samanta
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lunedì 24 settembre 2018
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il prezzo dell'ipocrisia
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Il film è del 2015 e si riferisce ad una vicenda del 1968, con cui cerca di mascherare una fake news come un'eroica azione giornalistica la quale è nient'altro che il metodo tipico del c.d. politically correct.
La trama rispecchia un fatto reale, una équipe della CBS (Trasmissione "60 Minutes") nel settembre 2004 in piena campagna elettorale presidenziale Bush- Kerry ripesca un fatto risalente al 1968, l'autrice dello scoop è Mary Maps (Cate Blanchett) l'anchor man della trasmissione è Dan Rather (Robert Redford) famoso giornalista. Secondo questa notizia Bush si sarebbe fatto raccomandare nella Guardia Nazionale Aerea per evitare il Vietnam e venne arruolato come aspirante pilota per 6 anni, inoltre per una anno nel 1973 di fatto non avrebbe fatto nulla dedicandosi ai suoi affari con la complicità dei superiori, il che sarebbe provato da alcune lettere.
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Il film è del 2015 e si riferisce ad una vicenda del 1968, con cui cerca di mascherare una fake news come un'eroica azione giornalistica la quale è nient'altro che il metodo tipico del c.d. politically correct.
La trama rispecchia un fatto reale, una équipe della CBS (Trasmissione "60 Minutes") nel settembre 2004 in piena campagna elettorale presidenziale Bush- Kerry ripesca un fatto risalente al 1968, l'autrice dello scoop è Mary Maps (Cate Blanchett) l'anchor man della trasmissione è Dan Rather (Robert Redford) famoso giornalista. Secondo questa notizia Bush si sarebbe fatto raccomandare nella Guardia Nazionale Aerea per evitare il Vietnam e venne arruolato come aspirante pilota per 6 anni, inoltre per una anno nel 1973 di fatto non avrebbe fatto nulla dedicandosi ai suoi affari con la complicità dei superiori, il che sarebbe provato da alcune lettere. Viene fatta la trasmissione televisiva, ma scoppia un putiferio, alcuni documnti sono falsi uno addirittura del 1973 è scritto con un computer e non con una macchina da scrivere, i documenti sono stati dati da un ex ufficiale che ce l'aveva con i Bush e che dice (sono copie) di averli avuti da una persona inesistente, durante la trasmissione cambierà versione raccontando una storia senza capo ne coda di persone misteriose che gli hanno dato i documenti. Viene citato un perito calligrafico da operetta che pur ammettendo che la firma dell'ufficiale nel documento è molto diversa dall'originale, afferma che le differenze possono essere dovute a stress emotivo(!). Viene interrogato il politico che aveva raccomandato Bush. ma viene tagliato nella trasmissione che lui aveva raccomandato in quel periodo centinaia di persone e che molte delle sue raccomandazioni non erano state accolte. In conclusione aperta un'inchiesta interna la CBS chiede scusa e tutti i membri del team licenziati, mentre Dan Rather è mandato in pensione. La cosa più incredibile che quando si fa la trasmissione erano ormai venute a galla le bugie di Bush sulle armi di distruzione di massa e i legami inesistenti tra Saddam e Osama che stavano alla base di una guerra all'IRAK costata la morte di 5000 americani e di 200.000 irakeni. Però i nostri eroici giornalisti non avevano voluto attaccare le lobby industriali delle armi, petrolifere , le lobby fondamentaliste evangeliche, israeliane che erano favorevoli alla guerra per motivi economici o ideologici, ma avevano voluto essendo liberal dare un assist al candidato Kerry a cui sotto sotto avevano dato informazioni dell'inchiesta. Quanto al film in sé è piuttosto piatto riesce ben poco credibile l'eroicità dei giornalisti, Redford non recita, ma fa recitare la sua statua, quanto a Cate Blanchett piange in continuazione. Più avveduti gli spettatori americani il film costato 10 milioni di $ ne ha incassati un quarto.
