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a.l.
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mercoledì 28 dicembre 2005
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tele di ragno
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In una memorabile sequenza di “Spider” la madre racconta al protagonista bambino la stravagante favola dei ragni che fanno bellissime tele, fino a quando non esauriscono la loro energia e muoiono: nel suo penultimo film, ambientato negli squallidi quartieri del disagio proletario dell’Inghilterra degli anni Sessanta e Ottanta, Cronenberg illustrava un capitolo del suo saggio di storiografia antropologica, individuando nella psiche umana e nelle tele di ragno, create ossessivamente dal suo fondo oscuro ed inquietante, la forza corrosiva che intrappola senza via di scampo, individui e società, qualunque sia la forma apparente che essi assumano per sfuggirvi. La macchina da presa inquadra le ragnatele appese a muri e soffitti, diventa prigioniera del loro tortuoso, inestricabile aggrovigliarsi: allucinazioni, fantasmi, personalità ed ambienti inafferrabili e mai circoscrivibili in caratteristiche definite, lucidità e razionalità asservite a follia e ferocia mai sopite.
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In una memorabile sequenza di “Spider” la madre racconta al protagonista bambino la stravagante favola dei ragni che fanno bellissime tele, fino a quando non esauriscono la loro energia e muoiono: nel suo penultimo film, ambientato negli squallidi quartieri del disagio proletario dell’Inghilterra degli anni Sessanta e Ottanta, Cronenberg illustrava un capitolo del suo saggio di storiografia antropologica, individuando nella psiche umana e nelle tele di ragno, create ossessivamente dal suo fondo oscuro ed inquietante, la forza corrosiva che intrappola senza via di scampo, individui e società, qualunque sia la forma apparente che essi assumano per sfuggirvi. La macchina da presa inquadra le ragnatele appese a muri e soffitti, diventa prigioniera del loro tortuoso, inestricabile aggrovigliarsi: allucinazioni, fantasmi, personalità ed ambienti inafferrabili e mai circoscrivibili in caratteristiche definite, lucidità e razionalità asservite a follia e ferocia mai sopite. Le mostruose aracnidi umane hanno un modo privilegiato per manifestare la loro tentacolare natura: la violenza. “A history of violence”, l’ultimo film dell’autore canadese, ispirato molto liberamente a una graphic novel di John Wagner e Vince Locke, eleva alla milionesima potenza la mistificazione ovattante del vivere protetti in società ordinate e benestanti, contaminando l’aria pulita della pacifica provincia americana con la presenza di un sanguinario killer travestito da buon padre e dei suoi ex-complici sfregiati, grottescamente deturpati a un occhio, che si aggirano per il villaggio con una panciuta auto nera da gangster: una moglie e un marito innamorati, tenerezza e masochismo, figli esemplari e aggressività rimossa ed esplosiva, partite di football e bulli, centri commerciali e lunghe strade, il bar saloon, lo sceriffo amabile e amico di famiglia e rapinatori carnefici, pistole e belle parole, mafiosi e giustizieri, la tavola imbandita e il silenzio complice fra i componenti del microcosmo, rimandano alla tipizzazione di un’America costruita perversamente sulle orme di un Paese reale da un immaginario collettivo disturbato e distorto. La classicità della pellicola, il riferimento alla tradizione illustre del western e del noir, la reminiscenza di situazioni “pantagrueliche” alla Tarantino, in Cronemberg non attestano il tributo devoto del cinefilo innamorato ai propri modelli quanto invece la convinzione che anche l’arte sia secrezione di ragno: film e libri sono uno specchio deformante di un esistente metamorfico, sfuggente alla presa come il mitico multiforme Proteo; ogni storia ne echeggia altre, in un ciclo la cui sola regola è l’eterno ritorno, la linearità/evoluzione di trame e personaggi non può che essere menzognera, precariamente e ingannevolmente decodificabile dai mille travestimenti della ragione. In “Spider” o in “Crash” si respira l’aria ammorbata di un ospedale psichiatrico: il bisturi/sguardo squarcia e incide, ma non sana il cervello. In “A history of violence” il barocchismo sottopelle stride con il gioco scoperto di richiami e rimandi a opere celebri dello schermo, da “Il promontorio della paura” a tutto il filone sul “passato che torna”, e persino, forse, a “Bowling a Colombine”, e con la voluta schematicità degli eventi, ma l’epopea è sempre quella, uguale a stessa all’ infinito, del ragno e delle sue tele e Cronemberg continua ad esserne il cantore.
