
Pluripremiato al Tokyo Film Festival, un film che sa convincere.
di Claudia Catalli
Ha appena vinto il primo premio come miglior regia al Tokyo International Film Festival, che ha riconosciuto come miglior interprete anche la sua protagonista Pina Turco. Una vittoria che consolida il premio del pubblico ricevuto di recente alla tredicesima edizione della Festa del cinema di Roma e che spazza via ogni dubbio: Il vizio della speranza è un film che sa convincere. Prima ancora delle giurie, i selezionatori dei festival internazionali che, da Toronto a Londra, passando appunto per Tokyo, lo hanno fortemente voluto.
Prima riflessione, doverosa: non è affatto comune, per un autore del '78 - e per un regista italiano che non si chiami Garrone o Sorrentino - ricevere tutta questa attenzione a livello internazionale. Se la forza di un regista sta nel rimanere coerente con la sua concezione di cinema, De Angelis ha dimostrato ampiamente non solo di avere un suo stile ormai maturo e riconoscibile, ma di voler insistere nel raccontare gli ultimi che non si arrendono al proprio destino - le gemelle di Indivisibili, come Maria di Il vizio della speranza.
Pina Turco dona a Maria un'aurea di grazia e maturità, rendendo profondamente credibile con il suo volto inquieto un personaggio borderline: al servizio di una malavitosa ingioiellata, è la Caronte di un commercio illegale di bambini nella terra di nessuno. Dove dormire per sempre, come recita Cristina Donadio in una battuta memorabile, si configura come il sogno più desiderabile.
Immettendosi sulla scia dei grandi cineasti contemporanei - su tutti Alfonso Cuaròn, che con il suo Roma ha scelto di raccontare le (dis)avventure quotidiane ed emotive della sua tata - De Angelis continua a firmare opere che non risentono delle mode del momento e non si fanno influenzare dalle tendenze. Sceglie generalmente attori lontani dal mainstream ma vicini alla verità delle storie che mette in scena (fatta eccezione per Luisa Ranieri e Luca Zingaretti, protagonisti rispettivamente di Mozzarella Stories e Perez., immessi tuttavia in contesti e situazioni decisamente lontani da quelli in cui siamo abituati a vederli muovere). Punta su volti di attrici magnetiche e poco conosciute, capaci di restituire tutta la forza vitale di personaggi mai facili, mai descrivibili in una riga, sempre profondamente stratificati a livello psicologico ed emotivo. Maria di Il vizio della speranza lo è senz'altro: nata figlia di una madre sconfitta, di un sistema malato e di una società che la confina all'ultimo gradino, è una donna che prova a ribellarsi, alzare la testa, gridare al mondo la sua esistenza. Tra baracche fetide e pescherecci che sanno di stantio - c'è film più riuscito di quello che riesce a evocare gli odori? - si aggira con la grazia di chi realizza che un nuovo mondo è (ancora) possibile. Un inno alla vita che diventa metaforico dentro una capanna, e universale per chi, insieme alla protagonista, da qualunque parte del mondo scelga di guardare con speranza l'orizzonte.