maviseco
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giovedì 22 ottobre 2015
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l'abuso non è uso!
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Film che, soprattutto oggi, fa molto riflettere. Oramai in televisione è molto difficile comprendere se determinati contenuti siano o no fregature. Stiamo tornando a fidarci più del prolisso, non più dei colori e delle immagini. Crediamo ci siano tranelli ovunque, dalle presunte pubblicità occulte, al convincimento/comprensione che, chi si trova dietro il piccolo schermo, voglia nel bene o nel male manipolarci. E' dunque cresciuta la sfiducia verso questo strumento che oramai conosciamo bene. Bene, questo film ribalta il pensiero negativo che ormai aleggia sulla televisione : quel che ci propinano è fatto a fin di male? E' veramente così "ipnotico"? Potrebbe essere semplicemente un parere espresso in un determinato modo! E' ora di comprendere l'esistenza delle varie diversità che ci colpiscono in modo differente.
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Film che, soprattutto oggi, fa molto riflettere. Oramai in televisione è molto difficile comprendere se determinati contenuti siano o no fregature. Stiamo tornando a fidarci più del prolisso, non più dei colori e delle immagini. Crediamo ci siano tranelli ovunque, dalle presunte pubblicità occulte, al convincimento/comprensione che, chi si trova dietro il piccolo schermo, voglia nel bene o nel male manipolarci. E' dunque cresciuta la sfiducia verso questo strumento che oramai conosciamo bene. Bene, questo film ribalta il pensiero negativo che ormai aleggia sulla televisione : quel che ci propinano è fatto a fin di male? E' veramente così "ipnotico"? Potrebbe essere semplicemente un parere espresso in un determinato modo! E' ora di comprendere l'esistenza delle varie diversità che ci colpiscono in modo differente.
Questo film è una rivoluzione dell'idea odierna negativa della televisione: ricordiamoci che tutto quello che abbiamo è utile. L'abuso non è uso!
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giulia mazzarelli
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martedì 25 novembre 2014
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l'allegria batte pinochet
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Cile, 1988. Un giovane e brillante pubblicitario, Renè, riesce ad ottenere dai partiti dell'opposizione l'affidamento della campagna elettorale per il no, in occasione del referendum pro o contro Pinochet. Il suo stile innovativo, mutuato dalla pubblicità commerciale, incontra e poi supera le perplessità dei committenti, incapaci di scindere la fine della dittatura dalla denuncia dei suoi orrori. Sfruttando al massimo i 15 minuti giornalieri concessi per l'occasione sulla televisione di stato, il comitato per il no entra nelle case dei cileni con i suoni, i colori e le danze di una ritrovata speranza.
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Cile, 1988. Un giovane e brillante pubblicitario, Renè, riesce ad ottenere dai partiti dell'opposizione l'affidamento della campagna elettorale per il no, in occasione del referendum pro o contro Pinochet. Il suo stile innovativo, mutuato dalla pubblicità commerciale, incontra e poi supera le perplessità dei committenti, incapaci di scindere la fine della dittatura dalla denuncia dei suoi orrori. Sfruttando al massimo i 15 minuti giornalieri concessi per l'occasione sulla televisione di stato, il comitato per il no entra nelle case dei cileni con i suoni, i colori e le danze di una ritrovata speranza. Al motto di "Cile, l'allegria sta arrivando" la campagna per il no vince.
Il film procede per contrapposizioni: dittatura/democrazia, passato/ futuro, paura/speranza, parate militari/coreografie di danza moderna, ed evidenzia un ulteriore "fronte" interno all'opposizione (e alla stessa sfera privata di Renè, separato e un po' disprezzato dalla moglie comunista), quello tra chi ricerca la verità a costo di tenere in piedi la dittatura e chi mira prima di tutto a deporre Pinochet: tra Intillimani e jingle la spunta però la pubblicità.
