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BIFF, gli italiani raccontano emozioni ed esperienze

Da Bruni a De Serio, i registi italiani si dicono curiosi e soddisfatti.
di Paolo Bertolin

In foto il gruppo degli italiani a Busan. Da sinistra a destra: Guido Lombardi, Rolando Colla, Francesco Lagi, Francesco Bruni, Massimiliano De Serio e il produttore di Là-Bas Dario Formisano.
Francesco Lagi , Firenze (Italia). Regista del film Missione di pace.

mercoledì 12 ottobre 2011 - Incontri

La partecipazione italiana alla sedicesima edizione del Busan International Film Festival (BIFF) è probabilmente la più variegata e numerosa che la principale vetrina asiatica del cinema internazionale abbia sin qui conosciuto. Oltre alla presentazione, sovente in prima asiatica, delle più recenti fatiche dei nostri maestri, da Il villaggio di cartone di Ermanno Olmi a Habemus Papam di Nanni Moretti, la sfavillante kermesse coreana ha dato ampio spazio ad un nutrito gruppo di cineasti giovani e/o indipendenti che, grazie anche al contributo di Cinecittà Holding hanno avuto l'occasione di partecipare al festival in prima persona. "Sono molto curioso di vedere quale sarà la reazione del pubblico coreano", ci ha detto un po' teso Francesco Lagi, il regista il cui esordio nel lungometraggio Missione di Pace ha lo scorso mese chiuso la Settimana della Critica di Venezia e vinto il premio MYmovies. Una curiosità condivisa da due altri debuttanti premiati al Lido, Francesco Bruni, che con Scialla! ha conquistato il premio di Controcampo Italiano, e Guido Lombardi vincitore con Là-bas del Leone del Futuro: "sono curioso di sapere se la distanza culturale è superabile, se il film possa essere capito e apprezzato e se nonostante sia ambientato in una realtà completamente diversa dalla loro, magari nasconda elementi comuni che non immaginavo".

Per questi tre giovani autori si tratta della primissima visita in Estremo Oriente ("qui sono un doppio esordiente: come regista e come turista", afferma sornione Bruni) e quindi anche la prima esperienza di confronto con una platea altra. "Far vedere il mio film qui mi fa un po' d'ansia: non so come potrebbe essere la reazione del pubblico; magari sorprendentemente affine alla nostra o magari completamente differente...", dichiara Lagi.
Anche un regista con più esperienze festivaliere alle spalle come l'italo-svizzero Rolando Colla, che presenta il suo Giochi d'estate (anch'esso originariamente una prima veneziana) sente il peso dell'incontro con una platea 'altra', che si manifesta soprattutto nell'ostacolo della barriera linguistica. "Qui non è possibile capire le domande del pubblico, non è possibile verificare la traduzione delle tue risposte", spiega Colla, "perciò comunichi senza una vera comunicazione".
C'è però anche un lato piacevole nel trovarsi in una realtà così diversa: "Ci sono delle situazioni qui che ti fanno sentire una star, e che quindi mi sembra strano di vivere, forse perché siamo esotici, siamo stranieri, siamo italiani", racconta Lombardi.
Più rilassato è invece Massimiliano De Serio che con il gemello Gianluca ha firmato il suo esordio nel lungo con Sette opere di misericordia, un'apprezzata prima del concorso locarnese che sarà in sala a dicembre. In effetti, per lui è già la seconda volta in Corea, giacché aveva portato il corto Zakaria (2005) al Goyang Children's Film Festival e ha quindi approfittato del BIFF per una full immersion cinefila. "Questo è un festival dove c'è tantissimo cinema asiatico - che è raro vedere in Europa in così grande selezione. Ho scelto di vedere film coreani e cinesi che non vengono facilmente distribuiti in Europa - in Italia ancor di meno" spiega De Serio, aggiungendo che "è sempre utile, e a me piace, non soltanto partecipare ad un festival dove ci si può confrontare con autori di altre nazionalità, ma anche vedere i film di questi altri autori".

