Titolo originale | Pa-gwi-dwin Sa-nai |
Anno | 2010 |
Genere | Thriller |
Produzione | Corea del sud |
Durata | 113 minuti |
Regia di | Woo Min-ho |
Attori | Myung-min Kim, So-hyun Kim, Byung-joon Lee, Joo-mi Park, Ki-joon Uhm . |
Tag | Da vedere 2010 |
MYmonetro | 3,25 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento lunedì 9 maggio 2011
Il tragico rapimento della figlioletta di cinque anni porta Joo Young-Soo ad intraprendere una ricerca disperata.
CONSIGLIATO SÌ
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Chi è addentro nelle faccende del cinema noir-thriller coreano ben conosce i meccanismi di un genere che ha ormai fatto storia e non potrà che vivere gli snodi narrativi di L'uomo della Vendetta e i suoi colpi di scena come altrettanti déjà vu. Vero, ma su un punto c'è poco da discutere: il noir-thriller come in Corea non lo gira nessuno.
Come fu per il "polar" in Francia o per il "wu xia pian" a Hong Kong, si tratta di un genere che sembra aver trovato la formula perfetta per proporre, con poche variazioni sul tema, pellicole che garantiscano comunque un solido livello medio di buone (o cattive) vibrazioni al suo pubblico. Qualcosa di simile al poliziottesco italiano, all'epoca bella dei '70. La soluzione coreana consiste in una particolare commistione di thriller con venature horror, dove il villain è uno psicopatico senza freni inibitori e per il protagonista è necessario immergersi nella mente del killer così da anticiparne le mosse. Il tutto condotto - e qui sta il plusvalore - senza tirarsi indietro di fronte a nulla, filmando ciò che pochi o nessuno saprebbero filmare con il medesimo coraggio, liberi da pastoie moralistiche.
L'uomo della Vendetta per molti versi aderisce in maniera fin troppo ortodossa al canone impostato l'altro ieri da Tell Me Something e oggi rinvigorito da The Chaser, ma sa quando alzare l'asticella, ricorrendo a soluzioni estreme in modo secco, brutale. Nella gestualità di Kim Myeong-min avvertiamo la mutazione in atto del pastore che rapidamente smarrisce la fede e trasfigura sempre più in una belva in caccia. Probabilmente il coté religioso non è sfruttato al meglio, anzi è lasciato un po' in sospeso, ma sarebbe sufficiente la rivelazione del movente che guida le azioni del villain a rendere L'uomo della Vendetta un titolo da ricordare; forse non ci si era mai spinti fino a questo punto nella consapevolezza post-consumistica che oggetti e persone, anche bambine innocenti, hanno un prezzo e corrispondono a merce. La forza (e la lezione) di Woo Min-ho sta proprio qui, nel coraggio di mostrare che l'idolatria consumistica è in sé concetto più aberrante della stessa efferatezza usata dallo psicopatico nei suoi omicidi: è cosa lo spinga a tanto a far gelare il sangue nelle vene.