Anno | 2010 |
Genere | Documentario |
Produzione | Italia |
Durata | 75 minuti |
Regia di | Emiliano Dante |
Attori | Valentina Nanni, Paolo De Felice, Emiliano Dante, Elisabetta Aleandri, Stefano Di Brisco . |
Uscita | venerdì 16 aprile 2010 |
MYmonetro | 2,84 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento giovedì 15 aprile 2010
CONSIGLIATO SÌ
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Emiliano, Valentina, Paolo, Elisabetta, Stefano e Alessio vivono nella tendopoli di Collemaggio dopo il disastroso terremoto aquilano del 6 aprile. Uno cerca di fare il regista, ad alcuni piace suonare, altri ancora vorrebbero essere attori... così le loro storie reali, di persone per le quali la condizione della tendopoli è diventata anche un simbolo della precarietà esistenziale (sia individuale, sia sociale) dei giovani d'oggi, si mescolano ad altre immaginate che reinventano le possibilità ed i rapporti, anche quelli affettivi. Queste persone si trasformano dunque in (sei) personaggi in cerca di passioni reali, nonostante il mondo di fuori, i media innanzitutto, abbia (voyeuristicamente) assegnato loro due soli ruoli: a volte di vittime inconsolabili, a volte di prigionieri. Ed è proprio su un complesso concetto di ambivalenza che lavora Emiliano Dante originale lettura del dopo terremoto.
Il Sé che si conosceva (o si credeva di conoscere) si è progressivamente (talvolta anche traumaticamente) trasformato in un qualcosa d'altro che si cerca faticosamente (ma anche piacevolmente) di conoscere. Il blu delle tende in cui si è immersi e a cui il titolo fa riferimento vorrebbe essere (come ci dice chi studia la valenza simbolica dei colori) rassicurante. Per taluni lo è in quanto fa riscoprire una dimensione collettiva di condivisione e di ascolto che era andata perduta nella quotidianità racchiusa nelle mura di un privato che è crollato insieme alle mura stesse. Per altri sono invece solo il contenitore di uno squilibrio in cui cercare di isolarsi nuovamente per ritrovare una dimensione apparentemente e inesorabilmente perduta.
Dante sa affrancarsi dal deja vu sul sisma che i mezzi di comunicazione ci hanno proposto. Non cerca nella docu-fiction delle risposte a domande su un futuro che si presenta come molto diverso da quello che si prospettava fino alla notte del 6 aprile. Gli interessa di più far emergere domande che vanno al di là dell'entusiastica adesione all'opera delle autorità che alcuni media hanno voluto mostrarci o della critica alle disfunzioni. Il suo è uno sguardo che frammenta le situazioni per consentire allo spettatore (non più voyeur ma soggetto attivo) di ricomporle autonomamente con i movimenti ondulatori e sussultori di un terremoto conoscitivamente positivo.