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Ultimo aggiornamento giovedì 2 settembre 2021
Il regista Zipeng Gao racconta una storia sul tema della memoria e del ricordo di chi non c'è più.
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CONSIGLIATO NÌ
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Tre uomini e una donna, una straniera, percorrono le strade di una città abbandonata alla volta del monte Tie Tuo. Lungo la via, incontrano altri viaggiatori, alcuni dei pochi residenti rimasti e i resti di una storia che data di secoli prima, dai tempi della Via della Seta. I quattro sono diretti sul monte dove mesi prima è scomparso senza lasciar tracce l'amico Bielei. Le loro ricerche non portano a nulla e, al ritorno a Nanjing, le loro vite proseguono separate.
La sinossi di Lost in the Mountain, opera prima nel lungometraggio del cinese popolare Gao Zipeng - regista con molta televisione e documentari in curriculum - , fa pensare senza dubbio ad un mystery di marca antonioniana. Un manipolo di personaggi dei quali non sappiamo nulla (e dei quali nulla ci viene rivelato: chi sono? quali erano le loro relazioni con lo scomparso Bielei? cosa fa questa donna occidentale in Cina? - quesiti che rimangono senza risposta) attraversa un paesaggio desolato, del tutto reale, ma che sa di fantascienza da day after post-atomico, alla ricerca di un altro personaggio del quale nulla sappiamo (e del quale nulla sapremo) scomparso, evaporato in circostanze mai chiarificate. Senza contare che Gao, in verità, non ci racconta la ricerca dello scomparso, ma la via verso la ricerca (non vedremo mai i protagonisti raggiungere il monte Tie Tuo) e il dopo, quando la guida della spedizione Da Ta cerca di consolare ad una cena madre e moglie dello scomparso e quando la straniera e uno degli altri uomini del gruppo si ritrovano per una casuale conversazione in città.
L'aspetto più interessante del film di Gao è però lo sguardo documentario su questi paesaggi abbandonati: la città fantasma che i protagonisti traversano era un tempo un centro minerario, che si è spopolato dopo che lo sfruttamento intensivo ha esaurito le risorse naturali. Nella boscaglia circostante, ci vengono rivelate le tracce di un passato glorioso, tutte però giacenti nei più totali abbandono e indigenza. Il punto di Gao è qui palese: la grande avanzata della Cina sul proscenio dell'economia mondiale si compie attraverso un cieco sfruttamento della natura, accompagnato dall'oblio e disinteresse per una cultura e una Storia che meriterebbero maggior rispetto.
Osservazioni pregnanti che potevano esser certo ben espresse pure da un cortometraggio documentario e che invece sono malamente servite da un lungo che manca di vera impostazione estetica e la cui povertà produttiva - pressoché amatoriale - scoraggia la visione.