Per i cinque registi italiani al BIFF l'impatto con il grande festival asiatico è fatto anche della diretta comparazione del colosso coreano con le previe esperienze festivaliere in patria: "Quello che colpisce a colpo d'occhio sono le strutture impressionanti, che ci fanno sentire veramente molto, molto provincia. Questo Cinema Center è qualcosa che da noi è davvero inconcepibile", rileva Francesco Bruni in riferimento al nuovo palazzo del cinema inaugurato proprio quest'anno. Un raffronto con le tristi vicende del Palazzo del Cinema di Venezia è inevitabile per Guido Lombardi che con una punta di rammarico chiosa: "Questo palazzo del cinema, che esteticamente mi piace assai, mi hanno detto che è stato edificato in solo due, tre anni, mentre a Venezia si è discusso lungamente dei trenta alberi da abbattere per costruire il nuovo Palazzo che ora, da anni è fermo alle fondamenta".

In termini di partecipazione del pubblico locale Rolando Colla nota che "non solo per il mio film, ma anche per altri, ci sono moltissimi giovani; la media sarà sui vent'anni - tra i diciotto e i venticinque, e c'è una vera curiosità nel chiederti perché hai fatto il film e cosa significa una scena piuttosto di un'altra, quale sia il messaggio". Una curiosità che, però, crea in Colla anche un certo disagio: "preferirei far vedere il film e non doverlo spiegare. Anche per altri film gli spettatori chiedevano esplicitamente delle spiegazioni e questo mi ha dato un'impressione di ingenuità che in un certo senso è bella, ma mi mette anche a disagio, giacché io preferirei far parlare i film". Anche a Lombardi sono state chieste spiegazioni in merito a Là-bas, anzi addirittura "una ricetta per i loro problemi di immigrazione". "Ovviamente non avevo una risposta di nessun tipo per un problema del genere. Credo che stiano affrontando problematiche simili a quelle che stiamo affrontando noi in Italia con l'immigrazione" aggiunge il regista partenopeo, che ha anche espresso la preoccupazione di "far comprendere la violenza e la drammaticità della situazione degli immigrati in Italia. Un evento come la strage di Castelvolturno del 2008 qui è di certo di difficile comprensione".

Dario Formisano, produttore di Là-bas, conferma che "c'è molta curiosità nei confronti del tema dell'immigrazione" ed è convinto che il film di Lombardi possa valicare le barriere della diversità culturale: "il linguaggio del cinema è capace di accorciare le distanze, di avvicinare alla comprensione dei temi".
La questione dell'accoglienza che i loro film potranno avere o hanno avuto presso il pubblico coreano, ma anche presso il pubblico internazionale in generale è di grande rilievo per tutti i registi che abbiamo incontrato. Per Francesco Bruni, che ha personalmente supervisionato i sottotitoli inglesi di Scialla!, il problema linguistico è fondamentale: "abbiamo tradotto il dialetto con un inglese metropolitano gangsteristico, ma le sfumature del romanesco sono andate inevitabilmente dissipate". Ciononostante, Bruni rimane ottimista: "Nel mio film c'è un tema universale, assolutamente condivisibile sotto varie latitudini e longitudini". Del resto, l'apprezzato sceneggiatore livornese, noto soprattutto per il sodalizio con Paolo Virzì, per il suo esordio dietro la macchina da presa c'erano originalmente altri obiettivi e speranze: "quando ho pensato di fare questo film, non avevo in mente il mondo dei festival. Mi auguravo una discreta uscita in sala, cosa che avrò - anche più che discreta, anzi molto buona. È successo tutto per via di Venezia, dove pur essendo collocato in una sezione tutta italiana, il film ha avuto un'eco molto positiva che mi ha improvvisamente aperto un giro diverso che io percorro piacevolmente però senza farmi soverchie illusioni".

