nigel mansell
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venerdì 3 novembre 2006
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non e' cosi' la vera violenza
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Non mi trovo d’accordo con la teoria riguardo una violenza insita in noi che si manifesta improvvisa quando si è minacciati o si è in difficoltà. Il regista la tratteggia in modo eroico e liberatorio, siamo tutti dalla parte della parte di Tom quando si ribella ai suoi aggressori o quando il figlio impartisce una solenne lezione al bullo compagno di liceo, oppure ancora meglio, quando la tensione tra la coppia sfocia nell’amplesso che è quasi una lotta sulle scale di casa.
Sono d’accordo che la violenza c’è ed è in noi ma secondo me si manifesta in forme più subdole, si sfoga sempre sui più deboli, sui bambini, sulle donne, sugli anziani oppure sugli animali o su chi dipende da noi e non si può difendere.
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Non mi trovo d’accordo con la teoria riguardo una violenza insita in noi che si manifesta improvvisa quando si è minacciati o si è in difficoltà. Il regista la tratteggia in modo eroico e liberatorio, siamo tutti dalla parte della parte di Tom quando si ribella ai suoi aggressori o quando il figlio impartisce una solenne lezione al bullo compagno di liceo, oppure ancora meglio, quando la tensione tra la coppia sfocia nell’amplesso che è quasi una lotta sulle scale di casa.
Sono d’accordo che la violenza c’è ed è in noi ma secondo me si manifesta in forme più subdole, si sfoga sempre sui più deboli, sui bambini, sulle donne, sugli anziani oppure sugli animali o su chi dipende da noi e non si può difendere.
Penso che la violenza reale assomigli molto di più a quella praticata dagli sbandati che si vedono all’inizio della pellicola, una violenza cieca che si scatena appunto sui più deboli, apparentemente senza motivo, sui gestori dell’albergo e sulla loro figlia.
Questo è il verso schifo della violenza, non quella eroica che si vede in “A history of violence” che assomiglia tanto a quella del solito filone dell’eroe che vuole stare tranquillo ma chissà perché capitano sempre tutte a lui, di precedenti nel cinema, specialmente in quello hollywoodiano, ce n’è a bizzeffe, da Rambo a Callaghan…
Devo riconoscere al regista la bravura nel creare la tensione, ma per il resto attori bravucci, e film nel complesso così così.
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nicola
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martedì 17 ottobre 2006
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un secondo lynch...
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CAPOLAVORO ASSOLUTO ANCHE SE CREDO CHE CRONENBERG ABBIA VOLUTO UN PO' PRENDERE DA LYNCH.E' DA STRADE PERDUTE E DA L'UOMO SENZA SONNO CHE NON VEDEVO UN FILM COSI EMOZIONANTE.OCCHIO AL PIANOSEQUENZA INIZIALE!
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montecristo
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mercoledì 16 agosto 2006
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già visto!
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Una storia stupida e figlia del nostro tempo, un film atto a soddisfare tutti e soprattutto i meno esigenti, senza verve e spunti originali, molto sopravvalutato. Un eroe vecchio stampo, misto fra il gladiatore e un pistolero, un duro vecchia scuola che diventa casalinga per necessità, ma poi il suo destino ritorna a cercarlo e lui è ancora il numero uno dei numeri uno, non poteva essere uno dei tanti, basta! Situazioni già viste e riveste, ma come si fa ad apprezzare un film così?
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justo
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venerdì 14 luglio 2006
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ci si aspettava di meglio
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Non conosco bene gli altri film di Cronenberg,ho visto solo Inseparabili e non sembra che il regista sia lo stesso:A Hystory of violence non è un brutto film,gli attori sono bravissimi e la tensione non manca;però una volta arrivati alla fine il film pare irrisolto,come se Cronenberg avesse cercato una motivazione "superiore"alle sparatorie e ai calci,senza trovarla.Meglio la prima parte,in cui si dà più spazio al personaggio della moglie e del figlio,della seconda,in cui l'azione diventa un pò troppa per un film così ambizioso,e neanche il finale aperto senza dialoghi convince.Comunque Harris merita di essere citato
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ggalletti
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martedì 16 maggio 2006
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ripartiamo da spider
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Il momento dell'apparizione dei titoli di coda coincide in genere con quella serie di "grandi domande" che servirebbe a costruire un giudizio su quanto visto dallo spettatore.
Eccone alcune:
1. cosa ho visto?
