oblivion7is
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mercoledì 28 settembre 2011
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dal fumetto al cinema, piace senza dare il meglio.
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Cronenberg è assolutamente uno dei registi visivamente più disturbanti di sempre. Geniale, provocante, sempre (o quasi) violento. Sicuramente originale, benché pochi suoi film vengano da suoi soggetti, ed innovativo. Quanto a talento visivo, secondo me è secondo solo a Lynch. Ma dopo aver dato il suo meglio, si fa una piccola pausa, creando film meno impegnativi per costruzione ma in cui lui comunque ci mette anima e cuore sperando che vengano apprezzati dalla critica. Sceglie come attore-feticcio, che sostituisca Jeremy Irons, quel Viggo Mortensen che prima di questa pellicola aveva alle spalle quasi solo piccoli ruoli, tra "Carlito's Way" e "Psycho" di Van Sant, ma anche un ruolo quasi da protagonista nella trilogia de "Il Signore degli Anelli", e con lui decide sin da subito di fare almeno due film.
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Cronenberg è assolutamente uno dei registi visivamente più disturbanti di sempre. Geniale, provocante, sempre (o quasi) violento. Sicuramente originale, benché pochi suoi film vengano da suoi soggetti, ed innovativo. Quanto a talento visivo, secondo me è secondo solo a Lynch. Ma dopo aver dato il suo meglio, si fa una piccola pausa, creando film meno impegnativi per costruzione ma in cui lui comunque ci mette anima e cuore sperando che vengano apprezzati dalla critica. Sceglie come attore-feticcio, che sostituisca Jeremy Irons, quel Viggo Mortensen che prima di questa pellicola aveva alle spalle quasi solo piccoli ruoli, tra "Carlito's Way" e "Psycho" di Van Sant, ma anche un ruolo quasi da protagonista nella trilogia de "Il Signore degli Anelli", e con lui decide sin da subito di fare almeno due film. Visto il successo straordinario sia di questo che del successivo (e superiore) "La Promessa dell'Assassino", l'idea di farne un terzo, che uscirà dopodomani (mentre scrivo questa recensione è il 28 settembre 2011), un "A Dangerous Method" già visto a vari festival da qualcuno, un film le cui recensioni sono già uscite, con pareri contrastanti, da chi urla al capolavoro a chi preferisce essere crudamente negativo nei confronti della pellicola. Beh, ma "A History of Violence", a detta dei critici, è un capolavoro. Per quale motivo? Per la metafora della violenza che è tema del film, la violenza che ti rende eroe in alcuni casi e malvagio in altri, la violenza che anche se nascosta ritorna, la violenza che ti spinge a inveire contro i tuoi cari, la violenza che spinge i tuoi cari a non parlarti più. Certo, è un bel messaggio, una bell'idea... ma è tale da creare un capolavoro? Sicuramente no. Non certo un brutto film, anzi... ma non basta l'idea per creare un ottimo film. Ci devono essere anche la tecnica, l'anima, il sentimento, lo svolgimento e l'emozione che suscita nello spettatore. Questo film li ha? Non tutti. C'è la tecnica, ci sono un pizzico di emozione e un pizzico di svolgimento, ma anche l'anima, poiché Cronenberg si dedica sempre totalmente ad un film, ma non c'è il resto. Comunque non voglio criticare i critici, bensì il film: "A History of Violence" è una metafora sulla creazione della violenza, su come essa nasca dall'autodifesa e quindi da altra violenza, determinando quindi che la violenza esiste da sempre, non è nata e non morirà. Tom Stall tiene una caffetteria: un giorno riceve la visita di due delinquenti che lo vogliono rapinare, forse anche con intenti di stupro e/o omicidio verso i camerieri e le cameriere. Lui, per pura autodifesa, li uccide. Diventa eroe nazionale, appare in TV, la sua caffetteria diventa ultravisitata, anche da dei mafiosi che sembrano riconoscere in lui un vecchio amico, o forse un vecchio rivale. Hanno o no ragione? Cronenberg non ha abbandonato il tema della mutazione, come può sembrare, e a farcelo capire sono tutte le cicatrici dei vari personaggi ma soprattutto il personaggio stesso del protagonista, che muta totalmente quando passa dalla personalità di Stall a quella dell'assassino. Le scene di violenza sono esagerate, alcune inquadrature sono inutili (la visione della patata della Bello non è certo spiacevole però nemmeno utile), ma i pochi minuti che vedono come protagonista Hurt si godono. La regia è straordinaria, il cast pure (spuntano soprattutto la Bello, Hurt ed Harris, ma anche Mortensen dà del suo meglio, benché lui non sia mai stato il meglio in espressività), ma il tutto sembra che abbia qualcosa che manca, anche se non si capisce cosa. Forse è troppo lento nelle scene non di violenza? Forse le scene di violenza sono troppo cariche e troppo corte ed essendo tali la mente ne richiede di più? O forse semplicemente chi è abituato alle pellicole di Cronenberg nota che qui di Cronenberghiano non c'è quasi nulla e quindi considera questo film come qualcosa a parte, fuori dalla filmografia del regista canadese. Bisogna considerarlo come un passo avanti, un passo indietro o una corsetta sul posto? Detto questo non posso che continuare a non capire l'opinione dei critici, anche se non mi faccio troppi problemi. Godibile ma difficile da vedere più di una volta.
