettiva diversa su auschwitz
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Molto è stato raccontato su Auschwitz, vista dalla parte delle vittime. Meno dalla parte dei carnefici. "La zona d'interesse" non solo racconta Auschwitz dalla parte del più efficiente dei carnefici, ma lo fa mostrando la vita quotidiana della sua famiglia, in tutti i suoi aspetti. Ne risulterebbe il ritratto di una famiglia normale, se non fosse per la comparsa in alcune inquadrature del "camino" da cui esce fumo e se non fosse per i suoni che provengono da oltre il muro di cinta; suoni che noi spettatori associamo alle immagini di foto e video d'epoca e agli orrori che rappresentano. Che cosa permette agli Höß di andare al.lago a fare il bagno, bere il caffè con le amiche, occuparsi del bucato, fare quattro chiacchiere la sera a letto prima di addormentarsi, senza badare a quella colonna sonora? L'assuefazione.
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Molto è stato raccontato su Auschwitz, vista dalla parte delle vittime. Meno dalla parte dei carnefici. "La zona d'interesse" non solo racconta Auschwitz dalla parte del più efficiente dei carnefici, ma lo fa mostrando la vita quotidiana della sua famiglia, in tutti i suoi aspetti. Ne risulterebbe il ritratto di una famiglia normale, se non fosse per la comparsa in alcune inquadrature del "camino" da cui esce fumo e se non fosse per i suoni che provengono da oltre il muro di cinta; suoni che noi spettatori associamo alle immagini di foto e video d'epoca e agli orrori che rappresentano. Che cosa permette agli Höß di andare al.lago a fare il bagno, bere il caffè con le amiche, occuparsi del bucato, fare quattro chiacchiere la sera a letto prima di addormentarsi, senza badare a quella colonna sonora? L'assuefazione. Che è preceduta dell'indifferenza. Che si accompagna alla disumanizzazione e alla reificazione delle vittime. Anche l'avidità e la concentrazione sui propri obiettivi di benessere materiale fanno la loro parte. Per il resto, entra in gioco il meccanismo psicologico rivelato dell'esperimento di Milgram. Vorremmo che la famiglia Höß potesse essere considerata ferma per sempre nella sua bolla; ma sappiamo che anche oggi si mettono in funzione meccanismi simili ai loro. E questo inquieta. Anche se non siamo come gli Höß. Ultima osservazione: in una scena al telefono, Höß si rivolge a un gerarca chiamandolo "compagno". Non ho potuto guardare quel pezzo in originale, per cui non so se il termine "compagno", invece dello storico "camerata" sia dovuto a sciatteria nella traduzione, a disonestà intellettuale o ad altro.
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[+] non troppo normale
(di antonella)
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mymovies79balos!
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martedì 5 marzo 2024
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il giardino, la piscina, i bambini che giocano e il cupo ruggire dell'orrore oltre il muro: l'orecchio ci si abitua
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Un giardino curato, una piscina, dei bambini biondi che giocano. Una madre di famiglia che indica il nome dei fiori al neonato che tiene in braccio. Sembra il paradiso in terra.
Ecco Rudolf, il capofamiglia pronto ad andare al lavoro. È in una impeccabile divisa grigia. L’inquadratura si allarga: c’è del filo spinato laggiù.
Il film “La zona d’interesse” è la casa dei sogni addossata a un muro. O meglio, l’orrore a un muro di distanza.
SPOILER (ma non troppo)
Nel film non ho contato una scena di violenza.
Non viene messa in moto la roboante retorica del dramma per dire l’indicibile. Su tutto, la raggelante freddezza delle cose che succedono, del tempo pianificato e dei compiti da assolvere.
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Un giardino curato, una piscina, dei bambini biondi che giocano. Una madre di famiglia che indica il nome dei fiori al neonato che tiene in braccio. Sembra il paradiso in terra.
Ecco Rudolf, il capofamiglia pronto ad andare al lavoro. È in una impeccabile divisa grigia. L’inquadratura si allarga: c’è del filo spinato laggiù.
Il film “La zona d’interesse” è la casa dei sogni addossata a un muro. O meglio, l’orrore a un muro di distanza.
SPOILER (ma non troppo)
Nel film non ho contato una scena di violenza.