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elgatoloco
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sabato 22 settembre 2018
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francamente marginale
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"Truth"(2015, di James Vanderbilt, regia, come anche soggetto e sceneggiatura)si incentra sulla volontà della CBS di dimostrare che l'allora(10 anni prima, 2005) presidente USA George BUSH non era stato in Vietnam ma nella"Guardia Nazionale"per "scampare"alla guerra. Ora, francamente , si tratta di un episodio che interessa al massimo gli States, non tutto il mondo; è la solita morale"WASP"vigente negli States per cui la cosa più grave è la menzogna: nobile, ma spesso inconcludente, comunque una questione che non interessa tutto il mondo, a dire la(mi scuso per il gioco di parole, su"Truth")verità.
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"Truth"(2015, di James Vanderbilt, regia, come anche soggetto e sceneggiatura)si incentra sulla volontà della CBS di dimostrare che l'allora(10 anni prima, 2005) presidente USA George BUSH non era stato in Vietnam ma nella"Guardia Nazionale"per "scampare"alla guerra. Ora, francamente , si tratta di un episodio che interessa al massimo gli States, non tutto il mondo; è la solita morale"WASP"vigente negli States per cui la cosa più grave è la menzogna: nobile, ma spesso inconcludente, comunque una questione che non interessa tutto il mondo, a dire la(mi scuso per il gioco di parole, su"Truth")verità.... Ben strutturato, nobile(a modo suo, nel proposito), è invece un film abbastanzaa noioso, incentrato sulla sola dimensione televisva(Marshall Mc Luhan sorride...), privo di altri agganci al di fuori della questione specifica"demonstranda"-quasi che il volersi sottrarre al(più che discutibile)"obbliogo patriotttico" da"make the war"fosse e sia la cosa più importante al mondo. Sembra che, invece, la volontà guerrafondaia di Bush(ma anche di altri presidenti USA-vedasi Clinton...)sia meno importante, meno significativa, cosa, francamente assurda. Siamo lontani(pur nella sostanziale onestà ,partigiana però, da"Democratic Party")da altri film "storici"(penso a Alan Pakula e al suo"All the President's men", 1976)che denunciavano il ruolo dei presidenti degli States, collocandoci invece in una dimensione assolutamente e radicalmente"marginale"della storia, di per sé, appunto, discutibile. Peccato ci siano di mezzo Bob Redfrod(a propoosito del film citato sopra), Cate Blanchett, Dennis Quaid e altri/e, coinvolti/e in un'impresa nobile ma, invero, sostanzialmente inutie...reakuzzazione tecnica valida, tesi da dimostrare di poco conto.. E il cinema è anche di significati, non solo di significanti... El Gato
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onufrio
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giovedì 20 aprile 2017
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la verità ti fa male, lo so
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A pochi mesi dalle elezioni americane che vede impegnato il Presidente in carica Bush a riconfermarsi al potere degli Stati Uniti d'America, il network televisivo CBS manda in onda una sorta di documentario investigativo sulle origini militari di Bush ai tempi della guerra in Vietnam. Il servizio, che suscita scalpore, è meticolosamente curato dalla giornalista Mary Mapes (C.Blanchett) in collaborazione con un gruppo affiatato di colleghi fra cui spicca il veterano Dan Rather (R.Redford) storico conduttore del programma. Allo scalpore iniziale susseguono polemiche sull'autenticità di alcune fonti, inizia così una complessa battaglia linguistica e legale che porterà i conti da pagare per un salato "prezzo della verità".
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A pochi mesi dalle elezioni americane che vede impegnato il Presidente in carica Bush a riconfermarsi al potere degli Stati Uniti d'America, il network televisivo CBS manda in onda una sorta di documentario investigativo sulle origini militari di Bush ai tempi della guerra in Vietnam. Il servizio, che suscita scalpore, è meticolosamente curato dalla giornalista Mary Mapes (C.Blanchett) in collaborazione con un gruppo affiatato di colleghi fra cui spicca il veterano Dan Rather (R.Redford) storico conduttore del programma. Allo scalpore iniziale susseguono polemiche sull'autenticità di alcune fonti, inizia così una complessa battaglia linguistica e legale che porterà i conti da pagare per un salato "prezzo della verità".