Larrain realizza con No, i giorni dell'arcobaleno il suo terzo film dedicato al Cile, chiudendo (?) il capitolo "golpe", aperto da Post Mortem e sfiorato da Tony Manero. Con estrema cura ricrea un ambiente, un'atmosfera (anche attraverso immagini sovraesposte), resi ancora più credibili dall'impiego di una telecamera betacam. Straordinario, ancora una volta, Alfredo Castro nei panni (sporchi) del consulente per la campagna per il sì.
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inesperto
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domenica 2 novembre 2014
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il "no" che sconfisse pinochet
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Film su realtà storico-politiche del '900 sono sempre positivi ma, obiettivamente, questo non è un gran film. Si respira molto poco quel che sono stati i 15 anni della dittatura sanguinaria di Pinochet precedenti al referendum. Lo stesso clima in cui si svolse la campagna per la consultazione non è granchè sottolineato (se non in poche scene: le macchine che seguono coloro che lavorano per il no, i militari nelle manifestazioni di piazza). Anche la stessa campagna perde di chiarezza: si capisce solo che l'idea principale del protagonista è puntare su allegria e cose positive anzichè insistere su rapimenti ed uccisioni; e si capisce che, ad un certo punto, chi lavora per il sì comincia a copiare l'opposizione al fine di calunniarla.
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Film su realtà storico-politiche del '900 sono sempre positivi ma, obiettivamente, questo non è un gran film. Si respira molto poco quel che sono stati i 15 anni della dittatura sanguinaria di Pinochet precedenti al referendum. Lo stesso clima in cui si svolse la campagna per la consultazione non è granchè sottolineato (se non in poche scene: le macchine che seguono coloro che lavorano per il no, i militari nelle manifestazioni di piazza). Anche la stessa campagna perde di chiarezza: si capisce solo che l'idea principale del protagonista è puntare su allegria e cose positive anzichè insistere su rapimenti ed uccisioni; e si capisce che, ad un certo punto, chi lavora per il sì comincia a copiare l'opposizione al fine di calunniarla. Ma gli avvenimenti che si susseguono fino al giorno delle votazioni, e gli stessi cambiamenti che vengono imposti di volta in volta a quei 15 minuti di propaganda concessi dal regime, si perdono in una nuvola di confusione.
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jacopo b98
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sabato 9 novembre 2013
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un film efficace sulla grande lotta per la libertà
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Nel 1988 l’ONU chiede al dittatore cileno Augusto Pinochet, da quindici anni al potere, di indire un referendum per legittimare il suo governo per altri otto anni. Il dittatore è perciò obbligato, oltre che a proclamare le elezioni, a concedere ai suoi avversari politici quindici minuti di pubblicità per il NO al giorno. Lo sfacciato pubblicitario René Saavedra e il suo team si mettono perciò al lavoro. Alla fine dei ventisette giorni di campagna elettorale il NO vincerà con oltre il 55% dei voti e il Cile sarà libero. È il quarto film di Pablo Larraìn, il migliore e quello di maggior successo, il che gli ha permesso di essere notato anche dall’Academy di Hollywood che l’ha nominato come miglior film straniero.
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Nel 1988 l’ONU chiede al dittatore cileno Augusto Pinochet, da quindici anni al potere, di indire un referendum per legittimare il suo governo per altri otto anni. Il dittatore è perciò obbligato, oltre che a proclamare le elezioni, a concedere ai suoi avversari politici quindici minuti di pubblicità per il NO al giorno. Lo sfacciato pubblicitario René Saavedra e il suo team si mettono perciò al lavoro. Alla fine dei ventisette giorni di campagna elettorale il NO vincerà con oltre il 55% dei voti e il Cile sarà libero. È il quarto film di Pablo Larraìn, il migliore e quello di maggior successo, il che gli ha permesso di essere notato anche dall’Academy di Hollywood che l’ha nominato come miglior film straniero. È un film lento e incentrato principalmente sulla stessa cosa: la campagna pubblicitaria. Il valore maggiore pregio del film sta perciò in una ricostruzione degli eventi storici assolutamente eccezionale e nel racconto di una lunga, appassionante, lotta per la libertà senza far uso di sentimentalismi. Girato interamente in formato 4:3 per rendere meno evidente il passaggio da immagini girate per il film a filmati originali d’epoca. Non manca una componente comico-grottesca: la campagna di Saavedra infatti ha dell’incredibile e resta manifesto di uso della pubblicità. film sul potere della TV indubbiamente, oltre che sul potere e sulla ribellione. Ottimo, come sempre, Gael Garcìa Bernal.