Non viene messa in moto la roboante retorica del dramma per dire l’indicibile. Su tutto, la raggelante freddezza delle cose che succedono, del tempo pianificato e dei compiti da assolvere. Se possibile con efficienza, perché ci sono promozioni in ballo. Con la produttività si fa carriera.
A volte sembra di essere ospiti in una casa ed essere ammessi a partecipare al ménage familiare.
Un sottofondo cupo, un rimestarsi di ceneri, un ribollire di fiamme, notte e giorno. Camini sottraggono calore umano. Finestre aperte, moglie e marito parlano di faccende. Sullo sfondo, flebili ma distinguibili, grida e fucili affamati. Ma per la famiglia Höss è comune brusio: l’orecchio si è educato e non ci si bada più, come un acufene ben sopportabile. È il lavoro di papà.
Tracce d’umanità: la domestica polacca, nottetempo, raccatta dei frutti e li dispone vicino a delle pale, che l’indomani serviranno ai lavoratori in pigiama.
Qualcuno s’accorgerà di quei furti? Di quegli alberi manomessi? Su chi cadrà la colpa? Già, la colpa. Di chi è stata la colpa?
I titoli di coda calano. Non c’è il consueto computo.
Cose sono successe. Poco prima s'è visto un museo e il personale di turno faceva le pulizie. I vetri devono tornare a luccicare, verranno turisti.
Cose sono successe.
La prospettiva della Harendt ibridata con un reality dal sapore contemporaneo. Banale, no?
FV
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chansgiardinier
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domenica 3 marzo 2024
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sì. però......
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Mi intriga assai il "momento" citato da Fif nel suo "l'oggettività del quotidiano", quando Hoss vomita due volte scendendo le scale verso la fine del film. Io non ho pensato che la vomitata fosse foriera di qualche brutto male e quindi "giustiziante" per il cattivo tedesco. Al contrario, ho pensato ad un banale conato causato da cibo guasto ingerito da Hoss alla festa appena terminata. Poi però, in un film di tale portata, la spiegazione non mi soddisfaceva ed allora ho pensato che fosse una reazione psicosomatica causata dall'ansia da prestazione richiesta al nostro comandante (doveva eliminare da lì a poco 700.000 ebrei ungheresi e temeva di non farcela !) Ridiscutendone tornando a casa in autobus, ho teorizzato infine che Hoss avesse per un attimo percepito l'apocalisse che stava perpetrando e quindi rigurgitasse un po' di quell'orrore.
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Mi intriga assai il "momento" citato da Fif nel suo "l'oggettività del quotidiano", quando Hoss vomita due volte scendendo le scale verso la fine del film. Io non ho pensato che la vomitata fosse foriera di qualche brutto male e quindi "giustiziante" per il cattivo tedesco. Al contrario, ho pensato ad un banale conato causato da cibo guasto ingerito da Hoss alla festa appena terminata. Poi però, in un film di tale portata, la spiegazione non mi soddisfaceva ed allora ho pensato che fosse una reazione psicosomatica causata dall'ansia da prestazione richiesta al nostro comandante (doveva eliminare da lì a poco 700.000 ebrei ungheresi e temeva di non farcela !) Ridiscutendone tornando a casa in autobus, ho teorizzato infine che Hoss avesse per un attimo percepito l'apocalisse che stava perpetrando e quindi rigurgitasse un po' di quell'orrore. Ma non lo pensavo. Era l'estremo tentativo di vedere il bicchiere almeno per un quarto pieno. Non ho messo cinque stelle perché ho bisogno di altre cinque o sei visioni del film. Il Tempo, anche se non esiste, ci dirà se La zona d'interesse è un capolavoro
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domenica 3 marzo 2024
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la banalità del male è dentro di noi
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Recensione ricca di spunti approfondimenti. Ci fa ripensare a quello che ciascuno ha provato durante la proiezione. Grazie ! Ma non è banale.Giusto ricordare la banalità del male dalla Arendt in poi. Anche oggi i nostri gesti quotidiani (I più banali) sono paralleli a massacri che avvengono poco lontano da noi. Come possiamo starcene tranquilli a guardare cadaveri di bambini sulla spiaggia persi in un tentativo di immigrazione, per un benessere immaginario ? E le migliaia di morti a Gaza ? E il massacro del 7 ottobre in Israele ? È il Congo e il Sudan ? 185 guerre nel 2023. Guardiamoci il film, ma non limitiamoci a vedere il male così lontano da noi, né come tempo né come luogo. Fino a quando riusciremo a starcene tranquilli, accanto alla banalità del male?