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bertold
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sabato 27 agosto 2016
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informazione e libertà
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C’è un filone del cinema americano che potremmo definire “catartico”. Vengono sul grande schermo con indulgente ammiccante censura i vizi e difetti culturali, politici e sociali della Grande Nazione. I grandi valori fondanti della società si incarnano nel cittadino qualunque, che da solo od in piccola compagnia si contrappone al Golia del Potere, o peggio ancora dei Poteri Forti tra loro complici e connessi.
Per decenni queste vicende cinematografiche si concludevano in una sorta di logica inversa rispetto alla realtà quotidiana e Davide sconfiggeva Golia o, ad andar male, ne usciva con l’onore delle armi.Nel tempo non è stato più così. Senza volere assolutizzare, un momento determinante è stata certamente la vicenda della guerra in Vietnam.
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C’è un filone del cinema americano che potremmo definire “catartico”. Vengono sul grande schermo con indulgente ammiccante censura i vizi e difetti culturali, politici e sociali della Grande Nazione. I grandi valori fondanti della società si incarnano nel cittadino qualunque, che da solo od in piccola compagnia si contrappone al Golia del Potere, o peggio ancora dei Poteri Forti tra loro complici e connessi.
Per decenni queste vicende cinematografiche si concludevano in una sorta di logica inversa rispetto alla realtà quotidiana e Davide sconfiggeva Golia o, ad andar male, ne usciva con l’onore delle armi.Nel tempo non è stato più così. Senza volere assolutizzare, un momento determinante è stata certamente la vicenda della guerra in Vietnam. Essa non rappresentò solo la prima rilevante disfatta militare, ma mise a dura prova i valori e le certezze umane e sociali, personali e collettive statunitense. Non a caso film sulla guerra vietnamita molto diversi tra loro, quali "Il Cacciatore" ed "Apocalipse nown", realizzati nell’immediatezza della fine del conflitto, sono accomunati da una tragica spirale involutiva disumana e disumanizzante, allucinata ed allucinante. Perciò il ruolo di ogni americano riguardo alla guerra del Vietnam ha avuto un impatto sociale superiore persino alle omologhe vicende della seconda guerra mondiale, che aveva visto protagonista diretta la generazione precedente. Sottrarsi agli obblighi militari tramite raccomandazioni, imboscarsi in corpi formalmente d’élite, ma in effetti ben al di fuori dagli scenari di guerra, ed inoltre eludere persino i più elementari doveri anche di questi rappresenta un handicap di non poco conto per chi nutrisse ambizioni politiche, addirittura alla Presidenza degli Stati Uniti. Di questo è stato accusato G. W. Bush Jr. nel momento culminante della campagna elettorale per il suo secondo mandato presidenziale da un’inchiesta giornalistica della rete televisiva C.B.S.. Il film ricostruisce la vicenda sulla base del libro pubblicato dalla produttrice del servizio, i plausi ed i voltafaccia, sino all’inevitabile scontro con il potere nelle sue convergenze e diramazioni, anche meno immaginabili. Il film non ha tensioni da thriller. L’impostazione è semmai quella della contrapposizione tra buoni e cattivi, dove i primi appaiono sin troppo ingenui, sempre pronti alla lacrima contenuta od al sorriso solidale tra limpidi affetti, mai alla ricerca, né adescati da offerte di sostegno da chi avrebbe avuto certamente ragioni per farlo almeno pari a quelle dei loro avversari. Per loro solo il muto stupore dei colleghi, nessuna solidarietà neanche nascosta, mentre la strategia e lo stesso solidale richiamo “coraggio” appaiono sempre prettamente difensivi. Le loro camicie smanicate, giubbotti, tenuta “quasi yppies” si contrappongono all’omogeneità degli abiti scuri delle loro controparti in controluce, chiusi nella cinica ipocrisia delle logiche di potere. Il film ed il libro vogliono essere anche un omaggio al giornalismo ed una denunzia della scomparsa dell’indipendenza di quello che fu il Quarto potere, pure penalizzato dalla massificazione generalizzata dell’etere e dell’informatica.Due premi nobel, come recita il poster, Cate Blanchett e soprattutto Robert Redford, con un polimorfo atteggiamento sornione, mettono la loro professionalità a servizio del film, diretto con correttezza forse un po’ troppo scolastica da Vanderbilt.
