Titolo originale | What's My Name: Muhammad Ali |
Anno | 2019 |
Genere | Documentario |
Produzione | USA |
Durata | 165 minuti |
Regia di | Antoine Fuqua |
Attori | Kareem Abdul-Jabbar, Bill Cosby, Jim Brown, Dick Cavett, Ossie Davis Diana Ross, Aretha Franklin, Stephen Stanton, Steve Allen, Muhammad Alì, Jimmy Carter, Ken Norton, George Foreman, Howard Cosell, Berry Gordy (II), Joe Frazier, Jack Paar, Jerry Quarry, Joe Bugner, Sonny Liston, Jackie Robinson, Tip O'Neill, Ed Bradley, Floyd Patterson, Chuck Wepner, Rocky Marciano, Larry Holmes, Drew Bundini Brown, Angelo Dundee, Earnie Shavers, Nikki Giovanni, Larry J. Kolb, Ernie Terrell, Leon Spinks, Gorgeous George, Jimmy Ellis, Buster Mathis, Bob Foster, Yank Durham, Tunney Hunsaker, Trevor Berbick, Oscar Bonavena, Zbigniew Pietrzykowski, Alan Hudson, Alfredo Evangelista, Jürgen Blin, Richard Dunn, Jimmy Jones, Wayne Bethea, Mac Foster, Joe E. Martin, Bill Haverman, Phuc Cao. |
Tag | Da vedere 2019 |
MYmonetro | 3,48 su 2 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento venerdì 10 maggio 2019
La storia mai raccontata del grande sportivo.
CONSIGLIATO SÌ
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Muhammad Ali è una delle figure più iconiche dello sport: campione olimpionico e ”sportivo del secolo” ma anche instancabile attivista per il Black Power e gli afroamericani. Il documentario ne esplora le sfide, le vittorie e le sconfitte grazie alla narrazione dello stesso protagonista recuperata da materiali d’archivio del tutto inediti.
Ci sono personaggi dei più diversi ambiti (sport, cultura, politica, musica) di cui si finisce con il credere di conoscere tutto.
Perché li abbiamo visti in azione nei loro ambiti di appartenenza e perché ne abbiamo letto in cronache e reportage. Viene quindi da pensare, a chi ne è stato coevo, che l’“ennesimo” documentario su di loro possa essere utile praticamente solo per le generazioni successive che non ne hanno avuto una conoscenza diretta. Nulla di più sbagliato nel caso di questo corposo (ma mai noioso) documentario di Antoine Fuqua. Muhammad Ali (mai chiamarlo Cassius Clay dopo la sua conversione all’Islam, da cui il titolo del film) viene seguito in tutto il suo percorso esistenziale e sportivo delineando il ritratto di una personalità complessa impossibile da incasellare in facili stereotipi narrativi. Chi ha di lui solo l’immagine del pugile che insultava gli avversari durante le conferenze stampa o li provocava abbassando la guardia durante i match ha una conoscenza estremamente parziale dell’uomo. Da tutto il materiale assemblato con grande senso del ritmo e del racconto da Fuqua emerge una personalità brillante e una mente acuta non solo in ambito atletico ma anche nel saper affrontare le interviste. A questo si aggiunge una particolare sensibilità verso la condizione degli afroamericani e le discriminazioni nei loro confronti.
La sua conversione all’Islam non fu una radicalizzazione tout court. Basta assistere al suo incontro con Martin Luther King per comprenderlo. Fu semmai un contributo alla battaglia che intendeva sostenere quando si chiedeva come mai per fare paura ai bambini si minacciasse l’arrivo dell’Uomo Nero. Anche l’Uomo Bianco sapeva come poter essere temibile ed incutere terrore. I suoi avi lo avevano sperimentato sulla loro pelle e lui lottava per il riscatto della propria razza. Il mezzo erano anche i colpi che sapeva portare a segno con gli avversari sul ring, che diventavano ancor più carichi di potenza quando si trovava di fronte un avversario con il suo stesso colore di pelle ma troppo vicino al modello ‘zio Tom’. Fuqua sa bene come dosare vita privata e pubblica di un uomo che, già tremante per il morbo di Parkinson che lo aveva colpito, accese la fiaccola olimpica ad Atlanta nel 1996 sintetizzando in quel fisico segnato dalla malattia la costanza di un pensiero che restava ‘forte’ al di là delle apparenze.
What's my name. Nessun punto interrogativo, nessuna domanda. Anche solamente porla sarebbe stato l'equivalente di ammettere la possibilità di una risposta diversa da Muhammad Ali. Questo è il nome che rompe le catene che legano il suo possessore a un passato di schiavitù, a quel Cassius Marcellus Clay, schiavista del Kentucky che possedeva i suoi avi, in onore del quale era stato nominato.