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Ultimo aggiornamento domenica 2 dicembre 2018
Yael, otto anni, è molto timida e vive nel suo mondo. Un giorno scopre una penna in grado di "tradurre" i pensieri e i sentimenti, anche delle persone più nervose.
CONSIGLIATO SÌ
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Filippine, fine anni Ottanta. La dittatura di Marcos è stata rovesciata ma Yael, 8 anni, vive ancora senza il papà, che si trova in Arabia Saudita per lavoro. La madre Val non parla quasi mai con lei e rincasa distrutta dopo ogni giornata di lavoro. Yael trova rifugio nell'ascolto di audiocassette, in cui ascolta la voce del padre lontano.
Il secondo lungometraggio di Shireen Seno, regista cresciuta attraverso collaborazioni con Lav Diaz e John Torres, contribuisce a delineare la personalità di un'autrice peculiare del nuovo cinema filippino.
Nervous Translation è insieme racconto di formazione e sottile metafora di una situazione politica, che accomuna le Filippine della dittatura di Marcos a quelle del regime attuale di Duterte. In mezzo ci sono stati trent'anni di diaspora, che hanno generato un flusso migratorio incontrollato verso l'Asia continentale e l'Occidente, dando vita a nuclei familiari disgregati, a bambini soli e spesso infelici.
Seno, nata e cresciuta in Canada, era con ogni probabilità una di queste bambine, o almeno questo sembra suggerire il punto di vista così peculiare della protagonista di Nervous Translation, la piccola Yael. Lo spettatore la conosce mentre prepara un gustoso pasto con la sua mini-cucina giocattolo, ma è solo l'inizio di una serie di curiose attività che Yael conduce meticolosamente durante i lunghi momenti di solitudine. Quand'anche Val rientra dal lavoro, tra madre e figlia vige l'accordo di mantenere 30 minuti di silenzio: logico rifugiarsi quindi in una dimensione parallela e desiderare una penna che renda il mondo un posto migliore (così recita uno spot giapponese martellante, trasmesso dai tv delle case filippine). Yael non vede mai il proprio padre ma solo il suo fratello gemello Tino, ex rockstar con i The Futures oggi obbligato dalle necessità a intraprendere un lavoro più convenzionale.
Il feeling invisibile tra Tino e Val resta difficile da interpretare, tanto per Yael quanto per lo spettatore: in Nervous Translation, d'altronde, è spesso difficile distinguere ciò che è sognato da ciò che è esperito, come attraverso gli occhi di una bambina fantasiosa, incapace di immaginare il numero di scarpe della collezione di Imelda Marcos (immancabile il notiziario tv che immortala la colle) ma soprattutto di ricondurlo a una realtà anche più assurda delle sue fantasie. Un realismo magico che nemmeno un tifone, apparente deus ex machina ma effettivo MacGuffin, sembra poter ricondurre a una presunta normalità, di fronte alla quale le Filippine di ieri e di oggi si confermano purtroppo irriducibili.