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pier delmonte
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martedì 12 luglio 2016
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genere giornalistico? allora io mi guardo moore
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Mi sembra che negli anni di questa storia esce Fahrenheit di Moore, insomma Moore non e’ proprio un caro amico di Bush, e allora questa storia della cbs non mi ha entusiasmato, il film lungo tra un bicchiere e un volo convince poco. Noiosi pure i protagonisti.
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liuk!
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mercoledì 25 maggio 2016
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this is usa
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Un bellissimo film, non c'è dubbio. Un pezzo di giornalismo messo a tacere dai poteri politici, un intero staff di professionisti castigato da Bush viene qui riabilitato facendo riflettere gli spettatori su quanto incida la politica sulla "verità". Purtroppo non è così solo negli Stati Uniti e noi lo sappiamo bene.
La Blanchett è come sempre strepitosa, forse la miglior attrice in circolazione, ma tutto il cast è degno di nota, anche quel vecchio lupo di mare di Robert Redford che proprio non ne vuol sapere di andare in pensione.
Pellicola da non perdere.
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alex2044
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giovedì 31 marzo 2016
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tutto è probabile , ma qualche certezza no ?
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Mi aspettavo di più . Non si può dire che il film sia brutto ma non decolla mai , insomma manca totalmente di pathos . Anche gli attori hanno fatto di meglio . Cate Blanchett spesso prima brava e poi bella , qui è prima bella poi bravina . Robert Redford fa Robert Redford . Forse l'età non l'aiuta e lui alla fine ci mostra soltanto l'ottima persona che è nella vita reale . Il film poi è un elenco di probabilità . L'inchiesta di cui tratta è condotta con molto coraggio e partecipazione ma anche con qualche eccessiva approssimazione . Ed anche se uno è portato a credere che l'assunto che viene proposto , che Bush abbia fatto il furbo , sia plausibile o perfino certo , il film fa molto poco per confermarlo nella sua opinione .
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Mi aspettavo di più . Non si può dire che il film sia brutto ma non decolla mai , insomma manca totalmente di pathos . Anche gli attori hanno fatto di meglio . Cate Blanchett spesso prima brava e poi bella , qui è prima bella poi bravina . Robert Redford fa Robert Redford . Forse l'età non l'aiuta e lui alla fine ci mostra soltanto l'ottima persona che è nella vita reale . Il film poi è un elenco di probabilità . L'inchiesta di cui tratta è condotta con molto coraggio e partecipazione ma anche con qualche eccessiva approssimazione . Ed anche se uno è portato a credere che l'assunto che viene proposto , che Bush abbia fatto il furbo , sia plausibile o perfino certo , il film fa molto poco per confermarlo nella sua opinione . D'altra parte entusiasmarsi per un TH in più o in meno non è il massimo anche per il più incallito degli antibushiani . I momenti in cui il film ha qualche picco non sono più di due o tre . All'inizio quando la protagonista e ideatrice dell'inchiesta si presenta all'avvocato che la dovrà difendere alla fine della storia . Nel finale la sparata del giovane giornalista d'assalto quando viene licenziato e di nuovo il colluquio definitivo della protagonista con il suo avvocato che ne sancisce la sconfitta e la sua uscita dalla scena giornalistica . Ripeto , la confezione è corretta ma il risultato non supera i limiti di un buon prodotto più televisivo che cinematografico .
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catcarlo
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giovedì 31 marzo 2016
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la verità, forse
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Nell’anno dell’Oscar a ‘Il caso Spotlight’ esce l’opera prima di James Vanderbilt che, ‘dramma redazionale’ come il film di Tom McCarthy, è forse meno interessante dal punto di vista cinematografico, ma intriga in misura probabilmente maggiore lasciando lo spettatore a chiedersi dove stia sul serio quella verità che la intitola in originale. Vanderbilt preferisce andare sul sicuro e mette per immagini, oltre che scriverla, una sceneggiatura che rispetta i canoni del genere, ma che procede con il giusto ritmo per tenere avvinta l’attenzione lungo quasi tutte le due ore di durata, appesantendosi di qualche ripetizione solo nel segmento finale.
