Titolo originale | Wacken 3D |
Anno | 2014 |
Genere | Documentario, |
Produzione | Germania |
Durata | 90 minuti |
Regia di | Norbert Heitker |
Attori | Rammstein, Alice Cooper, Deep Purple, Motorhead, Henry Rollins Breanna Banfield, Katie McHoes, Micha Reese, Salman U. Syed, Cielu Wang, Don Airey, Phil Campbell (II), Mikkey Dee, Ian Gillan, Blaas Of Glory, Roger Glover, Richard Kruspe, Paul Anderson, Lemmy, Till Lindemann, Flake Lorenz, Steve Morse, Ian Paice, Oliver Riedel, Christoph Schneider. |
Uscita | martedì 24 novembre 2015 |
Distribuzione | Lucky Red |
Rating | Consigli per la visione di bambini e ragazzi: |
MYmonetro | 2,59 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento lunedì 23 novembre 2015
Un film che racconta l'esperienza di partecipare al festival metal di Wacken.
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CONSIGLIATO NÌ
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A Wacken, un piccolo paese nel nord della Germania, 75.000 persone si danno appuntamento, dal 31 luglio al 3 agosto 2013, per la ventiquattresima edizione del Wacken Open Air, il festival dedicato alla musica heavy metal nato nel 1990 ad opera dei fondatori Thomas Jensen e Holger Hübner, ad oggi tra i più grandi al mondo. 2 Kmq di superficie, 7 palchi per un totale di 120 band distribuite in 4 giorni di live. Tra gli ospiti Alice Cooper, Annihilator, Anthrax, Anvil, Deep Purple, Lamb of God, Motörhead, Rammstein.
Diversi sono stati dagli anni ’80 a oggi i film dedicati alla cultura heavy metal, dal mockumentary This Is Spinal Tap allo sguardo civile Heavy Metal in Baghdad passando per l’inchiesta Metal: A Headbanger's Journey dell’antropologo e metalhead Sam Dunn. Norbert Heitker, all’attivo una cinquina di film musicali e una serie di pregevoli videoclip di ispirazione cinematografica, sceglie di filmare l’evento secondo i canoni del concert movie. Backstage, interviste agli idoli vecchi e nuovi e a una cerchia selezionata di fan, e naturalmente alcuni momenti salienti delle esibizioni sui due palchi principali, tutto in stereoscopia grazie a 18 macchine da presa 3D. Qui si apre la prima questione. Perché se non si voleva fare un mero film di servizio, se cioè si voleva raccontare un’esperienza prima che una diretta, come appare negli intenti al punto che le testimonianze fuori dal palco superano i momenti di puro spettacolo, allora questa tecnologia è una volta di più accessoria, un alibi in mano agli esercenti per maggiorare il prezzo del biglietto. Curiosamente inoltre, le 6 unità impiegate per le riprese a formare una troupe di 140 tecnici risultano pressoché invisibili, con riprese standardizzate al massimo anche quando la telecamera è in movimento. Il pubblico per parte sua ce la mette tutta. Crowdsurfing e circle pit, immancabili in ogni raduno metal che si rispetti, e un temibile wall of death che finisce, sorpresa, in un abbraccio fraterno. A Wacken tutto è pacifico e sereno, ci sono i campi e i tramonti, gli artisti che sembrava volessero dare fuoco al palco un attimo dopo si esprimono col buon senso della working class. Abbiamo capito male: i metallari sono in realtà degli allegri compagni di merende.
E veniamo al secondo problema. Volendo dare credito a un quadro tanto addomesticato, infatti, il primo a rimetterci è proprio il metal, privato così di quella ragione eversiva ed esorcistica, insieme esercizio catartico e affermazione superomistica, che sono dal suo incerto atto di nascita le basi del suo credo (che poi il demoniaco sia diventato decoro è altro discorso). Ecco allora che la tag-line iniziale “louder than hell” (‘più rumoroso dell’inferno’) viene sostituita da “quattro giorni di musica, fango e pace”. Il riferimento è chiaramente a Woodstock e ai suoi “tre giorni di pace, amore e musica”: a darcene conferma ci sono precise scelte registiche e le dichiarazioni rilasciate dal produttore Tomas Erhart. Ma tra i due passa una differenza politica che è il segno dei tempi e il limite di questa visione. Riunita a Bethel alla fine degli anni ’60 c’era una generazione che stava provando, tra molte contraddizioni e con un linguaggio nuovo, il rock appunto, a dare un segno diverso a una stagione disastrosa della storia americana. Demoralizza non poco vedere qui rappresentata una schiera di giovani che sembrano partecipare a un cosplay anziché riunirsi per un confronto adulto, chiusi nella spirale di isolamento dell’oggi, sessualmente repressi e con problemi relazionali (la domanda che più di uno si pone è «come avrei potuto dire a mia madre che sarei stato qui?», «come farò a raccontarlo agli amici?»). Pace, per gli hippie di Woodstock, era un valore positivo da veicolare a un mondo in guerra in nome di un nuovo inizio. Ora che la guerra è tutt’altro che finita è l’espressione autoreferenziale della fuga da un sistema che non si ha più l’ambizione a cambiare. La macchina da presa si ferma su tutto questo in modo acritico, e il risultato convince a metà. Il fan resta soddisfatto quando non si sente castrato, il neofita tira uno sbadiglio. Speriamo si incontreranno a fine proiezione per discutere.
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deludente e noioso,non riuscito racconto del festival metal per eccellenza,prendere una manciata di persone e seguirle per tutto il tempo del docu-film diventa paradossale quando ne hai a disposizione migliaia,troppo a lungo poi ci si sofferma su band sconosciute prive di vera cultura metal,woodstock ha già dato,questo ne è la brutta copia senza infamia e senza gloria