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[+] a history of violence
(di patricia)
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ten
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martedì 27 dicembre 2005
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il frastuono del nulla
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fai del bene e scordatene,fai del male e pentitene.Un ammirato saluto a Cronenberg.La tristezza è profonda nell'osservare l'ex genio di Videodrome che si sofferma su crani maciullati e pomodori ematici nell'handicappato tentativo di diminuire , in sala, il rumore di mandibole annoiate, intente a triturare pop-corn, per evitare di peggio.Critica è la situazione della critica, travolta dal rispetto per la firma,costretta a opere letterarie per salvare il film.E' un coma depassè?
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(di videodrome)
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duffetto
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martedì 27 dicembre 2005
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ma che film e?
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cose tutte viste e riviste, tecniche cinematografiche usate male,(es.piano sequenza iniziale-penso che il regista voleva forse avvicinarsi a quarantino, ma nn c riesce)la storia c sta ma è messa in scena malissimo.la scena d sesso sulle scale sembra voler riprendere david linch, ma nn c azzecca niente.bello solo il trailer.
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(di dupin la poyana)
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(di ugge)
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manuel
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lunedì 26 dicembre 2005
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grande cinema
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maurizio di bologna cambia pusher!! altro che buoni sentimenti...
grande cinema, intensa recitazione (specie dei comprimari) da parte di un regista che crede ancora di poter "disturbare" lo spettatore, demolendo le certezze dell'americano medio baseball e barbecue, e scavando nei segreti inconfessabili della psiche umana..e mettendo in luce i pericoli legati alla notorietà (che tradisce il segreto di Viggo Mortensen). L'ultima scena l'ho trovata splendida nel suo " non risolvere" tutte le angosce create dalla pellicola.
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maurizio
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venerdì 23 dicembre 2005
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cronenberg è finito
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Se un regista del calibro di Cronenberg ha partorito un abominio tale allora il cinema non ha più niente da dire
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(di anonimo)
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elia
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venerdì 23 dicembre 2005
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che storia !
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Se qualcuno vuol fare un regalo di Natale a se stesso, il consiglio è di andare a vedere questo film di Cronenberg. In maniera molto precisa e senza troppi giri di parole ci mostra un ritratto della provincia americana, quella lontana dalle grandi metropoli più note a noi europei. Ci pone in modo spietato di fronte all’interrogativo, che almeno una volta tutti nella propria vita si sono posti, se veramente sappiamo chi abbiamo accanto. Conosciamo veramente fino in fondo la propria moglie, i figli o i nostri amici? Il passato che ritorna a perseguitare il personaggio interpretato da Mortensen, riporta in superficie la sua vera identità. Allo stesso tempo però scatena nella moglie e nel figlio uno sconvolgimento tale da farli sembrare ciò che non sono.
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Se qualcuno vuol fare un regalo di Natale a se stesso, il consiglio è di andare a vedere questo film di Cronenberg. In maniera molto precisa e senza troppi giri di parole ci mostra un ritratto della provincia americana, quella lontana dalle grandi metropoli più note a noi europei. Ci pone in modo spietato di fronte all’interrogativo, che almeno una volta tutti nella propria vita si sono posti, se veramente sappiamo chi abbiamo accanto. Conosciamo veramente fino in fondo la propria moglie, i figli o i nostri amici? Il passato che ritorna a perseguitare il personaggio interpretato da Mortensen, riporta in superficie la sua vera identità. Allo stesso tempo però scatena nella moglie e nel figlio uno sconvolgimento tale da farli sembrare ciò che non sono. La moglie, tenera ed innamorata, appena capisce qual è la verità, diventa violenta e sospettosa. Il figlio, mostra che anche in lui, in un angolo nascosto risiede una forza di autodifesa istintiva ereditata dal padre. Ognuno non sembra più quello che è. Allora qual è la verità? Mentre il nucleo familiare sembra sgretolarsi, il padre decide di chiudere definitivamente col passato. A questo punto Cronenberg fa la scelta più giusta. L’anima pura, la bambina, accetta il padre per come lo conosce. E così la famiglia fa lo stesso e decide che è giusto proseguire da dove la loro esistenza era stata brevemente interrotta, perché le persone possono cambiare e se decidono di farlo non bisogna confondere una scelta di vita con una menzogna.