Anche Francesco Lagi è consapevole della difficoltà di esportare il suo Missione di Pace, soprattutto per via della sua natura di commedia. "I meccanismi comici producono sempre effetti diversi", rammenta Lagi, proseguendo, "anche tra amici ognuno ride per motivi diversi; cosa faccia ridere dipende molto dal gusto personale e culturale". Proprio per questo, Lagi è forse il più incerto rispetto alle prospettive internazionali della sua acclamata commedia anti-bellica su sfondo balcanico: "il film è all'inizio, è appena nato e sta cominciando a fare i primi passettini, quindi non so esattamente che vita possa avere. C'è la speranza che possa essere visto e diffuso il più possibile, ma non so neanche in base a quali criteri e se il film li possieda o meno".

Rolando Colla rileva che per Giochi d'estate la premessa dell'ambientazione, una vacanza in campeggio è sicuramente non familiare per il pubblico coreano: "mi è stato detto che i coreani hanno poche vacanze e che lavorano molto, ma il nucleo del conflitto familiare per loro può essere trasportato nel contesto delle loro feste". Per Colla non è comunque essenziale sapere cosa e quanto del suo film sia compreso dalle platee straniere: "Non devo sapere necessariamente cosa un film provoca nello spettatore; l'ideale è per me vedere un film da solo e non parlarne poi pubblicamente". Coerentemente, Colla confida la carriera internazionale interamente nelle mani della sua compagnia di vendita: "Non è una delle mie preoccupazioni. Io cerco di mettere in piedi un prossimo film, di concentrarmi su quello che so fare. Vendere il film e portarlo in giro non è il mio mestiere e non dev'essere il mio mestiere". Con vendite già assicurate per territori come Francia, Germania, Spagna e Taiwan e con la scelta della Svizzera per la corsa all'Oscar come miglior film straniero, Colla in effetti non ha di certo di che lamentarsi.
Per Dario Formisano, il caso di Là-bas è sicuramente peculiare, giacché il film è principalmente parlato in francese e quindi uscirà in Italia sottotitolato: "Ci piacerebbe che il film avesse una diffusione internazionale. Da un lato, perché è anche un film poco italiano - ma questo non significa molto, visto che spesso sono i film più italiani a trovare una distribuzione internazionale. Però, un po' per la caratteristica della lingua e un po' perché obiettivamente non è particolarmente legato al nostro territorio, ci piacerebbe che Là-bas compensasse con una visibilità all'estero quel che temiamo ci venga un po' sottratto in Italia".

Massimiliano De Serio non teme il confronto/scontro che un film come Sette Opere di Misericordia, basato su riferimenti culturali-religiosi (il parallelo della narrazione con la religione cattolica) ed estetici (la pittura di Caravaggio) molto precisi, può avere con spettatori di formazioni culturali differenti: "Non mi spaventa mai che il film venga interpretato in modo diverso, anzi mi piace. Il nostro tentativo non è di dare risposte sulla vita, ma piuttosto di sollevare questioni e aprire riflessioni anche con la nostra estetica. Le reazioni sono sempre diverse e aggiungono qualcosa al film".

L'incontro tra i nostri autori e il grande festival asiatico BIFF e il suo pubblico, in costante altalena tra curiosità e soggezione, disagio e adulazione, incertezza e speranza, pare saggiamente riassunto proprio da De Serio, nelle sue considerazioni sulla fruizione del cinema 'senza frontiere': "Guardare i film da un punto di vista culturale permette di cambiare te stesso e aprire - anche a livello estetico - il tuo orizzonte. Lo stesso avviene quando si è visti da persone di altre culture, lontane dalla nostra, attraverso altri mezzi di lettura e altre interpretazioni. La cosa davvero bella sta nel continuo attraversare, avanti e indietro, questo confine della reciproca comprensione".

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