Anno | 2013 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Kazakhistan |
Durata | 80 minuti |
Regia di | Zhanna Issabayeva |
Attori | Aidar Mukhametzhanov, Dina Tukubayeva, Galina Pyanova . |
MYmonetro | 3,00 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento martedì 21 gennaio 2014
Il nuovo lavoro della giornalista e regista Zhanna Issabayeva.
CONSIGLIATO SÌ
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Nagima è stata abbandonata dalla madre. È cresciuta in un orfanotrofio, dove ha potuto contare solo sull'amicizia di Anya, che è divenuta per lei come una vera sorella. Raggiunta la maggiore età, Nagima ha dovuto lasciare l'orfanotrofio e iniziare a sostentarsi in maniera indipendente. Nagima, che non è né bella né particolarmente brillante, ha trovato lavoro in un ristorante, come sguattera e lavapiatti. Vive in un modestissimo alloggio e ama segretamente, e non ricambiata, l'aitante garzone del negozio all'angolo. Quando l'amica Anya muore repentinamente di parto, Nagima decide d'incontrare la madre che non ha mai conosciuto. Solo per essere nuovamente e violentemente rifiutata e cacciata.
Ci sono film che intrattengono lo spettatore, lo portano in luoghi lontani o immaginifici, lo fanno sorridere e gli permettono per un lasso di due ore di staccare la spina dalla fatica o dalle sofferenze della vita quotidiana. Vi sono altri film che, per contro, rammentano a chi li vede quanto l'esistenza umana possa essere un fardello o un tormento che si trascina di giorno in giorno senza un barlume di speranza; film che è talvolta difficile amare e a cui non è sempre piacevole consacrarsi. Una premessa e constatazione di estrema banalità, ma che è difficile non riproporre allorché ci s'imbatte in questa sconsolata Mouchette kazaka. Nagima è mingherlina, ha le spalle curve, capelli lisci e slavati, uno sguardo avvilito e cammina un po' a fatica, quasi fosse sciancata. Non ha davvero nulla che la redima o la renda simpatica e piacevole allo spettatore, se non la sua solitudine e la sua sofferenza.
La regista Zhanna Issabayeva, che aveva esordito con Karoy, presentato alla Settimana della Critica di Venezia 2007, ha apparentemente trovato la sua dolorosa interprete Dina Tukubayeva proprio tra giovani cresciute in un orfanotrofio. E le ha cucito addosso un personaggio ingrato. Il rischio, evidente, è quello di un sovraccarico parossistico di malasorte. Eppure, in questo racconto crudele tra baracche e steppe abbandonati da Dio, si percepisce un fondo di sincerità, magari anche maldestra, che redime i passaggi più ridondanti. E la sequenza dove Nagima implora il bell'amato di mentirle e di mentirle con convinzione è semplicemente bellissima e straziante.