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Nell’anno dell’Oscar a ‘Il caso Spotlight’ esce l’opera prima di James Vanderbilt che, ‘dramma redazionale’ come il film di Tom McCarthy, è forse meno interessante dal punto di vista cinematografico, ma intriga in misura probabilmente maggiore lasciando lo spettatore a chiedersi dove stia sul serio quella verità che la intitola in originale. Vanderbilt preferisce andare sul sicuro e mette per immagini, oltre che scriverla, una sceneggiatura che rispetta i canoni del genere, ma che procede con il giusto ritmo per tenere avvinta l’attenzione lungo quasi tutte le due ore di durata, appesantendosi di qualche ripetizione solo nel segmento finale. Mary Mapes guida una squadra di reporter d’assalto che, basandosi su alcuni documenti di origine incerta, porta sotto i riflettori il modo in cui Bush si imboscò ai tempi del Vietnam: come di prammatica, nell’indagine i passaggi a vuoto si alternano ai momenti di esaltazione laddove i testimoni sono reticenti e gli esperti tentennano, ma infine si va in prima serata con la benedizione (e la faccia) di Dan Rather a poche settimane dalle elezioni del 2004. Qui lo sviluppo giornalistico inizia a scivolare nel dramma senza aggettivi: la dubbia veridicità della documentazione dà il via a una spirale discendente che, mentre va a intaccare la vita privata della protagonista, ne danneggia la professionale fino al ribaltamento dei ruoli durante il giudizio davanti a una commissione incaricata di risolvere la controversia. Alla fine, la CBS, visto pure l’esito del voto, non può esimersi dal licenziamento in blocco, incluso il suo anchorman più amato, in una conclusione che lascia in ogni caso l’amaro in bocca: malgrado si parli spesso dell’esigenza di fare domande e di scoprire la verità costi quel che costi, la vicenda non dà nessuna certezza. La storia è basata sulle memorie di Mary Mapes e quindi non può essere che di parte, seppur la buona fede della donna e dei suoi collaboratori non possa essere messa in dubbio: è comunque vero, però, che in un campo come il giornalismo d’inchiesta, la buona fede non basta se le prove non sono consistenti. Non va dimenticato che la questione ha un impatto diverso se si è statunitensi oppure no: al contrario di un europeo, per cui l’argomento è in minor grado controverso rispetto a ‘Spotlight’, chi vive negli USA sente la faccenda ancora scottante, come dimostrano molti messaggi – a volte parecchio astiosi – su di un sito assai istituzionale come imdb. La recitazione di Cate Blanchett è un ulteriore pezzo di bravura attraverso cui rendere alla perfezione la testardaggine al limite dell’asprezza mischiata alle molte fragilità di Mary: al suo fianco, Redford interpreta da vecchio marpione l’altro vecchio marpione Rather – capace di partecipazione ma anche di distacco – mentre il quasi coetaneo dell’ex Sundance Kid Stacy Keach dà vita a un personaggio ambiguo come il colonnello Burkett. L’anello debole della compagnia è Dennis Quaid, che sembra un po’ in prestito: la sua prova è ben compensata dalla vivacità di Topher Grace e dalle interpretazioni di un cast per il resto impeccabile.
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vincenzo ambriola
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sabato 26 marzo 2016
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il destino di chi comanda
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Nel 2004 una giornalista della CBS (Mary Mapes) organizza una squadra per scoprire la verità su un episodio del giovane G. W. Bush, a quel tempo presidente degli Stati Uniti. Dan Rather le da fiducia e mette in onda una puntata di "60 minuti" in cui ricostruisce la vicenda, basata in gran parte su copie di vecchi documenti. Anziché essere il grande scoop è solo l'inizio di un inarrestabile processo mediatico sulla veridicità delle accuse al presidente, che si concluderà con l'addio al giornalismo di Dan Rather e al licenziamento di Mary Mapes. Film discontinuo, oscillante tra il giornalismo militante, alla ricerca di fonti attendibili, di incastri tra avvenimenti e documenti, sempre in volo da una parte all'altra della nazione, e la vita privata di una giornalista con i suoi problemi familiari, più o meno risolti.