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ergo
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sabato 2 marzo 2024
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minimalismo da documentario e poco altro
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Non mi ha convinto fino in fondo.
Salvo la fotografia, le prospettive geometriche, i ritratti domestici in serie, ed il turibinio del genocidio ruminante nel sottofondo, coi suoi rumori cupi e confusi. Carino il risvolto della favola di Hansel e Gretel o la fanciulla che nasconde mele nottetempo.
Per il resto mi è sembrato soltanto un documentario oleografico su una famiglia che vive "dall'altro lato" del focus consueto quando si sono trattati questi argomenti.
Molta vita ordinariamente casalinga, qualche parentesi da idillio bucolico o botanico... sempre e solo per sviare o non affrontare, in cinico contrasto implicito, cosa avviene dall'altra parte del proprio recinto.
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Non mi ha convinto fino in fondo.
Salvo la fotografia, le prospettive geometriche, i ritratti domestici in serie, ed il turibinio del genocidio ruminante nel sottofondo, coi suoi rumori cupi e confusi. Carino il risvolto della favola di Hansel e Gretel o la fanciulla che nasconde mele nottetempo.
Per il resto mi è sembrato soltanto un documentario oleografico su una famiglia che vive "dall'altro lato" del focus consueto quando si sono trattati questi argomenti.
Molta vita ordinariamente casalinga, qualche parentesi da idillio bucolico o botanico... sempre e solo per sviare o non affrontare, in cinico contrasto implicito, cosa avviene dall'altra parte del proprio recinto. Tolto questo concetto tragico il film non concede nulla. I personaggi sono delineati bene ma di fatto non compiono nulla.
E alla fine dei conti NON SUCCEDE nulla, a parte il momentaneo allontamento del capofamiglia.
La Storia che non ha da raccontare una storia, o perlomeno provare ad andare oltre la sua semplice rappresentezione, tipo documentario appunto.
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clara stroppiana
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venerdì 1 marzo 2024
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al di là dei muri
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Film sull’olocausto o film sull’oggi? Per capire il senso dell’ultima opera di Jonathan Glazer proviamo a partire dal finale. Da quelle brevi scene collocate nel tempo che ci è con-temporaneo. La distanza storica dal passato in cui si ambienta The Zone of Interest, è lunga più di ottant’anni, ma la distanza emotiva è quasi impercettibile. Nessuna delle tecniche che in genere si utilizzano per sottolineare i salti temporali è messa in atto dal regista. Al contrario, stessa illuminazione, stesso ritmo, stessa cura maniacale nel pulire, togliere impronte, cancellare tracce. Allo spettatore servono alcuni secondi per realizzare che quelle non sono le domestiche polacche di casa Höss, ma addette alle pulizie, polacche anch’esse, dell’odierno Museo statale di Auschwitz-Birkenau.
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Film sull’olocausto o film sull’oggi? Per capire il senso dell’ultima opera di Jonathan Glazer proviamo a partire dal finale. Da quelle brevi scene collocate nel tempo che ci è con-temporaneo. La distanza storica dal passato in cui si ambienta The Zone of Interest, è lunga più di ottant’anni, ma la distanza emotiva è quasi impercettibile. Nessuna delle tecniche che in genere si utilizzano per sottolineare i salti temporali è messa in atto dal regista. Al contrario, stessa illuminazione, stesso ritmo, stessa cura maniacale nel pulire, togliere impronte, cancellare tracce. Allo spettatore servono alcuni secondi per realizzare che quelle non sono le domestiche polacche di casa Höss, ma addette alle pulizie, polacche anch’esse, dell’odierno Museo statale di Auschwitz-Birkenau. Per la prima volta dall’inizio del racconto la cinepresa entra fisicamente nel campo. Le teche tirate a lucido dentro le quali sono impilati con ordine gli oggetti appartenuti ai prigionieri ci dicono che siamo nell’oggi e nell’ora che precede l’arrivo dei turisti in visita al Memoriale. Con questa rapida sequenza il film si chiude.
