Titolo originale | Mahana |
Anno | 2016 |
Genere | Azione, Drammatico, Western |
Produzione | Nuova Zelanda |
Durata | 102 minuti |
Regia di | Lee Tamahori, Jitesh Mahana |
Attori | Temuera Morrison, Akuhata Keefe, Nancy Brunning, Jim Moriarty, Regan Taylor Maria Walker, Sienna MacKinlay, Tuhiwhakauraoterangi Wallace-Ihakara, Kyra McRae, Eds Eramiha, Ngahuia Piripi, Matariki Whatarau, Miriama McDowell, Aroha Rawson, Yvonne Porter, Te Kohe Tuhaka, James Tito, Mark Ruka, Paddy Church, Fraser Brown, Adam Gardiner, Te Kaha Jonathan, Stephen Lovatt, Edwin Wright, Aaron Ward, Miranda Wilson, Paul Yates (II), Joe Naden, John Ruka, Tania Anderson, Greg Johnson (II), John Leigh, Josephine Stewart-Tewhiu, Jim Birchall, Grae Burton, Alistair Browning, Jack Walley, Miranda Wilson (II), Jitesh Mahana, Yusof Mutahar. |
Rating | Consigli per la visione di bambini e ragazzi: |
MYmonetro | 2,73 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento mercoledì 3 maggio 2017
Una storia di rivalità familiare e di riconciliazione, sullo sfondo un meraviglioso paesaggio rurale della Nuova Zelanda degli anni '60.
CONSIGLIATO SÌ
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Duro, inflessibile, di poche parole e molte azioni il patriarca della famiglia Mahana è un uomo che tiene figli e nipoti sotto un pugno di ferro. Storicamente rivale della famiglia Poata, passa quest’inimicizia alle nuove generazioni fino a che un nipote sembra non pensarla alla stessa maniera. Colpevole di pensiero indipendente Simeon Mahana si scontra più volte con il nonno, non ha intenzione di sottostare né a quello che apprende a scuola, né a quello che vede in tribunale e quindi nemmeno alle imposizioni familiari, finendo per causare la cacciata del suo nucleo dal tetto familiare. Comincia a questo punto una seconda vita, autonoma e libera.
Dietro la storia della famiglia Mahana, dietro le sue rivalità e dietro la struttura che la sostiene c’è ovviamente la storia della Nuova Zelanda. La scelta di una famiglia Maori, di un simile attaccamento alle proprietà e al lavoro, al bestiame e alla terra, sebbene non lo dica mai è una lente che riflette un’epopea nazionale. Di questo genere cinematografico il film ha il tono e il passo, ha la portata e la voglia di rappresentare uno spirito neozelandese. Benché poi le dinamiche che si instaurano non siano molto lontane dalla maniera in cui la narrativa occidentale mette in scena contrasti familiari e sue soluzioni, passaggi di testimone e coming of age difficili, lo stesso Lee Tamahori cerca, nelle pieghe dell’adattamento del racconto di Witi Ihimaera, di tenere il paesaggio inquadrato come una presenza mai neutra. Quella è la chiave per adattare la storia al suo contesto.
Il patriarca che rimane fermo sulle colline a cavallo, la nonna e le sue api, le camminate nei prati, le gare di tosatura delle pecore, tutto quello che punteggia il film ha l’ambizione di essere specifico, in buona sostanza di agire in contrasto con la meno “geolocalizzata” delle trame. Alla fine quindi non è in questo che il film di Tamahori incontra dei problemi, non è nel cercare di rappresentare l’epica di una famiglia neozelandese ma nello scegliere un linguaggio per immagini e una direzione degli attori che sono così vicini al cinema americano da identificarsi con esso.
Vedendo il film, inappuntabile sotto molti aspetti tecnici e interpretato indubbiamente bene, viene spesso da chiedersi come sia possibile girare un’opera che racconti anche un paese e una cultura molto specifica, usando il linguaggio filmico tipico di un’altra nazione. Come sia possibile che una forma e quindi una lingua hollywoodiana possano davvero essere un involucro coerente e accettabile per un film che si propone di essere fortemente neozelandese?