Profughi a Cinecittà

Film 2012 | Documentario 52 min.

Anno2012
GenereDocumentario
ProduzioneItalia
Durata52 minuti
Regia diMarco Bertozzi
MYmonetro 3,00 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

Regia di Marco Bertozzi. Un film Genere Documentario - Italia, 2012, durata 52 minuti. - MYmonetro 3,00 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

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Ultimo aggiornamento lunedì 8 luglio 2013

La trasformazione subita da Cinecittà negli anni che vanno dal 1943 al 1950, attraverso l'occupazione nazista.

Consigliato sì!
3,00/5
MYMOVIES 3,00
CRITICA
PUBBLICO 3,00
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La storia toccante di una Cinecittà inedita, passata da campo profughi a casa della leggendaria Hollywood sul Tevere.
Recensione di Annalice Furfari
Recensione di Annalice Furfari

Roma, 1943. I tedeschi tengono ancora la capitale sotto scacco, compresa la città del cinema, occupata dai carri armati che circolano nei teatri di posa. Quando se ne vanno, non prima di aver fatto razzia delle apparecchiature migliori, i nazisti lasciano dietro di sé il desolante spettacolo di un corpo in rovina. Immediatamente requisita dagli Alleati angloamericani, decisi a cancellare le tracce di un'industria cinematografica istituita dai fascisti, Cinecittà viene utilizzata per la creazione di un campo profughi.
Il documentario diretto da Marco Bertozzi è il racconto di questa storia, pressoché sconosciuta, tra le pagine del cinema italiano. Una storia toccante che viene rivissuta dai suoi stessi protagonisti, uomini e donne in fuga da luoghi lontani, da un passato differente ma per tutti doloroso. Di quel passato Cinecittà recava ancora le tracce evidenti. Prima di lasciare la capitale, i nazisti la utilizzarono come campo di concentramento per novecento ebrei rastrellati nel quartiere del Quadraro. Il 16 ottobre 1943 i tedeschi la depredarono: sedici vagoni merci carichi di cine-attrezzature lasciarono Roma, diretti in Germania e nella Repubblica di Salò. Nel gennaio 1944 i teatri di posa vennero bombardati dagli Alleati, nel corso di uno dei circa cinquanta bombardamenti che colpirono la capitale. Proprio da qui parte il documentario di Bertozzi, al ritmo teso e incalzante di un aereo da guerra con vista su Roma, un attimo prima di sganciare i suoi strumenti di morte e distruzione. Le immagini di repertorio cedono poi il posto a quelle di finzione del film Umanità, realizzato nel 1946 con un finanziamento degli Alleati, una storia d'amore ambientata nel campo profughi che è diventata Cinecittà. Sono le uniche immagini dell'abitare e del vivere quotidiano dentro i teatri di posa. L'aspetto è quello di un labirinto di baracche di borgata e invece è il leggendario Teatro 5, dove Federico Fellini avrebbe girato i suoi film più importanti. A parte questa manciata di immagini e qualche scarno reportage giornalistico, nessuno si occupò delle difficili condizioni di vita dei profughi di guerra (gli italiani separati da un fil di ferro dagli stranieri), neppure i registi del Neorealismo.
Allora la storia rivive per bocca di alcuni sopravvissuti, intervistati dalla coautrice, nonché voce narrante del documentario, Noa Steimatsky. Solo un piccolo gruppo di uomini e donne tra le decine di migliaia di persone transitate per Cinecittà dal 1944 al 1950, sospese tra un passato atroce e un futuro da inventare. «I figli dei coloni italiani in Libia - spiega la Steimatsky - torneranno lentamente verso Tripoli. Gli sfollati dai bombardamenti di Monte Cassino avranno un'abbazia e una città nuova. Tanti ebrei, superstiti dei campi di concentramento, partiranno per la Palestina. Gli esiliati giuliano-dalmati abiteranno il villaggio costruito per loro tra Roma e il mare. Alcuni profughi godranno di una casa popolare, altri abiteranno per anni sotto gli antichi acquedotti romani. Alcuni stranieri resteranno in città, altri cercheranno di raggiungere la loro terra, altri ancora non la rivedranno mai più».
I loro ricordi fluiscono copiosi sfogliando vecchi album di fotografie e muovendosi tra i corridoi e gli studios della Cinecittà odierna, tra scenografie di reality ben diverse da quelle riciclate un tempo per garantirsi un minimo di protezione e privacy. Erano, infatti, in molti a usarle come legna da ardere, pareti per le cabine, «suppellettili per miseri spazi di vita». E alcuni di quei profughi, che vivevano tra le rovine delle scenografie delle commedie e dei film storici degli anni Trenta, nei teatri di posa di un'ex fabbrica di sogni, iniziano a lavorare come comparse alla ripresa della attività cinematografiche, assistendo in prima fila alla nascita della leggendaria Hollywood sul Tevere. Ancora viva, oggi, negli eroici e duri ricordi di chi ha abitato per un po' a un passo dal mito.

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