Fino a quel momento, dalle nostre poltrone, abbiamo osservato la quotidianità banale di una famiglia benestante con cinque figli, svolgersi tra gli interni e gli esterni di una villetta con un bel giardino fiorito, una piscina con scivolo, una serra, un boschetto e un fiume nelle vicinanze. La proprietà è delimitata da un alto muro sul quale corre del filo spinato. Al di là è “l’azienda” Auschwitz di cui il signor Rudolf Höss (Christian Friedel) è l’apprezzato organizzatore e direttore. La moglie, la signora Hedwig (eccezionale Sandra Hüller) si occupa della casa, del personale di servizio, dei bambini e si dedica con passione al giardinaggio. Le riprese sono affidate a una serie di camere fisse di dimensioni tali da poter essere nascoste facilmente in vari punti della casa e del giardino così da rendere leggero, solo in apparenza è bene sottolinearlo, l’intervento della regia e contribuire alla naturalezza delle azioni dei personaggi. La prevalenza di campi medi e lunghi, l’assenza dei primi piani, il risalto dato alla fisicità degli attori più che alle loro espressioni, l’uso della luce naturale, ottimo il lavoro del direttore della fotografia Lukasz Żal, pone lo spettatore quasi nella posizione di un etologo che osserva a distanza senza che si stabilisca un rapporto empatico con “gli osservati” che, a ben guardare, conducono una vita molto simile alla nostra. Quel che succede al di là del muro non è mai mostrato, ma dalla casa è visibile il fumo denso e nero che esce dai camini che sovrastano i tetti delle baracche, ascoltiamo Höss illustrare in dettaglio come rendere “più efficiente” il campo e soprattutto ci arrivano suoni inquietanti e minacciosi prima ancora di distinguere qua e là grida e latrati nelle sonorità geniali di Mica Levi che con il suo stile eclettico ha composto una colonna sonora che è sottofondo costante, quasi film nel film. Intanto, attraverso piccoli episodi quasi marginali, un disagio sempre più profondo si insinua nello spettatore. Il figlio maggiore, ad esempio, gioca con alcuni denti, la mamma sceglie con cura un vestitino per la sua neonata, tra i tanti arrivati dentro un sacco, si ammira davanti allo specchio avvolta in una pelliccia della stessa provenienza, una domestica poco accorta è minacciata di finire nei forni con “quegli altri”. Se la cinepresa non entra nel campo, quello che è il suo orrore entra dunque nella casa dove è accettato con indifferenza, anzi vissuto come giusto, naturale. Non è mai messo in discussione, non suscita dubbi. Porta benessere alla famiglia, ha permesso di realizzare il sogno borghese (ma non è forse anche il nostro?) di una bella casa con un giardino dove ricevere gli amici e organizzare feste. Un traguardo che va difeso ad ogni costo.
Dai colori lividi e desaturati del giorno si passa a notti attraversate da bagliori e cieli rosso sangue. Un bambino li guarda insonne attraverso la finestra. Un’altra si aggira sonnambula. Le favole della buona notte rivelano un allucinato immaginario infantile in bianco e nero. Il film acquista toni sempre più horror e noi, sempre più disturbati, davanti al finale contemporaneo del quale dicevamo, davanti ai cancelli di Auschwitz ormai aperti sull’orrore del passato, non possiamo non chiederci quali orrori, nel presente, stiamo nascondendo ai nostri occhi e alle nostre coscienze con i tanti muri fisici e mentali che continuiamo a costruire.
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[+] sono d''accordo
(di ludovica milasi)
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bruno la mela
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giovedì 29 febbraio 2024
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domanda sul film
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Non ho capito cosa significa spero le scene in notturna, bianco e nero fotonico, dove una bambina inserisce nel terreno delle mele, aspetta che passino due guardie seguite da un maiale per tornare a casa in bicicletta.
Cosa significano quelle scene?
