Vagenda Stories

Leila si avvicina ai 35 anni, la data oltre la quale, secondo la vulgata popolare, avere figli diviene un azzardo. Tra una serata alcolica e l'altra in compagnia dell'amica Sophie, Leila cerca l'uomo ideale per procreare. Specie dopo aver scoperto che la sorella di successo Amanda aspetta un bambino (anche se lo vede come un intralcio alla propria carriera).

Tocca temi sensibili la regista Natascha Beller in Vagenda Stories ed è ben consapevole di farlo.

Lo spunto per il film proviene dalla quotidianità, dalla chiacchiera che può occupare la sala d'attesa di un parrucchiere: lo stereotipo secondo cui l'orologio biologico femminile impone una precisa data di "scadenza", oltre la quale non è più possibile rimandare. O si diventa madri o si investe nella propria carriera. Una dicotomia antica, che apparentemente la società ritiene superata ma che sembra ancora tristemente attuale nella percezione della gente comune. Almeno questo è il quadro che emerge da Vagenda Stories, indagine post-Sex and the City sulla vita sessuale e sentimentale di alcune donne oltre la trentina.

L'intento di Beller è dissacrante: vuole ritrarre quel che in genere non si racconta sull'intimità delle donne, sulle loro paure e angosce, con una propensione per lo humour surreale e per la scurrilità dei doppi sensi. Tutto già visto, però, e in forme migliori. Beller supplisce alla carenza di originalità e di linguaggio - uno stile piatto, televisivo, privo di pretese - con le armi offerte dalla gioventù: un ritmo indiavolato e riferimenti alla cultura pop contemporanea.

Il limite del cattivo gusto viene ampiamente superato in più occasioni, con un'unica intuizione originale, benché discutibile: i possibili nascituri che appaiono in forma di fantasmi e prendono consistenza o svaniscono, a seconda dell'andamento delle relazioni di Leila. Il tema della non esistenza, la rappresentazione visiva di una vita che deve ancora nascere. Intuizioni che sarebbero di per sé carichi di possibilità ma che Beller non sviluppa, preferendo restare nel comodo alveo dell'ironia e del paradosso. Con inevitabile deriva apocalittica. 