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Everything Everywhere All At Once, una storia così folle e sofisticata che solo il cinema può contenere

La narrazione dei Daniels sfonda il nostro universo aprendosi a infinite possibilità, diventando di fatto la quintessenza della seconda (o terza) possibilità che ogni nostra vita, seppur piccola, meriterebbe. Al cinema.
di Pedro Armocida

giovedì 6 ottobre 2022 - Focus

Mettere il cinema al centro del gioco. Guardare alle quasi infinite possibilità che le serie offrono, e scegliere invece il grande schermo per intessere una delle trame più pazze, disordinate, senza capo né coda, complesse, sofisticate che solo il cinema, appunto, può contenere.

Perché se Everything Everywhere All At Once, presentato in anteprima mondiale nel marzo scorso al festival texano “South by Southwest” prima di ottenere un grande successo di pubblica e di critica (ha attualmente un punteggio del 95% su RottenTomatoes), gioca con lo spazio e il tempo, quindi il multiverso, il formato scelto, limitato ma non sintetico, è un gesto politico in un’epoca di dilazione dei contenuti.

I Daniels, al secolo Daniel Kwan e Daniel Scheinert accompagnati come produttori dai fratelli Russo e dal marchio più cool del momento, A24, scelgono di comprimere – si fa per dire – nei 139 minuti di film (ma c’era già tutto il loro stile nel videoclip di otto anni fa, 3 minuti e mezzo assolutamente da vedere, di ‘multiverso’ verticale e condominiale a corredo del pezzo “Turn Down for What” di DJ Snake e Lil Jon) una narrazione che sembra sfondare il nostro universo, aprendosi a infinite possibilità, mentre poi alla fine, a ben vedere, si limitano quasi unicamente a raccontare l’armonia, prima perduta e poi riconquistata, di una famiglia.

Addirittura il bene più prezioso al mondo? Ognuno la può pensare come vuole ma qui si tratta ‘solo’ di amplificare e di ingigantire qualcosa che in un altro cinema verrebbe raccontato in due camere e cucina. Così la protagonista di origine cinese Evelyn Wang (Michelle Yeoh in stato di grazia) che gestisce una lavanderia a gettoni diventa il deus ex machina attorno a cui ruota tutta la famiglia che, grazie al metaverso più colorato e caleidoscopico che possiamo immaginare, ricompone le sue varie possibilità di vita e, con esse, quelle della figlia adolescente omosessuale (Stephanie Hsu), del marito (Ke Huy Quan, ve lo ricorderete in Indiana Jones e il tempio maledetto e ne I Goonies) sensibile sognatore che mette gli occhi alle buste piene di vestiti della lavanderia «perché così sono più felici» ma è (in)deciso a chiedere il divorzio e di suo padre un po’ rinco (James Hong, grandissimo caratterista) però sempre lucido nel non perdere occasione per rinfacciare al figlio di aver lasciato la Cina natale. Non c’è mai pace dunque per chi sceglie di migrare.

Il plot cerca di confonderci con la divertente sottotrama dell’ispezione del fisco alla lavanderia con l’impiegata untuosa e kafkiana splendidamente interpretata da Jamie Lee Curtis, ma Everything Everywhere All At Once è la quintessenza della seconda (o terza) possibilità che ogni nostra vita, seppur piccola, meriterebbe.

Lo statuto del film racconta di ciò che saremmo voluti essere, di ciò che saremmo potuti essere. E i registi fanno carte false pur di concedere l’illusione che tutto, in tutte le parti, allo stesso tempo, sia possibile. L’aspetto visivo è dunque ipertrofico, gioca sull’accelerazione che si trasforma in accumulazione senza però disdegnare dei poetici momenti quasi al ralenti pieni di grazia e di tenerezza, utilizza il cinema nei suoi (in)utili cambi di formato, fino a immaginare un’animazione superpop e, infine, spingere il piede sul tasto delle citazioni, da 2001: Odissea nello spazio (guarda la video recensione) a In the Mood For Love a Ratatouille, ma con un occhio all’universo frammentato dei video di YouTube.

C’è poi il tributo al musical, con le coreografie delle scene d’azione che non sfruttano mai la violenza ma, anzi, la smontano sempre anche perché – teorizzano i Daniels – “a noi piacciono i film d’azione, non la violenza”. E l’azione è mossa quasi esclusivamente dal gusto per il gioco che finisce per rendere Everything Everywhere All At Once un film libero. Estenuante e estenuato nella sua irregolare tripartizione narrativa che lascia spazio a un caos molto ordinato. Un’originale anarchia piena di regole.


LA RECENSIONE

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