2. che sapore mi ha lasciato quello che ho visto?
3. che senso ha avuto il film?
Personalmente, abbozzo delle risposte:
1. ho visto la storia di un uomo che aveva due storie, una brutta e una bella. Alla fine sembra prevalere, nella sua vita, quella bella;
2. lo stesso sapore di un piatto che si pregusta da qualche ora, ma una volta assaggiato senti che mancano almeno un paio di ingredienti;
3. il senso: parlare di schizofrenia? Troppo superficiale il modo, non credo. Parlare di disagio? scontato.
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Il momento dell'apparizione dei titoli di coda coincide in genere con quella serie di "grandi domande" che servirebbe a costruire un giudizio su quanto visto dallo spettatore.
Eccone alcune:
1. cosa ho visto?
2. che sapore mi ha lasciato quello che ho visto?
3. che senso ha avuto il film?
Personalmente, abbozzo delle risposte:
1. ho visto la storia di un uomo che aveva due storie, una brutta e una bella. Alla fine sembra prevalere, nella sua vita, quella bella;
2. lo stesso sapore di un piatto che si pregusta da qualche ora, ma una volta assaggiato senti che mancano almeno un paio di ingredienti;
3. il senso: parlare di schizofrenia? Troppo superficiale il modo, non credo. Parlare di disagio? scontato. Parlare di violenza? Ovvio, basta leggere il titolo, ma in che chiave (di lettura)? La violenza che apre il film creando disagio, è una specie di morbo che viene contratto da chi ne viene in prossimità. Dai killers al padre, dal padre al figlio, alla moglie (in misura minore). E' un morbo che esercita un terribile fascino, non solo nei personaggi che lo contraggono nel film (violenza a scuola, violenza sulla scala, violenza nella vendetta, ma anche nello spettatore che, sfido chiunque a negare, si mette a fare sfegatatamente il tifo per il redivivo Rambo. Poteva funzionare, magari con uno sforzo di sceneggiatura volto a rendere più chiare le direzioni di alcuni binari... morti (ritratto del figlio, del fratello, di Cusak stesso). Si poteva scegliere forse un protagonista più adatto di Mortensen, poco credibile sia come barman che come killer.
Si poteva fare un film diverso. Per il momento, ripartiamo da Spider.
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fidelia
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lunedì 24 aprile 2006
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film spettacolare
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E' Un film molto bello ci sono molte scene di violenza . Però l'amore vince su tutto, è la
famiglia ritorna unita. By FIDELIA"8O .
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paolo massa
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sabato 15 aprile 2006
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a history of violence
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In tempi di legittima difesa dilagante, di ragazzini armati a puntino che trucidano decine di compagni di scuola (vedi Bowling for Columbine), di presunte madri assassine dei propri figli, di figli boia dei loro più stretti parenti, la violenza è sempre al centro delle nostre vicende, anche se, a pensarci bene, la sua dirompente irruenza è spesso mediata dai più disparati mezzi di comunicazione di massa: televisione, giornali, internet e, non ultimo, cinema. Sembra di assistere, o meglio, di immedesimarsi nell’incessante spettacolarizzazione mediatica della violenza: ne siamo talmente circondati, da arrivare a chiederci, a volte, se esista davvero. A vedere “A History of Violence” di David Cronenberg, presentato all’ultimo festival del cinema di Cannes, ogni dubbio è superfluo, tanta è la violenza sanguinaria a trasparire da questa opera quasi impeccabile.
