
Il film di Matteo Garrone rappresenterà il nostro cinema.
di Pino Farinotti
Un film positivamente allarmante
Un assunto: quest'anno Cannes ha legittimato due ottimi film italiani, Gomorra e Il Divo. L'annuncio era "il cinema italiano è risorto". Al di là dell'enfasi, e del fatto che solo pochissimi andavano dicendo che il cinema italiano era morto, i due titoli presentano, finalmente, qualità vere. L'Oscar a volte ha disatteso la qualità, premiando titoli con criteri strani, ma l'ultimo riconoscimento che ci riguarda (La vita è bella) era sacrosanto: quello di Benigni è un grande film.
Così come lo è, abbracciando un altro riconoscimento altrettanto importante, La stanza del figlio di Moretti, premio assoluto a Cannes. Gli ultimi titoli che ci hanno rappresentato erano La bestia nel cuore (2006) film debole, morboso e troppo cattivo. Ero tanto sicuro dell'inadeguatezza di Cristina Comencini che scrissi prima, "gli americani lo bocceranno". Come avvenne. Lo scorso anno avevamo La sconosciuta di Tornatore, un instant autoctono di scarso respiro e di troppa violenza (la solita ucraina che approda da noi con tutto ciò che ne segue): anche questo non piacque a quelli dell'Academy.
Gomorra di Matteo Garrone, è positivamente allarmante, ha grande estetica, ha ottima scrittura, soprattutto porta un argomento intenso e clamoroso, Napoli. Inoltre il romanzo di Saviano è stato acquisito dagli americani, segnale eccezionale, perché gli anglosassoni raramente importano un italiano. Dunque c'è anche la legittimazione della letteratura. Sì, Napoli è sulla bocca degli americani, di tutti: dai manager alle madri di famiglia, dai tassisti a quelli del cinema. Democratici o repubblicani che siano. Se sei italiano e arrivi in Usa, in qualunque città, tutti (tutti) ti domandano di Alitalia e della spazzatura di Napoli. Gomorra è un richiamo efficace, addirittura perfetto per certi criteri dell'Oscar, che spesso ha privilegiato situazioni etniche ardenti, socialmente rilevabili, patrimonio dell'opinione comune del momento. Ed è anche marketing "furbo": sappiamo bene, in chiave di cinema e di rappresentazione, che cosa funziona "a scatola chiusa" della nostra "cultura", una certa Sicilia e, adesso, una certa Napoli.
Come Ladri di biciclette?
Qualcuno, parlando di Gomorra si era riferito vagamente a Ladri di biciclette. La "scatola chiusa" di allora era la povertà, magari poetica del dopoguerra, come sapeva rappresentarla De Sica. Ma c'è di più, se si parla di riferimenti, di corsi e ricorsi. A guerra ancora vicina, nel '47, De Gasperi tenne un discorso storico alle Nazioni Unite. Perorò la causa dell'Italia, pur sconfitta, sensibilizzò il mondo e ottenne un immane aiuto, le famose mille navi Liberty, nell'ambito del piano Marshall, che ci permise una dignitosa sopravvivenza. Il piano venne ufficializzato nel 1948. Un'opera come Ladri di biciclette (del '48, guarda caso) poteva, pur con tutte le franchigie e licenze che appartengono al cinema, rappresentare l'Italia e anche parte dell'Europa. Poteva essere "utile". Hollywood, che già allora dettava moda e opinione, offrì un magnifico servigio al nostro cinema e al nostro paese e anche alle intenzioni americane naturalmente, attribuendo l'Oscar a Ladri di biciclette che, sia chiaro, lo avrebbe meritato al di là di tutte le "fortunate" congiunture. Adesso abbiamo Gomorra. E sia (ancora) chiaro: Garrone non è De Sica e Gomorra non è Ladri di biciclette, ma neppure la qualità generale del cinema di adesso è quella di allora. E dunque la nomination italiana è del tutto legittima. E poi, Bush non è amico di Berlusconi? E il Presidente del consiglio non ha forse "salvato" Napoli? Gli elementi che si incrociano e attraggono sono molti. L'Oscar ci può davvero stare.
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