
Le note di Einaudi esplorano i moti interiori delle tre protagoniste. Al cinema.
di Simone Emiliani
Tre donne, tre luoghi diversi. Niyamatabad nell’India del Nord, Monopoli in Italia e Montréal in Canada. Al centro del primo episodio c’è Smita, una giovane donna indiana che cerca di dare alla figlia un futuro migliore e fugge con lei verso il sud del paese. Nel secondo la protagonista è Giulia che lavora nella fabbrica di parrucche a conduzione familiare e che scopre, dopo un grave incidente che ha immobilizzato il padre in ospedale, che l’azienda è sul lastrico. Nel terzo episodio, Sarah è un avvocato di successo madre di tre figli che scopre di avere un tumore al seno proprio quando sta per essere promossa alla direzione dello studio. In La treccia, diretto dalla regista francese Laetitia Colombani che ha adattato il suo romanzo omonimo del 2017, la musica di Ludovico Einaudi accompagna l’inizio dei tre episodi. Le note del piano sottolineano subito i risvegli di Sinta, Giulia e Sarah.
È una musica che sembra cercare quasi una propria intimità con le tre protagoniste, che non prevale mai sugli ambienti ma che interagisce anche con i rumori di fondo, come per esempio le voci della famiglia della ragazza pugliese a colazione, il suono delle campane, il rumore della vespa o la sveglia dell’avvocato canadese. Ha un andamento lento e il tono di una melodia sentimentale che apre le vicende e poi diventa un leitmotiv ricorrente, quasi una sceneggiatura parallela, dove le note di Einaudi si sovrappongono alla scrittura. Esplora i moti interiori delle tre donne, le loro paure (Sinta che cammina per strada e poi si nasconde, Sarah che scoppia a piangere dopo la telefonata col padre) o anche i primi accenni di desiderio, come il primo sguardo tra Giulia e il ragazzo sikh mentre viene portato via dai carabinieri. Il compositore e pianista torinese ha sempre lasciato un’impronta fortemente riconoscibile sia nelle collaborazioni con registi italiani come Giuseppe Piccioni (Luce dei miei occhi, Fuori dal mondo), Sergio Rubini (Il grande spirito (guarda la video recensione)) e Roberto Andò (Sotto falso nome) sia in quelle con i cineasti internazionali come Chloé Zhao (Nomadland), Olivier Nakache ed Èric Toledano (Quasi amici), Florian Zeller (The Father. Nulla è come sembra) e Hirokazu Kore-eda (Il terzo omicidio). Anche in La treccia il suo stile è immediatamente identificabile e la sua colonna sonora entra subito in testa. Il motivo ricorrente può essere accennato oppure prolungato e mette in rilievo alcune delle scene più drammatiche in cui Giulia è in ospedale vicino al padre mentre è ricoverato in terapia intensiva o Sarah che è in macchina dopo aver salutato e i suoi figli e sta affrontando da sola i propri demoni.
La musica di Einaudi suggerisce quello che le parole non dicono. Rispetto al tema dominante, la più importante variazione è nella scena in cui Sinta e la figlia stanno fuggendo su un bus, il padre le insegue e la bambina bussa disperata sul finestrino. In quel caso diventa meno sentimentale e crea un ritmo interno più incalzante e rappresenta forse il presagio dei momenti dell’approdo sulle rive del fiume Gange e la vista dei morti. La colonna sonora lascia il suo marchio sia nei singoli episodi sia come raccordo tra diverse azioni: Sarah che si guarda allo specchio mentre le cadono i capelli; Sinta che viene minacciata da un rapinatore nei pressi della stazione. In più, è ancora il collante tra le tre storie, dove i capelli simboleggiano insieme il legame col passato ma anche uno sguardo verso il futuro.
La musica è molto presente, anzi è quasi la protagonista invisibile. La stessa regista ha sottolineato: “Amo il lavoro di Ludovico Einaudi e la sua musica mi accompagna quando scrivo. Durante la stesura del romanzo, mi mancava una scena e l’ho trovata ascoltando un suo brano. Quando abbiamo deciso di adattare il libro per un film, ho pensato subito a lui. Lui non compone molto per il cinema, tiene concerti in tutto il mondo e non ama lavorare di fretta, cosa che invece accade spesso per la realizzazione di un film. Gli ho inviato una lettera, accompagnata dal romanzo tradotto in italiano, dicendogli che mi sarebbe piaciuto molto che le mie immagini ispirassero la musica. Dopo sei mesi mi ha mandato una mail rispondendomi: ‘Perché no? Il libro mi è piaciuto molto”. La collaborazione tra Colombani ed Einaudi è stata così nel segno del destino. Del resto è difficile immaginare La treccia senza questa colonna sonora.