Schiavitù e cinema: 12 anni schiavo e i suoi precedenti.
di Roy Menarini
Chi è Armond White? Un critico afroamericano, poco noto da noi, celebre per le sue prese di posizione rabbiose e per l'attenzione che sempre porta nei confronti di film controversi. Membro del New York Film Critics Circle, ha rumorosamente fatto valere le sue rimostranze nei confronti di 12 anni schiavo, bollato come "horror show" e "porno sulla schiavitù". Le sue accuse sono state considerate troppo pesanti, al punto che Armond White è stato espulso dal circolo dei critici newyorchesi, che ha persino presentato a Steve McQueen le proprie scuse. Si può, certo, dissentire dai modi di White, ma la brutale estromissione dal sindacato è parsa a molti una punizione esagerata. La cosa più sorprendente è che a McQueen è permesso mostrare sadismo e crudeltà per una buona causa, ma a un critico è rifiutato il diritto di negare, con la medesima forza, che si tratti di una pedagogia legittima.
Tuttavia, sono le recensioni ufficiali a garantire il giusto spazio ai pro e ai contro, e ad esse rimandiamo. Quel che ci sembra qui più interessante è ragionare sui "diritti" che da molto tempo vengono evocati - o avocati a sé - per parlare di razzismo. McQueen ha addirittura affermato che 12 anni schiavo è in fondo il primo, vero film sulla schiavitù americana, perché tutti gli altri (se li si analizzano a fondo) la usano come contesto. Ma ricordiamo anche il nervosismo di Spike Lee nei confronti di Tarantino e del suo Django Unchained, nascosto sotto la lunare polemica intorno ai troppi "nigger" pronunciati dai personaggi (in McQueen, ovviamente, ce ne sono anche di più, visto che così si parlava nel periodo storico cui ci si riferisce). E, andando all'indietro, tornano alla mente le polemiche intorno al bellissimo e brutale Mandingo di Richard Fleischer, ancora più violento di 12 anni schiavo, sanguigno e sensazionalistico, ma impallinato per l'unica ragione di essere stato girato da un bianco (bollato per questo di fascismo e razzismo, niente meno, nel 1975). E non dimentichiamo nemmeno le perplessità suscitate dalla celebre miniserie Radici del 1977, quella per intenderci con il protagonista chiamato Kunta Kinte, accusata di spettacolarizzazione dello schiavismo statunitense.
Si tratta, come evidente, di un tema spinoso, di un campo minato, di un territorio a rischio. Dunque ben vengano furiose litigate su 12 anni schiavo e sul suo pedagogismo a suon di frustate contro l'imperturbabilità del pubblico. Certo, se McQueen voleva inchiodare gli spettatori a una sorta di corresponsabilità nei confronti di ciò che stanno guardando, non giunge però al sadismo di Abdellatif Kechiche in Venere nera, che ha quanto meno il merito di aver ricordato a noi europei la nostra personale storia di "slavery".