
Dalla Danimarca, Spagna e Francia quattro titoli da non perdere. Si comincia con Prisoner.
di Roberto Manassero
Quello delle serie è un vero e proprio mondo di scoperte e sorprese. Anche, e forse soprattutto, da un punto di vista produttivo, a dimostrazione di come i prodotti di genere non siano solo appannaggio di cinema e tv americani. Da anni paesi del Nord Europa come Svezia e Danimarca e industrie cinematografiche forti come quella francese e spagnola sfornano serie di medio-alto livello che stanno alla pari delle analoghe produzioni d’oltreoceano, favorite anche dalla necessità delle piattaforme di diversificare e ingrandire i loro cataloghi. MYmovies ONE, da sempre aperto alla maggior varietà possibile, sta per arricchire ulteriormente la sua offerta inserendo quattro nuove serie provenienti, per l’appunto, da Danimarca, Francia e Spagna. Andiamo a scoprire una per una.
Creata nel 2023 dagli showrunner Kim Fupz Aakeson, Michael Noer e Frederik Louis Hviid (quest’ultimo regista del poliziesco adrenalinico Shorta, visto qualche anno fa a Venezia), Prisoner (titolo originale: Huset) porta lo spettatore dentro un carcere danese e mostra le realtà concentrazionaria di un microcosmo in cui tutti quanti, carcerati e guardie, sono a loro prigionieri.
In sei puntate da un’ora ciascuna, si assiste alla lotta per la sopravvivenza in un mondo dove domina la legge del più forte, tra gli stereotipi del genere (le guardie divise fra onesti e corrotti, l’illegalità che crea fuori e dentro la prigione un sistema tentacolare di potere, i detenuti disperati e approfittatori), la frenesia dello stile (movimenti di macchina nervosi, montaggio rapido) e una violenza decisamente fuori tono rispetto al livello medio della produzione televisiva. A dominare la serie, nella parte di una guardia convinta di poter trasformare la prigione in un luogo più sicuro e chiamata per questo a scontrarsi con l’indifferenza dei colleghi, è la bravissima Sofie Gråbøl, attrice soprattutto televisiva molto celebre in Danimarca. Difficilmente chi vedrà Prisoner potrà dimenticarla, tanto il suo personaggio mostra un animo al tempo stesso combattivo e fragile, perfetta incarnazione dell’instabile equilibrio su cui si regge il concetto stesso di carcere in una democrazia.
La seconda serie danese è DNA, creata da Torleif Hoppe nel 2019 e poi proseguita per una seconda stagione. Al centro degli otto episodi scritti dallo showrunner con Nanna Westh c’è Rolf (Anders W. Berthelsen), un agente di polizia danese affiancato dall’investigatrice francese Claire (Charlotte Rampling) e segnato dalla sparizione della figlia durante un viaggio in traghetto. Cinque anni dopo la tragedia, Rolf, convinto che la figlia sia ancora viva, scopre un errore nel database del DNA della polizia e, mentre indaga su un rapimento, capisce che forse il destino della sua ragazzina è legato a un traffico internazionale di minorenni in cui potrebbe essere coinvolta anche Hania, la figlia creduta morta di una giovanissima ragazza madre polacca…
Trama intricatissima e amplissima rete di personaggi come da copione, DNA è un classico dramma procedurale che segue la lenta, inesorabile immersione dei suoi protagonisti in universo oscuro e perverso. L’ambientazione si muove di continuo fra Danimarca, Svezia, Polonia e Francia, in un classico montaggio alternato che spinge la trama gialla a convergere verso la soluzione e al tempo stesso allarga sempre più le diramazioni del caso. Non resta che stare a vedere come finirà…
Anch’essa scritta e distribuita nel 2023, Memento mori viene invece dalla Spagna e in sei episodi (rinnovati per una seconda stagiona uscita quest’anno) segue le vicende di un poliziotto di Valladolid, l’ispettore Sancho (Francisco Ortiz), impegnato nella caccia a un serial killer che la prima volta in cui compare abbandona il corpo di una giovane donna con le palpebre amputate… Con l’aiuto di Carapocha (Juan Echanove), un esperto di serial killer, Sancho segue la segue la scia di cadaveri lasciata da Augusto (Yon González), un sociopatico raffinato che firma i suoi delitti lasciando come indizi canzoni e poesie… Strano, dunque (o forse no, perché come ha insegnato una serie come Mindhunter, ogni storia su un serial killer è in fondo una storia sullo scrivere e il creare…), che la serie stessa abbia la medesima eleganza del suo malvagio assassino.
Memento mori, infatti, creata e diretta dal duo Marco A. Castillo-Fran Parra, riesce a essere elegante come un thriller classico, senza perdere la crudezza oggi necessaria a ogni prodotto di genere e acquisendo un’ambiguità di fondo che ne racchiude la forza. In tempi in cui ogni serie, anche le migliori, si fondano sull’obbligo di spiegare, sottolineare e andar di corsa, Memento mori preferisce quello che la critica spagnola ha definito “un veleno lento”, la scia del sangue e il rumore indefinito della follia.
Il livello si alza ulteriormente con In the Shadows, che sarebbe meglio chiamare col suo titolo originale, Dans l’ombre, vista l’importanza e l’autonomia della produzione seriale francese. Qui origine e firma sono di lusso: la serie è tratta da un romanzo di Gilles Boyer e Edouard Philippe; i creatori sono l’esordiente Lamara Leprêtre-Habib e Pierre Schoeller, già autore qualche anno fa di un thriller come Il ministro - L'esercizio dello Stato e qui anche regista dei primi tre episodi, poi sostituito da Guillaume Senez, anche lui regista di titoli importanti come Le nostre battaglie (guarda la video recensione) e Ritrovarsi a Tokyo; gli interpreti principali, poi, sono volti noti del cinema francese come Melvil Poupaud (attore prediletto da Desplechin, Honoré, in gioventù addirittura Rohmer) e Swann Arlaud (cioè l’avvocato difensore di Anatomia di una caduta) e Karin Viard (La famiglia Bélier, Polisse).
Di cosa parla Dans l’ombre? Ovviamente di politica, visto il titolo, e dei suoi lati oscuri. Al centro dei sei episodi c’è Paul Francoeur (Poupaud), fresco vincitore delle primarie del suo partito, che con il consigliere César Casalonga (Arlaud) affronta una durissima campagna elettorale per la presidenza e contemporaneamente le accuse di brogli alle primarie, a rischio di indebolire la sua candidatura… L’ambientazione è cupa, come si addice al thriller politico, ma è il tono a tratti stranamente distaccato, lasciando lo spettatore in una zona incerta (e per questo interessante) tra dramma e ironia.