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stefanoadm
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lunedì 28 ottobre 2013
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enjoy democracy
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Quel NO a Pinochet, quel NO che Pinochet stesso rese possibile solo perché era convinto che i cileni non avrebbero osato pronunciarlo viene ricostruito con un rigore formale e una precisione storica impressionanti.
L’archiviazione della dittatura passò attraverso la consapevolezza del passato recente, il dolore causato da lutti ed esilii, l'indignazione per il sopruso, la resistenza dell'attività politica propriamente detta. Ma fu anche frutto di un lavoro pubblicitario che utilizzò strumenti inaspettati: l’ironia, la patinatura e il “volemose bbene” in stile Coca Cola, la naturalezza artificiale dei balli che Alan Parker, pochi anni prima, aveva disseminato in Fame – Saranno famosi. Tutto concentrato in una campagna televisiva furba, smaliziata, per i tempi all’avanguardia.
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Quel NO a Pinochet, quel NO che Pinochet stesso rese possibile solo perché era convinto che i cileni non avrebbero osato pronunciarlo viene ricostruito con un rigore formale e una precisione storica impressionanti.
L’archiviazione della dittatura passò attraverso la consapevolezza del passato recente, il dolore causato da lutti ed esilii, l'indignazione per il sopruso, la resistenza dell'attività politica propriamente detta. Ma fu anche frutto di un lavoro pubblicitario che utilizzò strumenti inaspettati: l’ironia, la patinatura e il “volemose bbene” in stile Coca Cola, la naturalezza artificiale dei balli che Alan Parker, pochi anni prima, aveva disseminato in Fame – Saranno famosi. Tutto concentrato in una campagna televisiva furba, smaliziata, per i tempi all’avanguardia.
C’è questo e molto altro in No-I giorni dell’arcobaleno. Ci sono slogan popolari (Chi-Chi-Chi-le-le-le-viva Chile) storpiati dagli oppressori (Chi-Chi-Chi-le-le-le-Pinochet). Ci sono le lugubri illusioni del fronte del sì:“Gli Stati Uniti sono con noi” (ma la lunga notte voluta da Kissinger era passata). Ci sono riferimenti a una quotidianità temuta, come le code per le distribuzioni di cibo, create ad arte nei primi anni Settanta per esasperare la popolazione e facilitare il golpe militare. Ci sono le immagini della visita pastorale più incomprensibile e discussa nel pontificato di Giovanni Paolo II. C’è la vocetta ridicola dell’uomo mediocre che pose fine a una democrazia, quella cilena, dalla storia a tratti incerta ma di lungo corso.
C’è anche la violenza - come potrebbe essere altrimenti? - ma meno esplicita che in altre pellicole a tema. Il referendum dell’88, in effetti, si tenne quando il periodo più buio per il Cile era finito. Così il film di Larrain, con grande coerenza, solo in pochi momenti indugia sulla spettacolarità di azioni brutali. Si concentra, invece, sulle difficoltà culturali incontrate dalla campagna per il no, sulle pressioni psicologiche, sulla percezione di una minaccia costante, sul ricatto del “lavora per il sì o non lavorerai più”, peraltro esercitato su un creativo di buona fortuna negli anni della dittatura.
NO semplicismi, NO scorciatoie, NO retorica.
Bell’esempio di cinema civile.
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iankenobi
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domenica 20 ottobre 2013
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cinema delle idee
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Che dire?non avendo visto i lavori precedenti del regista non sapevo veramente cosa aspettarmi,invece sin dalla prima inquadratura ti trasporta negli anni della dittatura di pinochet,perche' anche la tenica di ripresa ti riporti in quegli anni bui.