Dopo la breve descrizione iniziale della piccola cittadina, classica in tutto, pregi e difetti, Cronenberg fa salire la tensione con un susseguirsi di azione e scene lente ma intense.
Un film dove non ci sono eroi, e dove tutti, tranne la piccola hanno una colpa, ci viene proposto il tema del riscatto sotto forma di eliminazione fisica di chi contrasta il proprio progetto. Senza però dare lezioni morali o giudizi sulle azioni. E’ il racconto di una storia.
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milomar
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giovedì 22 dicembre 2005
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film robusto e interessante
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Dal punto di vista tecnico è sicuramente uno dei migliori film di Cronenberg.
Bella la scelta dei tempi con cui il regista racconte la storia; asomiglia, stranamente, al modo di fare regia del grande Clint Eastwood.
La storia può sembrare banale e, sicuramente, ci sono delle forzature nella trama.
A guardarlo con attenzione, si potrà notare che quasi ogni scena contiene un tipo di violenza (sempre abbastanza verosimili e senza inutili "schizzi" o "fontane" di sangue)o nasce da scene violente. Forse, il messaggio che Cronenberg vuole dare è che la violenza fa parte della nostra società e, forse, impregna l'essere umano.
Qualche secondo in meno, almeno nella prima scena di sesso, avrebbe giovato al film.
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Dal punto di vista tecnico è sicuramente uno dei migliori film di Cronenberg.
Bella la scelta dei tempi con cui il regista racconte la storia; asomiglia, stranamente, al modo di fare regia del grande Clint Eastwood.
La storia può sembrare banale e, sicuramente, ci sono delle forzature nella trama.
A guardarlo con attenzione, si potrà notare che quasi ogni scena contiene un tipo di violenza (sempre abbastanza verosimili e senza inutili "schizzi" o "fontane" di sangue)o nasce da scene violente. Forse, il messaggio che Cronenberg vuole dare è che la violenza fa parte della nostra società e, forse, impregna l'essere umano.
Qualche secondo in meno, almeno nella prima scena di sesso, avrebbe giovato al film.
I protagonisti sono tutti veramente bravi.
Non credo che il finale sia buonista. Credo, invece, che sia il risultato della ricerca di un faticoso equilibrio.
milomar
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gianluca
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mercoledì 21 dicembre 2005
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semplice ma bello!
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Un film con un plot molto semplice , ma molto ben girato e con recitazioni molto efficaci.Ennesimo film/docum. (come nei film di Tarantino,in 'Elephant','Bowling a Columbine...)con cui registi americani evidenziano la violenza nella loro società e parafrando in tutta la società moderna, ciò partendo dalle persone cd 'normali'. Non un capolavoro ma bello ...ne facessero i registi italiani di film così scorrevoli ....
Ciao
Gianluca
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maurizio
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domenica 18 dicembre 2005
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deludente
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non si capisce perchè nei film americani le donne facciano sempre la parte delle dure che poi cadono in una valle di lacrime e accusano i mariti di averle detto delle balle specie quando questi gli hanno salvato il culo dai cattivi
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maurizio
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sabato 17 dicembre 2005
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violenza sì ma
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una storia violenta , anche troppo a volte ,esagerata perfino
le donne americane come solito hanno una parte melensa
se non patetica , deludente nonostante la bravura del regista e degli attori
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