Titolo originale | Sun don't Shine |
Anno | 2012 |
Genere | Thriller |
Produzione | USA |
Durata | 82 minuti |
Regia di | Amy Seimetz |
Attori | Kate Lyn Sheil, AJ Bowen, Kentucker Audley, Kit Gwin, Mark Reeb, Gregory Gordon Schmidt . |
Tag | Da vedere 2012 |
MYmonetro | 3,25 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento giovedì 23 febbraio 2017
Due fidanzati scappano dal crimine che hanno commesso, nel paesaggio selvaggio della Florida.
CONSIGLIATO SÌ
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Crystal e Leo sono in fuga, attraverso una torrida Florida, da un crimine di cui ancora portano le tracce nel bagagliaio dell’auto. È una corsa contro il tempo, per liberarsi al più presto del fardello fisico e metaforico della colpa. Lui vuole arrivare alle paludi, ha un piccolo piano, ma l’ipersensibilità di lei, peggiorata dalla condizione di stress e paura, mette il progetto a dura prova.
Amy Seimetz, regista di cortometraggi prestata come attrice a molte produzioni indie degli ultimi anni (tra cui “Tiny Fornitures” di Lena Dunham e “The mith of the american sleepover” di Robert Mitchell, passato a Cannes e a Torino) debutta nel lungometraggio come autrice a tutto tondo ed è un debutto che non passa inosservato.
Le coordinate del noir e del road-movie non esauriscono l’intento del film ma, al contrario, sembrano servire più che altro da contenitore. Al centro di questo esordio, che risponde in tutto e per tutto alle caratteristiche estetiche e produttive di quel cinema indipendente che è insieme la culla e l’approdo del lavoro della Seimetz, c’è la relazione tra un uomo e una donna, due giovani losers. Silenzioso e premuroso, lui, impulsiva, possessiva, infantile, lei, che nel cuore tiene vivo il legame con la figlia piccola che ha lasciato indietro e potrebbe non rivedere, Leo e Crystal sono un Romeo e una Giulietta sporchi di sangue e sudore, disposti a fare qualsiasi cosa l’uno per l’altra e catturati dall’obiettivo proprio nel momento in cui l’esistenza chiede loro quel “qualsiasi cosa”.
Di ciò che è accaduto prima veniamo a sapere il minimo indispensabile, strada facendo, perché il film non ha tempo per guardarsi alle spalle, impegnato com’è a respirare con i suoi protagonisti, a guardare dritto avanti e fermarsi solo quando strettamente necessario. Adottando per la maggior parte del tempo il punto di vista soggettivo della ragazza, infatti, trasuda la stessa ipersensibilità e risuona dei rumori immaginari dettati in lei dalla colpa e dalla paura.
Lungo ottanta minuti e quattro ore di strada, Sun don’t shine guarda a Malick per le inquadrature allucinate e il modo in cui i corpi si fondono con l’ambiente, prendendo le distanze dal brulicante mondo degli uomini ma addentrandosi allo stesso tempo nel cuore di tenebra dell’umanità stessa, ma lo stile è soprattutto fedele alle richieste del genere autoriale e low-budget di riferimento. Se a tratti l’atmosfera ipnotica tende ad affaticare, il finale, bellissimo, riscatta la visione.
Anche il miglior Festival ogni tanto toppa. Inguardabile.