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Nel 2004 una giornalista della CBS (Mary Mapes) organizza una squadra per scoprire la verità su un episodio del giovane G. W. Bush, a quel tempo presidente degli Stati Uniti. Dan Rather le da fiducia e mette in onda una puntata di "60 minuti" in cui ricostruisce la vicenda, basata in gran parte su copie di vecchi documenti. Anziché essere il grande scoop è solo l'inizio di un inarrestabile processo mediatico sulla veridicità delle accuse al presidente, che si concluderà con l'addio al giornalismo di Dan Rather e al licenziamento di Mary Mapes. Film discontinuo, oscillante tra il giornalismo militante, alla ricerca di fonti attendibili, di incastri tra avvenimenti e documenti, sempre in volo da una parte all'altra della nazione, e la vita privata di una giornalista con i suoi problemi familiari, più o meno risolti. Vanderbilt cerca di volare alto ma poi cade proprio in ciò che vuole condannare, la verifica del carattere tipografico con cui è stato scritto il (falso) documento, argomento che prende quasi tutta la parte centrale della storia. Dopo aver visto questo film sappiamo qualcosa di più di Bush? No, lo vediamo solo per qualche minuto alla fine, parlare vittorioso alla televisione. Ci resta il sospetto che non sia andato in Vietnam per poi mandare i suoi soldati a morire in Iraq. Ma questo, alla fine, è il destino di chi comanda.
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nanni
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giovedì 24 marzo 2016
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truth, il prezzo della verità
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OGGI. Siamo in piena corsa per le presidenziali americane dell'8 novembre prossimo. Solo pochi mesi fa Jeb Bush, (fratello di George), era il candidato di punta dei Repubblicani. IERI. "Truth, il prezzo della verità ci narra come durante le presidenziali del 2004 la redazione di 60 minutes rivelò al paese che l'allora candidato George Bush, poi presidente degli Stati Uniti d'America, grazie a solidissime raccomandazioni, all'età di 20 anni imboscandosi nella Guardia nazionale dell'Aeronautica evitò di finire a fare la guerra vera in Vietnam. Il lavoro della redazione fu allora messo sotto la lente d'ingrandimento da una commissione che valutò inaccettabile lo stile deontologico dei giornalisti e sanzionandolo con l'oblio dall'etere divenne metafora rivelatrice di tutte le differenze tra le due anime più significative del paese in lotta per la giuda della nazione più potente del pianeta.
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OGGI. Siamo in piena corsa per le presidenziali americane dell'8 novembre prossimo. Solo pochi mesi fa Jeb Bush, (fratello di George), era il candidato di punta dei Repubblicani. IERI. "Truth, il prezzo della verità ci narra come durante le presidenziali del 2004 la redazione di 60 minutes rivelò al paese che l'allora candidato George Bush, poi presidente degli Stati Uniti d'America, grazie a solidissime raccomandazioni, all'età di 20 anni imboscandosi nella Guardia nazionale dell'Aeronautica evitò di finire a fare la guerra vera in Vietnam. Il lavoro della redazione fu allora messo sotto la lente d'ingrandimento da una commissione che valutò inaccettabile lo stile deontologico dei giornalisti e sanzionandolo con l'oblio dall'etere divenne metafora rivelatrice di tutte le differenze tra le due anime più significative del paese in lotta per la giuda della nazione più potente del pianeta. Robert Redford, dunque, perfetto come sempre, nei panni del famosissimo conduttore televisivo Dan Rather,con questo lavoro dà il suo personale contributo da attivista schierato all'attuale campagna elettorale nel campo dei democratici. L'ottima la regia di Vanderbilt è impreziosita da una Cate Blanchett stellare come sempre. Film militante. ciao nanni
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