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In tempi di legittima difesa dilagante, di ragazzini armati a puntino che trucidano decine di compagni di scuola (vedi Bowling for Columbine), di presunte madri assassine dei propri figli, di figli boia dei loro più stretti parenti, la violenza è sempre al centro delle nostre vicende, anche se, a pensarci bene, la sua dirompente irruenza è spesso mediata dai più disparati mezzi di comunicazione di massa: televisione, giornali, internet e, non ultimo, cinema. Sembra di assistere, o meglio, di immedesimarsi nell’incessante spettacolarizzazione mediatica della violenza: ne siamo talmente circondati, da arrivare a chiederci, a volte, se esista davvero. A vedere “A History of Violence” di David Cronenberg, presentato all’ultimo festival del cinema di Cannes, ogni dubbio è superfluo, tanta è la violenza sanguinaria a trasparire da questa opera quasi impeccabile. Protagonista Tom Stall (Viggo Mortensen), un giovane proprietario di una tavola calda, marito felice e padre di due splendidi figli, più che gratificato da una vita serena e “normale” in un’isolata cittadina americana. Ed è proprio l’America con tutte le sue brucianti contraddizioni ad essere lo sfondo perfetto di una realtà sociale pronta ad implodere da un momento all’altro. Sono due balordi (protagonisti della scena iniziale del film, da antologia) a rompere l’armonia della vita quotidiana di Tom Stall e concittadini: entrati nella sua tavola calda, i due malviventi prendono in ostaggio una donna, minacciando di ucciderla. E’ così che l’istinto umano viene a galla con tutta la violenza da cui è pervaso: Tom Stall reagisce all’aggressione, riuscendo, con inaudita freddezza e precisione, ad uccidere i due rapinatori. Tom è un ragazzo timido, taciturno, a tratti insicuro: cosa si nasconde in lui? Dove ha trovato il coraggio di reagire a colpi di pistola? “A History of Violence” è, come dice il titolo, una storia di violenza, una delle tante, capace di farti mancare il respiro dinanzi ad un “quadro perfetto”, destinato a cadere e frantumarsi in mille pezzi: il quadro è la vita di Tom. David Cronenberg ha girato un film sull’istinto animale che può far parte della nostra personalità, pronto ad uscire repentinamente allo scoperto. Un film avvincente, disturbante, a tratti morboso (vedi la scena di sesso lungo le scale, a dire il vero un po’ forzata), con una messa in scena dedita alla resa di un’effimera perfezione. Metafora di un sogno trasformatosi in incubo, dove il presente non può ignorare il passato, come il passato non potrà non intaccare il futuro, “A History of Violence” è il simbolo tangibile della contraddittoria società americana: accanto a una disfatta, sembra suggerirci David Cronenberg, c’è sempre una chance per venirne fuori, nel bene o nel male.
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angelo
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lunedì 6 febbraio 2006
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cronenberg non delude
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Prendo decisamente le distanze dalla recensione di Zappoli, che mi sembra infarcita di qualunquismo e superficialità. Secondo il critico "A history of violence" sarebbe un banale thriller con sprazzi di comicità involontaria... Guardare un film con tutti i sensi ottenebrati dai pregiudizi può condurre a simili risultati, perciò invito coloro che si apprestano ad assistere all'ultima opera del maestro canadese a liberarsi, dall'istante in cui entrano in sala, di tutti i filtri che possano impedire al film di arrivare dritto alle corde emotive. David Cronenberg non ha prodotto un thriller (almeno non nel senso classico del termine), ne' ha avuto bisogno di esplorare un genere per prenderne le distanze, per il semplice motivo che i film di Cronenberg appartengono tutti allo stesso inconfondibile genere: il suo! Stavolta Cronenberg ci parla delle radici della violenza, di come questa sia inevitabile, e del modo in cui la società sceglie di farla sua, di interiorizzarla pur continuando a disprezzarla in apparenza.
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Prendo decisamente le distanze dalla recensione di Zappoli, che mi sembra infarcita di qualunquismo e superficialità. Secondo il critico "A history of violence" sarebbe un banale thriller con sprazzi di comicità involontaria... Guardare un film con tutti i sensi ottenebrati dai pregiudizi può condurre a simili risultati, perciò invito coloro che si apprestano ad assistere all'ultima opera del maestro canadese a liberarsi, dall'istante in cui entrano in sala, di tutti i filtri che possano impedire al film di arrivare dritto alle corde emotive. David Cronenberg non ha prodotto un thriller (almeno non nel senso classico del termine), ne' ha avuto bisogno di esplorare un genere per prenderne le distanze, per il semplice motivo che i film di Cronenberg appartengono tutti allo stesso inconfondibile genere: il suo! Stavolta Cronenberg ci parla delle radici della violenza, di come questa sia inevitabile, e del modo in cui la società sceglie di farla sua, di interiorizzarla pur continuando a disprezzarla in apparenza. La scena finale è meravigliosa nella sua intensità, puro cinema al 100%: l'assenza di dialogo moltiplica il pathos fino a spingerlo a livelli insostenibili, coadiuvato da un montaggio sapiente nel generare l'attesa di una parola che non verrà mai. Cronenberg si fa beffe degli stereotipi del genere come del sogno americano, mettendo a nudo la consapevole cecità di chi rifiuta la verità sull'essenza dell'America: paese che nasce da un immane genocidio e porta nel suo DNA i germi della violenza più atavica, eppure non smette di diffondere/imporre nel mondo e tra i suoi cittadini modelli di democrazia e convivenza pacifica. Se "The corporation" ci ha dimostrato come le grandi corporations siano persone (giuridiche) psicopatiche, Cronenberg ci insegna che anche un'intera nazione può essere affetta da schizofrenia.