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[+] una seconda visione mi fa tendere alle 4 stellette
(di oblivion7is)
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gianmaria.silv
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martedì 13 settembre 2011
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we want cronenberg!
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Non è il solito thriller, è un film più completo, più profondo. Un film di una violenza straripante, mai nascosta, una violenza che turba e sconvolge.
Tutto giocato sul tema del doppio, coinvolge e tiene incollati alla sedia.
Forse lascia molti punti aperti, lasciando troppo spazio all'interpretazione, avremmo gradito che ci dicesse qualcosa di più...
Ottimo il cast, con un bravisso V.Mortensen, una bellissima e sensuale M.Bello e un sempre espressivo Ed Harris.
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marco michielis
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giovedì 16 giugno 2011
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estremamente sopravvalutato
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Un breve commento a questo film, dopo averlo guardato ieri sera: premesso che era il mio primo Croneneberg e che quindi non posso certo esprimere un giudizio sulla produzione del regista canadese, ritengo di dover esprimere un giudizio negativo su "A History of Violence". Si possono evidenziare parecchi punti deboli: una trama tutto sommato scontata e prevedibile, una regia con rari spunti interessanti (vedasi le due porte a inizio e quasi fine film, che sottolineano i due luoghi in cui ci si presentano ed infine ci lasciano gli atti di viloenza dei diversi personaggi), ma soprattutto una sceneggiatura così banale che riuscivo ad improvvisare con successo le battute che gli attori avrebbero pronunciato un attimo dopo, e questo certo non per abilità personale, bensì per pochezza del copione.
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Un breve commento a questo film, dopo averlo guardato ieri sera: premesso che era il mio primo Croneneberg e che quindi non posso certo esprimere un giudizio sulla produzione del regista canadese, ritengo di dover esprimere un giudizio negativo su "A History of Violence". Si possono evidenziare parecchi punti deboli: una trama tutto sommato scontata e prevedibile, una regia con rari spunti interessanti (vedasi le due porte a inizio e quasi fine film, che sottolineano i due luoghi in cui ci si presentano ed infine ci lasciano gli atti di viloenza dei diversi personaggi), ma soprattutto una sceneggiatura così banale che riuscivo ad improvvisare con successo le battute che gli attori avrebbero pronunciato un attimo dopo, e questo certo non per abilità personale, bensì per pochezza del copione. Detto ciò, risulta apprezzabile e stimolante la personalissima visone che Cronenberg ha della sofferenza e del dolore fisico dell'uomo (si veda naturalmente il crudo realismo con cui sono rappresentate le ferite mortali sui corpi). Non volendo dimenticare di menzionare la buona prova del cast, Mortensen su tutti, concludo affermando che in ogni caso mi pare di aver guardato un film mediocre, che può suscitare qualche pensiero, ma di sicuro non una vera e propria riflessione.
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filippo catani
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mercoledì 15 giugno 2011
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un thriller davvero crudo
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Un tranquillo paesino dell'Indiana. Una tranquilla famiglia con due figli. Tutto viene sconvolto quando il padre di famiglia uccide nella sua tavola calda due malviventi intenzionati a rapinarla. Tutti ritengono l'uomo un eroe ma la pubblicità ottenuta farà in modo che il passato dell'uomo torni a bussare alla porta.
Un film veramente cupo che si caratterizza per la quasi totale assenza di colonna sonora. Mortesen si trova perfettamente a suo agio in un ruolo per nulla facile ed è supportato dal mai banale Ed Harris sempre a suo agio nei panni del cattivo. L'idea del film magari non è troppo originale visto che di uomini in fuga dal proprio oscuro passato abbondano cinema e letteratura.