Lo ammetto non conoscevo assolutamente questa storia,ma amo il cinema anche per questo,perche' riesce a farci andare in tempi ed in luoghi in cui non saremmo mai potuti andarealtrimenti.
Con un idea si puo' abbattere una dittatura e con un idea si puo' fare un film che ti appassioni dall'inzio alla fine,che ti renda partecipe degli avvenimenti e della storia.
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gianni lucini
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giovedì 19 settembre 2013
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un bel film nonostante critiche artificiose
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La trilogia di Pablo Larrain sul Cile della dittatura si conclude in modo inaspettatamente luminoso. Dopo il feroce "Tony manero" e l'allucinante "Post mortem" il regista porta sullo schermo la vittoria della fiducia e della positività contro le ombre dell'oscurantismo. Non sono mancate le critiche a questo film. Tra le principali se ne possono citare tre:
a) Larrain nasconde il fatto che la vittoria contro Pinochet è stata frutto di una grande mobilitazione capillare dei militanti, soprattutto della sinistra, e non di una trovata pubblicitaria;
b) La figura di Renée Saveedra nella realtà è ambigua perchè nella sua parentela figurano sostenitori di primo piano della giunta di Pinochet
c) Il film negli USA è stato accolto tiepidamente.
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La trilogia di Pablo Larrain sul Cile della dittatura si conclude in modo inaspettatamente luminoso. Dopo il feroce "Tony manero" e l'allucinante "Post mortem" il regista porta sullo schermo la vittoria della fiducia e della positività contro le ombre dell'oscurantismo. Non sono mancate le critiche a questo film. Tra le principali se ne possono citare tre:
a) Larrain nasconde il fatto che la vittoria contro Pinochet è stata frutto di una grande mobilitazione capillare dei militanti, soprattutto della sinistra, e non di una trovata pubblicitaria;
b) La figura di Renée Saveedra nella realtà è ambigua perchè nella sua parentela figurano sostenitori di primo piano della giunta di Pinochet
c) Il film negli USA è stato accolto tiepidamente.
In realtà si tratta critiche un po' artificiose e nemmeno troppo giustificate.
Per quel che riguarda il primo punto (Larrain nasconde il fatto che la vittoria contro Pinochet è stata frutto di una grande mobilitazione capillare dei militanti, soprattutto della sinistra, e non di una trovata pubblicitaria) basta guardare il film per accorgersi che non è vero. La genialità della campagna sta nell'aver trovato un'idea positiva, un modo di far capire ai cileni che cacciare Pinochet era la premessa necessaria per poter avere un futuro diverso, migliore e (perchè no?) più felice. Nel film non vengono nascoste né le contrapposizioni con alcuni gruppi della sinistra anti-Pinochet inizialmente scettici sull'idea di fondo, né il fatto che gli spot durano soltanto un quarto d'ora e vengono trasmessi di notte e neppure la realtà di una militanza capillare (manifesti, volantini, magliette) intorno al "No" al referendum.
Anche le ambiguità sulla figura di Saveedra (punto b) non sono nascoste. Nel film appare per quel che è: un esule rientrato, con una moglie/compagna impegnata nella lotta contro la dittaura, legato per lavoro e per parentele con gli ambienti del governo che inizialmente non se la sente troppo di impegnarsi nella campagna contro Pinochet.
La teoria dell'accoglienza tiepida negli Stati Uniti non ha alcun senso visto che il film ottiene la "nomination" all'Oscar per il miglior film straniero, ma in ogni caso non sono gli Stati Uniti l'unico metro di misura della qualità di un film, o no?
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writer58
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lunedì 19 agosto 2013
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la alegrìa yà viene...