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darko
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martedì 24 gennaio 2006
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magnifico noir, lucido e politico
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Da INSEPARABILI in poi, ad eccezione forse dello scarso e deludente EXISTENZ, David Cronenberg si è sempre cimentato nella realizzazione di un cinema fondamentalmente opposto a quello con cui aveva cominciato la sua carriera. Se SPIDER era un attento, profondo e raffinato ritratto della psicosi di un uomo traumatizzato sin dall'infanzia, A HISTORY OF VIOLENCE è un film di più ampio respiro, più per il grande pubblico vista la scelta della star versatile Viggo Mortensen (ormai conosciutissimo per la trilogia di Jackson IL SIGNORE DEGLI ANELLI). Tuttavia è un film che pur essendo semplice e lineare quanto UNA STORIA VERA, è un feroce e calibratissimo noir, mai privo di elementi disturbanti. Tutto il primo atto con funzione preparatoria per il finale particolarmente sanguinoso e violento è di una natura così sinistra, tetra e raggelante che non può non voler dire qualcosa di più del semplice soddisfare le regole di un plot genere splatter.
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Da INSEPARABILI in poi, ad eccezione forse dello scarso e deludente EXISTENZ, David Cronenberg si è sempre cimentato nella realizzazione di un cinema fondamentalmente opposto a quello con cui aveva cominciato la sua carriera. Se SPIDER era un attento, profondo e raffinato ritratto della psicosi di un uomo traumatizzato sin dall'infanzia, A HISTORY OF VIOLENCE è un film di più ampio respiro, più per il grande pubblico vista la scelta della star versatile Viggo Mortensen (ormai conosciutissimo per la trilogia di Jackson IL SIGNORE DEGLI ANELLI). Tuttavia è un film che pur essendo semplice e lineare quanto UNA STORIA VERA, è un feroce e calibratissimo noir, mai privo di elementi disturbanti. Tutto il primo atto con funzione preparatoria per il finale particolarmente sanguinoso e violento è di una natura così sinistra, tetra e raggelante che non può non voler dire qualcosa di più del semplice soddisfare le regole di un plot genere splatter. Dietro questo film non mancano riflessioni di genere politico, focalizzandosi in particolare sulla violenza e la criminalità organizzate, come quasi si trattasse di dottrine naturalmente insite in ogni uomo, che presto o tardi affiorano dal profondo della propria anima e del proprio corpo - il film è molto fisico e non mancano anche le violenze di tipo carnale, inflitte dal protagoniste alla moglie (Maria Bello), che però non sembra essere dispiaciuta poi così tanto. La scena, pur non essendo particolarmente espressiva dal punto di vista estetico, è molto scabrosa e ripugnante. Come la violenza ormai è considerata negli stati uniti qualcosa di regolare e assolutamente giustificato se si tratta di difendere il proprio privato, tenere un fucile in casa, rompere il muso a un compagno di scuola solo perchè fa un po' lo sbruffone etc. sono tutte simbologie che appartengono all'iconografia attuale dell'immaginario americano. Tutto l'insieme è dunque assolutamente perfetto e terrificante. Attori azzeccatissimi tra l'altro, bravi anche i giovani (il figlio, interpretato da Ashton Holmes e la bambina, apparentemente innocente ma dal volto e lo sguardo diabolici). L'unico personaggio che esce fuori dallo schema noir - nel quale come sappiamo è regola che nessuno dev'essere mai un personaggio positivo - è forse il poliziotto di paese, che ispira molta fiducia e pare quasi essere un punto di riferimento moralmente accettabile dal pubblico.
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alessandro stefanini
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lunedì 9 gennaio 2006
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un cronemberg interessante
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Gran bel film non c'è che dire.Una regia splendida, un Viggo Mortensen incredibilmente inquietante ed una storia tutta giocata sul filo della tensione.
Da sottolineare le due scene di sesso molto oltraggiose con un 69 che sinceramente in un film non avevo mai visto.
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(di gio)
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