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Un tranquillo paesino dell'Indiana. Una tranquilla famiglia con due figli. Tutto viene sconvolto quando il padre di famiglia uccide nella sua tavola calda due malviventi intenzionati a rapinarla. Tutti ritengono l'uomo un eroe ma la pubblicità ottenuta farà in modo che il passato dell'uomo torni a bussare alla porta.
Un film veramente cupo che si caratterizza per la quasi totale assenza di colonna sonora. Mortesen si trova perfettamente a suo agio in un ruolo per nulla facile ed è supportato dal mai banale Ed Harris sempre a suo agio nei panni del cattivo. L'idea del film magari non è troppo originale visto che di uomini in fuga dal proprio oscuro passato abbondano cinema e letteratura. Il fatto è che in questo film l'irrompere della vita precedente viene mostrato in tutta la sua distruttività lasciando dietro di se una scia di violenza difficile da lavare. Si è arriva ad un punto tale che anche la scena di sesso tra marito e moglie è tra le più dure e crude che si ricordino.
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gabriella
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mercoledì 15 giugno 2011
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una storia di violenza.
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Buon film questo di David Cronenberg ;drammatico,a metà fra il thriller ed il film d'azione,a tratti eccessivo ma sicuramente coinvolgente.La trama è credibile,il finale anche.Dietro l'apparenza di una facciata idilliaca può nascondersi un passato discutibile.Ed anche:non si può fuggire dalla propria storia ignorando che sia esistita.Bella la scena finale nella quale vediamo la figlioletta del protagonista aggiungere un posto a tavola:quello del padre.
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dario
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mercoledì 15 giugno 2011
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pasticciato
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L'attacco è debole, poi la vicenda si svolge con un certo mestiere. Bravi gli interpreti, ma si tratta di un film di regia, che funziona in sè quanto lascia perplessi. Che bisogno d'era di tanti morti ammazzati e che senso ha la storia? Film d'azione con ambizioni maggiori fallite per pochezza d'idee. Un gioco, infine, senza regole, godibile con la pancia.
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(di sinkro)
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gildo
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mercoledì 1 giugno 2011
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non si fugge dal proprio passato
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Il tema è la fuga dal proprio passato. Non ci si può reinventare una nuova vita senza pagare un prezzo alto. In questo film c'è la mano di un grande regista e la straordinaria interpretazione di Viggo Mortensen. Una combinazione che riesce a rendere credibile la coesistenza di un killer psicopatico e di un amerovole padre di famiglia nei panni di Tom Stall.
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mr cinefilo
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giovedì 6 gennaio 2011
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capolavoro
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una parabola di violenza di raro spessore e mai gratuita
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tony montana
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sabato 27 novembre 2010
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un thriller che colpisce nel segno
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Tom Stall conduce una vita tranquilla e felice in una piccola cittadina di provincia con la moglie e i due figli. Una sera due malviventi armati irrompono nella sua caffetteria, Tom reagisce uccidendoli e diventa un eroe per l’intera città. Da quel momento, la sua vita prende una piega negativa…
La metamorfosi ancora e sempre alla base del più recente film di David Cronenberg, A History of Violence, liberamente tratto dalla graphic novel di John Wagner e Vince Locke Una storia violenta. Possiamo dire che è molto liberamente tratto dal testo di partenza, in quanto lo sceneggiatore Josh Olson, di concerto con il regista, ha profondamente stravolto il testo, restandogli fedele solo in alcuni tratti, che non sono peraltro quelli fondamentali della narrazione.