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Nel 1988 il Cile si trova di fronte a uno spartiacque: decidere, tramite un referendum, se confermare per 8 anni Pinochet come presidente della Repubblica oppure voltar pagina dopo 15 anni di repressione, migliaia di oppositori assassinati, desaparecidos, toturati, esiliati. Visto dall'esterno,con gli occhi di chi scendeva in piazza per manifestare solidarietà ai compagni cileni, l'esito sembrerebbe scontato, la fine del dittatore inevitabile. In realtà, Pinochet,oltre a massacrare l'opposizione e sospendere le garanzie costituzionali, riusci' a saldare un blocco di potere ampio, rafforzato dalla crescita economica avvenuta tra gli anni '70 e '80 - in cui fu introdotto un modello economico liberista che face aumentare il PIL, ma anche le disuguaglianze tra la parte più ricca e la maggioranza dei cileni-.
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Nel 1988 il Cile si trova di fronte a uno spartiacque: decidere, tramite un referendum, se confermare per 8 anni Pinochet come presidente della Repubblica oppure voltar pagina dopo 15 anni di repressione, migliaia di oppositori assassinati, desaparecidos, toturati, esiliati. Visto dall'esterno,con gli occhi di chi scendeva in piazza per manifestare solidarietà ai compagni cileni, l'esito sembrerebbe scontato, la fine del dittatore inevitabile. In realtà, Pinochet,oltre a massacrare l'opposizione e sospendere le garanzie costituzionali, riusci' a saldare un blocco di potere ampio, rafforzato dalla crescita economica avvenuta tra gli anni '70 e '80 - in cui fu introdotto un modello economico liberista che face aumentare il PIL, ma anche le disuguaglianze tra la parte più ricca e la maggioranza dei cileni-. Visto dall'interno, infatti, il referendum sembrava segnato a favore del regime, che controllava in modo esclusivo i mezzi di comunicazione. Il film di Larrain centra la sua attenzione sulla campagna pubblicitaria a favore del "no" che, contrariamente a ogni previsione, fu basata su messaggi di speranza e di futuro (Chile, la alegrìa ya viene, questo era la frase-tormentone della campagna) e non sulla denuncia delle atrocità commesse dalla giunta militare. Immagino che per i militanti comunisti e socialisti sopravvissuti alla brutale repressione, sia stata una scelta per nulla facile. Le resistenze, infatti, alla campagna pubblicitaria di Saavedra sono esplicitate chiaramente in una scena iniziale del film, in cui alcuni dirigenti comunisti considerano la proposta del pubblicista alla stregua di uno spot della Coca Cola. Tuttavia, con le armi dell'ironia, della dissacrazione, con immagini che richiamano un futuro differente, la campagna per il "no" viene seguita da un numero progressivamente crescente di spettatori, fino a vincere il referendum con più di 10 punti percentuali di scarto. Non è un film politico, è stato detto. In realtà, a me è parso un film che recupera il significato originale del termine "politico" e lo declina secondo i crismi delle moderne piazze virtuali. Ieri la televisione, oggi la rete e il web. Da un punto di vista tecnico-contenutistico, il film di Larrain mi è parsa una buona proposta, che ricostruisce con cura le atmosfere degli anni '80. E' un'opera che, spesso, diverte, nonostante il tema trattato e che si avvale dell'ottima recitazione di Gael Garcìa Bernal. L'"happy end", per un volta, non è posticcio e zuccheroso, ma interpreta con efficacia il risveglio di un popolo e l'inizio di un percorso di riscatto, non esente da contraddizioni e ambiguità, al di fuori della prigione concreta e mediatica della dittatura.
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parole parole parole
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venerdì 2 agosto 2013
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a colpi di "spot" per la libertà....
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Pinochet. Nome "comune" di persona, talmente comune che non ha bisogno di troppe presentazioni: dittatura, desaparecidos...quindi la premessa storica del film è breve e netta. Siamo nel 1988 e vengono raccontati gli ultimi giorni della dittatura di Pinochet, costretto dall'opinione internazionale a indire un referendum popolare per legittimare la propria sovranità. Le voci del suo sanguinario governo erano diventate di dominio pubblico mondiale. Tutto lasciava presagire tuttavia alla sua vittoria interna: Pinochet aveva il controllo della tv e di tutti i mezzi di comunicazione, a cui aggiungeva una violenza inaudita nell'eliminare i propri contestatori e nel diffondere la paura fra il popolo.
