Anno | 2013 |
Genere | Documentario |
Produzione | Israele |
Durata | 60 minuti |
Regia di | Dan Shadur, Barak Heymann |
Tag | Da vedere 2013 |
MYmonetro | 3,25 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento giovedì 3 aprile 2014
Quando il 'paradiso' si è trasformato in un inferno, gli israeliani che vivevano in Iran si sono ritrovati nel bel mezzo della rivoluzione islamica.
CONSIGLIATO SÌ
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Negli anni '70, forse non molti lo sanno, il governo israeliano godeva di segreti e idilliaci rapporti con lo Scià di Persia, tanto che moltissimi israeliani -generali, uomini d'affari e gente comune- si era trasferita con le famiglie in Iran, dove vivevano al sicuro e si arricchivano a pieno ritmo. I frequentatori dell'ambasciata israeliana a Teheran hanno vissuto per anni in un vero e proprio eden, luogo di lusso e di festeggiamenti continui, senza accorgersi che la città era drammaticamente divisa in due: a nord i ricchi, a sud la gente che non aveva di che mangiare, si lavava nelle fogne a cielo aperto e covava il risentimento che avrebbe portato di lì a poco alla rivoluzione.
A quel punto, il suddetto paradiso si è trasformato per gli uomini, le donne e i bambini di nazionalità israeliana, nel giro di pochissimo tempo, in un inferno da cui scappare al più presto, prima che i frequenti voli tra Teheran e Tel Aviv non scomparissero del tutto e restare là non volesse dire rischiare la morte in ogni momento.
Comincia come il rimpianto di un'epoca di felicità scomparsa, di anni ruggenti e innocenti, questo Before the revolution , per poi trasformarsi in un thriller alla Argo, poiché la circostanza è in tutto e per tutto la medesima. Ma ciò che rende il film interessante, al di là delle interviste sempre piuttosto scioccanti ai capi del Mossad, è la sua terza natura, quella di home-movie, altrimenti detto filmino di famiglia. L'autore del documentario, infatti, ha vissuto i primi anni della vita proprio a Teheran, dove i genitori erano emigrati per guadagnare con stipendi iraniani e tornare poi in Israele con un potere d'acquisto a dir poco forte. Il padre, in particolare, è rimasto tra gli ultimi stranieri nella capitale persiana, nascondendosi e mimetizzandosi, nella vana attesa che i disordini si acquietassero e che si potesse tornare a fare la (bella) vita di prima. Il materiale fotografico e cinematografico, in 8 mm, a disposizione di Dan Shadur, è raro ed eccezionale. L'Iran che ritrae non è stato posticciamente ricostruito in Turchia o altrove, ma è quello reale e ospitale che nessun israeliano potrebbe immaginare oggi.
Questo viaggio nel passato, in una stagione felice che coincide con la breve unità della famiglia Shadur, poiché entrambi i genitori del regista sono morti prematuramente, è anche un viaggio che costringe a fare i conti con la complessità della Storia e, dal punto di vista dell'autore, con il fatto che la sua nazione ha avuto una responsabilità non da poco nelle vicende del moderno Iran. Se per cecità, per indifferenza o altro, più di tanto non si viene a sapere (non è un argomento facile per gli intervistati...), ma tra le pieghe delle loro parole escono comunque spunti controversi e attualissimi, che riguardano il programma di armamento nucleare iraniano (che affonda le sue radici proprio in quegli anni e grazie all'aiuto di Israele) e soprattutto i parallelismi con le rivoluzioni dell'odierna primavera araba, d'Egitto in particolare.