Titolo originale | Tee Rak |
Anno | 2010 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Tailandia |
Regia di | Silvaroj Kongsakul |
Attori | Pattraporn Jaturanrassmee, Wanlop Rungkamjad, Namfon Udomlertlak . |
MYmonetro | 2,75 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento giovedì 29 settembre 2011
Un film che permette di meditare sulla vita dopo la morte.
CONSIGLIATO SÌ
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Periferia di Bangkok, Thailandia. La macchina da presa, fissa, inquadra uno sterminato paesaggio rurale dove un uomo percorre strade appena accennate, in sella ad una vecchia motocicletta. In lungo e in largo, avanti e indietro. È un'anima errante, che torna nei luoghi in cui è vissuto per sbirciare il suo passato più felice. Nascosto dalla sua presenza invisibile, torna a vivere l'amore per la donna che sposerà. Poi, segue la sua famiglia nei giorni in cui è già scomparso dal mondo terreno.
Siamo lontani anni luce dalla Bangkok vista recentemente in Una notte da leoni 2, ricca di trasgressioni e temuta più di qualsiasi altra città dell'Oriente.
Eternity è un film che racconta la sospensione dell'anima e il ricordo di una vita attraverso un racconto senza fronzoli, lentissimo, che riprende soluzioni narrative volte a riprodurre la sensazione di fluttuare in un tempo e uno spazio indefiniti.
Un limbo fermo e immobile, un attimo che si ripete in eterno. Kongsakul posiziona la figura dell'uomo, e poi del giovane, al centro esatto di un territorio spoglio e polveroso. La natura circonda il protagonista che si incastra perfettamente in lei, senza paura, senza muoversi. Si ha la sensazione di tornare indietro di secoli. Non ci sono città, ma templi antichi. Non case, ma capanne. Non esistono rapporti complessi e machiavellici, ma solo due giovani che si sussurrano tenerezza.
Wit e Koi sono due ragazzi che si amano. Non sappiamo come si sono conosciuti, ma siamo testimoni di un'amicizia che, col passare dei giorni, si trasforma in complicità. Lei viene dalla città, lui ha sempre vissuto in campagna. Nelle terre desolate e tranquille che Wit ha ereditato dal nonno, Koi viene presa per mano e accompagnata dalla gentilezza e dalla simpatia del ragazzo. La scelta di una configurazione filmica che sceglie la lentezza, la semplicità, i gesti quotidiani, le rare frasi, quasi impercettibili, ad una narrazione compulsiva e frenetica, trasporta lo spettatore in un universo parallelo, lontano dagli artifici linguistici da cui il cinema occidentale sembra essere ormai dipendente.
Si torna al mito, alla leggenda, alla capacità di ascoltare più che di prevedere. Non ci sono colpi di scena o attimi di suspence, ma la narrazione segue una linea diritta che indaga soprattutto sui luoghi dell'anima e sui suoi desideri. Il respiro è regolare, senza affanno e senza inganno. I due protagonisti, lontani da una Love Story piena di emozioni forti, si cercano e si sfiorano in un'altalena di corrispondenze che mostra due cuori vicini. Poco a poco si svelano per poi nascondersi di nuovo, lanciando allo spettatore una provocazione continua di rimandi e immaginazione.
Restiamo affascinati da questo luogo remoto, in cui nasce un amore puro e dichiarato. E allo stesso tempo, quando Kongsakul mostra anni avanti la famiglia, con la moglie e i due bambini rimasti senza padre, percepiamo la sofferenza e lo spaesamento. Ma l'anima è lì, esiste e vive ancora con chi ha amato.
La fiaba thailandese termina com'è iniziata. La vita continua semplicemente, e sempre uguale a se stessa. Con la speranza che l'umanità, l'amore, la famiglia, la natura, il mondo, siano il simbolo di una connessione sottile che durerà per l'eternità.