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Pinochet. Nome "comune" di persona, talmente comune che non ha bisogno di troppe presentazioni: dittatura, desaparecidos...quindi la premessa storica del film è breve e netta. Siamo nel 1988 e vengono raccontati gli ultimi giorni della dittatura di Pinochet, costretto dall'opinione internazionale a indire un referendum popolare per legittimare la propria sovranità. Le voci del suo sanguinario governo erano diventate di dominio pubblico mondiale. Tutto lasciava presagire tuttavia alla sua vittoria interna: Pinochet aveva il controllo della tv e di tutti i mezzi di comunicazione, a cui aggiungeva una violenza inaudita nell'eliminare i propri contestatori e nel diffondere la paura fra il popolo. Sui risultati del voto, praticamente tutti, unanimemente, erano d'accordo. Avrebbe vinto il si, il SI A PINOCHET. Lo pensavano sia i sostenitori che gli oppositori disillusi, che vedevano nel referendum soltanto un piccolo spiraglio di luce: la possibilità, finalmente, di poter dire liberamente, anche se per un breve periodo di tempo, la verità sul regime. E' un film che intreccia mirabilmente, numerosi significati, ognuno da cogliere e da approfondire in modo appassionato. Trasmette come prima cosa l'idea di quanto la comunicazione possa veramente influire in modo determinante su una società. Può smuovere le coscienze umane oppure intorpidirle...Chi ne conosce i segreti può trasformarsi in un dio in terra o nel suo antagonista, acquisendo in ogni caso grande potere. Nel groviglio caotico di una guerra a colpi di spot, si svolge una battaglia parallela silenziosa tra i due personaggi chiave, professionisti e colleghi che schierano le loro competenze professionali l'uno per favorire la vittoria dei si e l'altro dei no. Uno che fa il capo e l'altro il suo dipendente, l'uno rappresenta la dittatura, l'altro la libertà...in competizione tra loro, sia per sostenere il loro personale sentire o interesse politico, sia per superare l'altro in ambito professionale.Entrambi rappresentano anche le due facce opposte di un identico popolo. La scelta della campagna per il No, sovverte tutte le aspettative comuni e stravolge totalmente il quadro desolante iniziale sugli esiti elettorali. E' un film sulle differenze, sulla necessità di affrontarle e desiderarle addirittura, come emblema della democrazia, differenze che rendono unico ogni individuo e quindi prezioso in quanto tale, una unicità che vale anche per la ricerca di una chiave di comunicazione che faccia breccia ai cuori fino a conquistarli e a renderli coraggiosi, laddove sembrava prevalere la paura. E' un film ottimista, che mette alla gogna la disillusione e il senso di impotenza e l'importanza di credere in un obiettivo, anche se apparentemente impossibile da raggiungere. E' un film concettuale, che non necessita di entrare nel merito della violenza del regime. Una scelta voluta dal regista e rispettosa nei confronti delle atrocità da tutti note: il troppo parlarne rischia di fare emergere la curiosità morbosa dell'essere umano, più che la sua costernazione. Pudore e discrezione verso il dolore, che non sconfitto e non inscenato. E' un film di strategia bellica, dove le armi vengono sostituite dalle parole, che seguono un ritmo e un ordine ben preciso e che si rimbalzano fino all'ultimo in un finale carico di significato...