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(di anna rosa)
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carlo santoni
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giovedì 29 febbraio 2024
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lo specchio nero dell’eterno presente
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Se non è un capolavoro assoluto, ci va assai vicino, soprattutto per il nitore concettuale che lo permea, e che lo rende estremamente coerente, a cominciare dall’uso della mdp: quasi sempre in posizione fissa e diretta ortogonalmente all’oggetto che riprende; e quando la mdp è in movimento, magari per seguire un personaggio che sta camminando, scorre su binari che eliminano qualsiasi minimo scossone da handycam: e sempre, comunque, riprendono ortogonalmente il soggetto. Questo assillo dell’ottima fotografia è per me un po’ la cifra del film, e non funziona alla maniera di altri autori, come Rohmer: in questo caso, la sua fissità è la metafora della fissità esistenziale dei personaggi del film, la sua ortogonalità è metafora della ortogonale pianificazione dello sterminio: tutto dev’essere calcolato, tutto dev’essere perfetto, appunto come gli angoli a squadra, o come il giardino della villa perfettamente rettangolare, o come le pavimentazioni dei corridoi a disegni geometrici rigorosamente identici e squadrati.
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Se non è un capolavoro assoluto, ci va assai vicino, soprattutto per il nitore concettuale che lo permea, e che lo rende estremamente coerente, a cominciare dall’uso della mdp: quasi sempre in posizione fissa e diretta ortogonalmente all’oggetto che riprende; e quando la mdp è in movimento, magari per seguire un personaggio che sta camminando, scorre su binari che eliminano qualsiasi minimo scossone da handycam: e sempre, comunque, riprendono ortogonalmente il soggetto. Questo assillo dell’ottima fotografia è per me un po’ la cifra del film, e non funziona alla maniera di altri autori, come Rohmer: in questo caso, la sua fissità è la metafora della fissità esistenziale dei personaggi del film, la sua ortogonalità è metafora della ortogonale pianificazione dello sterminio: tutto dev’essere calcolato, tutto dev’essere perfetto, appunto come gli angoli a squadra, o come il giardino della villa perfettamente rettangolare, o come le pavimentazioni dei corridoi a disegni geometrici rigorosamente identici e squadrati. Anche il cromatismo adottato va nella stessa direzione: così sfumato, tenue, adatto a descrivere la vita di una comune, agiata famiglia borghese: che di questo il film tratta, della famiglia di Rudolf Höß. Ah, beh, certo, dietro il muro di cinta del giardino della villa c’è il campo di sterminio di Auschwitz, che Rudi stesso ha messo su, e del quale è direttore; se ne scorgono i tetti degli alloggi, le alte ciminiere sempre in funzione, il fumo che esce, rossastro di notte, tutte le notti, ogni tanto grida, qualche sparo: ma il campo di sterminio nella storia raccontata non entra mai direttamente, se ne sta al di là del muro e nessuno lo vede. O meglio: vederlo lo vede, ma è come se non ci fosse.
Nessuno vede l’orrore, poiché nessuno lo vuol vedere: ecco perché intendo questo film come “lo specchio nero dell’eterno presente”, e non del passato: troppo comodo. Invece il film, mostrandoci la mostruosità di quella società nazista, genocida, completamente indifferente alle atrocità immani che stava commettendo, delle quali si può dire si stesse cibando, esso ci mostra la nostra esatta indifferenza di fronte ad altri sterminii, ad altri genocidi, che accadono esattamente sotto i nostri occhi, mentre noi ci occupiamo allegramente del Festival di Sanremo o del campionato di calcio. O non è forse quello perpetrato attualmente a Gaza dai sionisti un vero e proprio efferato sterminio di massa, al quale restiamo sostanzialmente indifferenti? Il film si chiude con due scene sovrapposte: da una parte Höß che scende una scalinata interna, sotto una luce livida, finché dopo aver vomitato, scompare nell’oscurità del suo stesso inferno; dall’altra, alcune addette che, al giorno d’oggi, ci mostrano senza tanti svolazzi e senza alcuna retorica cos’è Auschwitz oggi. E quelle scarpe, quelle centinaia di migliaia di scarpe ammassate dietro i vetri e che silenziose ci raccontano il numero incommensurabile dello sterminio perpetrato nell’indifferenza, o peggio, di un’intera società.
Estremamente funzionali i titoli di testa e di coda, quel nero che è come il nero interiore che ci rende ciechi. Estremamente perturbante, ed anche molto poetico, l’uso dell’infrarosso, adatto a raccontare una storia altra, di una ragazzina che lascia segni dietro di sé, e che io interpreto come la protagonista femminile della fiaba di Hans e Gretel. Un film assolutamente da non perdere!
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[+] un esempio discutibile
(di alberto staderini)
[ - ] un esempio discutibile
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