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Tom Stall conduce una vita tranquilla e felice in una piccola cittadina di provincia con la moglie e i due figli. Una sera due malviventi armati irrompono nella sua caffetteria, Tom reagisce uccidendoli e diventa un eroe per l’intera città. Da quel momento, la sua vita prende una piega negativa…
La metamorfosi ancora e sempre alla base del più recente film di David Cronenberg, A History of Violence, liberamente tratto dalla graphic novel di John Wagner e Vince Locke Una storia violenta. Possiamo dire che è molto liberamente tratto dal testo di partenza, in quanto lo sceneggiatore Josh Olson, di concerto con il regista, ha profondamente stravolto il testo, restandogli fedele solo in alcuni tratti, che non sono peraltro quelli fondamentali della narrazione. Cronenberg sceglie, per il suo quindicesimo lungometraggio, di raccontare una vicenda tutto sommato classica, cosa che non accade spesso, ma anche all’interno di una storia di non grande originalità inserisce tutti gli elementi classici del suo cinema: la mutazione, il rapporto tra normalità e anormalità, il dolore dei sentimenti, la carne, la violenza. Ecco, la violenza, come celebra sin dall’inizio il titolo del film, è la principale protagonista della pellicola, ben nascosta ma decisamente presente in tutti i personaggi sin dall’inizio della vicenda. Tom che ci mette un secondo a decidere di diventare un assassino, Edie – la moglie – che diventa una leonessa solo all’idea che qualcuno si avvicini alla sua famiglia, Jack che scopre in sé la voglia e la capacità di reagire a tutto ciò che fino ad allora ha tollerato… e non vi raccontiamo altro, per non guastarvi la narrazione, che comprende un buon numero di colpi di scena che non è il caso di svelare, cosa che tra l’altro era stata chiesta anche alla stampa in sede di Festival a Cannes. Un accenno però meritano alcuni dettagli inseriti nel film, che saranno motivo di soddisfazione per gli spettatori più abituati al “registro” di Cronenberg: tutta la scenografia, perfetta per rappresentare – senza eccedere – la mentalità e la cultura di Millbrook; i cartelli di benvenuto che accolgono tutti con i loro “Welcome” qua e là. Pubblicità di birra che inneggiano all’amicizia secolare. Pick-up che “stanno tornando alla vita”… tutto questo per dire che la violenza, lo si voglia o no, appartiene a tutti noi, e chi più chi meno siamo disposti a tirarla fuori quando serve. Notevoli le performance del cast che, senza avere “grandi” personaggi da rappresentare, dà prova di ottimo lavoro. Mortensen – sul quale a dir la verità avevo discreti dubbi – riesce a trasmettere allo spettatore la metamorfosi che lo costringe a portare fuori il suo vero se stesso; Maria Bello credibile nella parte di mogliettina innamorata, ma allo stesso tempo di donna sensuale e di madre; anche il giovane Ashton Holmes è ben calato nella parte di adolescente alle prese con una rivelazione troppo grande per lui. Discorso a parte meritano Ed Harris nella parte di Carl Fogarty e soprattutto William Hurt che, in un cameo di pochi minuti, riesce a dipingere un personaggio complesso che racchiude tutto il passato di Tom, e che ne forgerà tutto il futuro.
Interessante, dal punto di vista tecnico, la fotografia, che “muta” tra la prima e la seconda parte concettuale di film, incupendosi e sgranandosi, quasi che volesse dire che tutta Millbrook ha subito una metamorfosi cupa ed irreversibile. Quasi inesistente la colonna sonora, che interviene solo a sottolineare i momenti di maggior tensione. Ottime la scene di azione, che sottolineano la scelta, complessa, del ritmo che Cronenberg ha voluto imporre al film: se inizialmente il ritmo è lentissimo – quasi fin troppo – e le esplosioni di violenza rarissime, con il passare del tempo l’equilibrio si inverte, senza che lo spettatore avverta alcuno strappo, per passare alla violenza in toto. Dal punto di vista della scrittura segnaliamo la totale assenza del flashback, strategia sulla quale era invece interamente basato il testo di partenza; Cronenberg non ha bisogno di far vedere molto del passato per raccontare il presente: sono le azioni dei protagonista che ce lo mostrano. Cronenberg costruisce un film apparentemente tra i suoi più “innocui”, ma l’effetto sullo spettatore è a scoppio ritardato, è strisciante e infido come il percorso di un virus che, poco a poco, si insinua nel suo sistema immunitario, e quando ci se ne accorge è troppo tardi, ormai si è stati colpiti. A History of Violence è la dimostrazione che la frase «non è la storia, ma chi la racconta» ha davvero un senso. Una vicenda come quella narrata nel film avrebbe potuto diventare un classico polpettone hollywoodiano; quello che ne esce invece è un film d’autore che fa riflettere lo spettatore, che lo costringe a chiedersi, quasi senza rendersene conto. «E io che cosa farei al suo posto?», e a decidere, almeno per quanto mi riguarda, che forse la scelta di Tom era l’unica possibile. Due nomination all’Oscar per miglior sceneggiatura e miglior attore non protagonista a William Hurt.
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ivan91
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mercoledì 24 novembre 2010
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consigliato
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la violenza è parte dell' uomo cosi sarà sempre
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