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catcarlo
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martedì 4 giugno 2013
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no - i giorni dell'arcobaleno
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Come dice a un certo punto Antonio (il personaggio interpretato da Marcial Tagle) dopo aver visto le immagini delle donne di alcuni desaparecidos, ‘io mi sono commosso’. Un po’ perché Augusto Pinochet Ugarte è stato uno degli uomini neri della mia generazione, un po’ perché questo film narra, con partecipazione ed efficacia cinematografica, l’incruenta fine della feroce dittatura cilena. Un referendum voluto dall’esterno – compresi gli Stati Uniti, che stavano ormai pensando di mollare il loro fdp a Santiago – e vinto a sorpresa dall’opposizione: per riuscire nell’impresa, malgrado il clima difficile e gli spazi televisivi ristretti, è necessario un colpo d’ala, quello regalato dal pubblicitario René Saavedra (vagamente ispirato a Eugenio Garcia) che è capace di convincere i riottosi esponenti del ‘No’ ad utilizzare, nei loro quindici minuti giornalieri, una campagna basata sulla speranza e sull’allegria piuttosto che sul ricordo e sul dolore.
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Come dice a un certo punto Antonio (il personaggio interpretato da Marcial Tagle) dopo aver visto le immagini delle donne di alcuni desaparecidos, ‘io mi sono commosso’. Un po’ perché Augusto Pinochet Ugarte è stato uno degli uomini neri della mia generazione, un po’ perché questo film narra, con partecipazione ed efficacia cinematografica, l’incruenta fine della feroce dittatura cilena. Un referendum voluto dall’esterno – compresi gli Stati Uniti, che stavano ormai pensando di mollare il loro fdp a Santiago – e vinto a sorpresa dall’opposizione: per riuscire nell’impresa, malgrado il clima difficile e gli spazi televisivi ristretti, è necessario un colpo d’ala, quello regalato dal pubblicitario René Saavedra (vagamente ispirato a Eugenio Garcia) che è capace di convincere i riottosi esponenti del ‘No’ ad utilizzare, nei loro quindici minuti giornalieri, una campagna basata sulla speranza e sull’allegria piuttosto che sul ricordo e sul dolore. Basandosi su una sceneggiatura di Pedro Peirano tratta dall’opera teatrale di Antonio Skármeta, Larraín racconta il realizzarsi di quello che sulle prime sembra un miracolo con un bel ritmo, mischiando materiale d’epoca e una scelta visiva minimale che non fa sentire lo stacco con il nuovo girato: merito del formato utilizzato, un 4:3 che si richiama ai tempi gloriosi del Betamax (non sono passati neppure trent’anni, ma la tecnologia di allora pare davvero antidiluviana), e una qualità delle immagini volutamente artigianale. La storia ruota intorno all’eroe per caso René, uomo dalla vita professionale di successo ma parecchio incasinato sul piano familiare (è, in pratica, un ragazzo-padre la cui moglie convive con un altro): un personaggio che si evolve in modo classico – prima pensa solo alla carriera, poi è sempre più coinvolto, infine eccolo, novello Cincinnato, di ritorno al suo orticello pubblicitario – nel panni del quale il messicano Gael García Bernal offre una bella prova d’attore in un ruolo che sarebbe calzato a pennello al giovane Dustin Hoffmann. Su di lui si sofferma volentieri l’occhio della cinepresa, tanto che sono numerosi e lunghi i primi piani che contribuiscono a staccarlo dallo sfondo corale che lo circonda, animato da un cast di attori che danno l’impressione di sentire molto la partecipazione alla storia che viene narrata: fra di essi, ha una posizione di spicco quasi il solo Lucho, il capo di René nonché il suo rivale nella campagna, interpretato in maniera assai efficace da Alfredo Castro. Benchè la conclusione sia conosciuta, le poco meno di due ore di durata scorrono senza un attimo di stanca, grazie anche a più di una punta di ironia, giustificando appieno il premio vinto alla Quinzaine di Cannes 2012: peccato solo che, in Italia, il film esca un po’ alla chetichella quasi un anno dopo, complicando la vita agli spettatori che sarebbero interessati a un lavoro bello, emozionante e che si prende anche il lusso di smentire Gil Scott-Heron. Perché sarà pure il potere della pubblicità, ma, almeno nel 1988 in Cile, la rivoluzione è stata trasmessa in televisione.
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